La premier per aiutare la stabilità del governo accontenta sempre di più il suo vicepremier. La proroga di mandato del sindaco del Veneto permetterebbe il rinvio delle elezioni regionali, nonostante le problematiche legali e politiche
Venezia. Capitolo chiuso, anzi no. “Le prossime elezioni regionali? Si potrà votare in primavera”, assicura di punto in bianco il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Che poi aggiunge: “Se il Veneto e il suo presidente lo vorranno”. E siccome Luca Zaia va spasimando la proroga da settimane, mesi, anni, una simile subordinata ipotetica sembra un tocco di teatro. Se non un pacco regalo, con tanto di fiocco – ma prego, prima lei, si figuri. In effetti il capo del Viminale era pur sempre ospite, mercoledì a Venezia per parlare di sicurezza. In effetti, non c’è nulla di più sicuro a queste latitudini che tendere una mano al Doge. E per procura a Salvini. È soltanto l’ultima premura di una lunga serie, che Giorgia Meloni – sempre per interposta persona – sta riservando all’irrequieto vicepremier. Più Salvini brontola, fa telefonate, batte i piedi, più lei lo accontenta. Il Veneto diventa una grana per Via Bellerio? Giorgia dà il via libera a un candidato leghista per il dopo-Zaia. I parlamentari del Carroccio tirano gli altri partiti per la giacchetta, pur di cambiare casacca e sfuggire alla deriva del capitano? Giorgia chiude i cancelli di FdI: profughi della Lega non ne prendiamo – ci pensa allora Forza Italia, che in settimana ha accolto il deputato Davide Bellomo. Una carezza continua, insomma, nel segno dell’asimmetrica condiscendenza. Come si fa con un bambino che frigna – mamma voglio Trump, i sovranisti, il Ponte sullo Stretto! – e rischia così di rovinarti la serata, cioè il governo.
Meloni non se lo può permettere, oggi. Ecco allora l’ulteriore spintarella al nordest, via Viminale, quando soltanto Zaia ormai era rimasto a credere nell’extra time. “Ha senso”, conviene infatti Salvini, tronfio di soddisfazione. “Luca è stato tra i protagonisti che prima e più di altri ha creduto in Milano-Cortina 2026: estendere la sua legislatura di qualche mese sarebbe rispettoso del suo lavoro”. E soprattutto utile per Matteo, indaffarato a tenersi buoni i delegati veneti in vista di un congresso che si preannuncia tutt’altro che serenissimo. L’unica vera pax passa per il Doge. “Nulla è ancora deciso”, rialza la testa Zaia. “Stiamo facendo una verifica giuridica sul tema, ma le elezioni in autunno non sono l’unica opzione”.
E meno male che almeno il governatore menziona il nodo normativo. A sentire Piantedosi, fuffa. “Ricomponendosi il primato dell’autonomia regionale anche su questa materia, si potrebbe realisticamente votare in primavera, secondo me. Non so cosa ne pensino gli altri”. È lunare che il ministro dell’Interno ignori la gerarchia delle fonti. Qualunque cosa preveda lo statuto veneto, vige al di sopra una legge statale del 1968 – ribadita nel 2004 – che recita: “Gli organi elettivi delle regioni durano in carica per cinque anni”. Stop. Non per cinque e mezzo, sei o altro. Salvo diverse disposizioni: nel 2020 fu un decreto legge a determinare il rinvio della turnata elettorale. Oggi, naturalmente, non c’è bisogno di un’altra pandemia per cambiare le date. Basterebbe l’iniziativa parlamentare, una nuova legge statale. Peccato però che l’argomento regionali sia l’ultimo dei pensieri della maggioranza (ce l’aveva accennato il Viminale stesso, qualche settimana fa). Non si muove una foglia. Si scommette sull’inerzia, o sullo zelo altrui.
Se infatti il Veneto dovesse prodigarsi in acrobazie giuridiche tali da giustificare lo slittamento della chiamata alle urne, fa intendere Piantedosi, perché mai il ministero dovrebbe opporsi? Anzi. Non lo farebbe nessuno: votare a novembre è una seccatura per la Lega, ma pure per Fratelli d’Italia, i forzisti e il centrosinistra – che per quanto oggi denunci “questo nuovo attacco alle regole democratiche”, in Veneto, non ha ancora la minima di idea di chi candidare. Per una ragione o per l’altra, per una regione o per l’altra, da nord a sud fa comodo procrastinare. E pazienza se così si verrebbe a creare un precedente scivoloso. Per Meloni, il problema è un altro. Sempre quello: che il bocia non pianga più.