Nella visione italiana dell’imperialismo russo pochi comprendono la lotta dei popoli contro l’oppressione. Come ricorda Kundera, la libertà per chi ha conosciuto l’occupazione è un valore assoluto, non è una “pace ingiusta” a dare speranza
Sabato scorso è andata in onda l’intervista di Massimo Gramellini al celebre scrittore russo Boris Akunin. In Italia si tende a non ascoltare gli europei dell’est quando parlano di Vladimir Putin o più in generale della Russia. Le loro opinioni non contano perché, essendo stati vittime della Russia, sono considerati troppo emotivi e privi della lucidità necessaria per valutare il regime russo. Il paradosso è che non si ascoltano neanche i russi, che da anni avvertono l’Europa sulle implicazioni dell’imperialismo di Mosca. Così finirà nel nulla anche questa intervista di Gramellini ad Akunin, in cui lo scrittore spiega perché l’Europa deve riarmarsi. Ma non è su questo che voglio soffermarmi, bensì su una domanda che Gramellini pone ad Akunin e che riflette bene il pensiero diffuso nella società italiana. Secondo il giornalista, l’opinione pubblica in Italia, compresi i media, è divisa in due gruppi: il primo pensa che Putin voglia soltanto starsene a casa sua, controllare i propri confini e mantenere una sfera d’influenza sui paesi vicini, senza aspirazioni ulteriori; il secondo ritiene invece che Putin abbia mire espansionistiche e voglia riconquistare l’Europa orientale, motivo per cui è necessario riarmarsi. E quindi Gramellini chiede: quale delle due è la verità?
Ma cosa sottintende questa domanda? Primo: secondo questa visione, l’espansionismo russo comincia solo nel momento in cui Mosca supera i confini dei paesi vicini, ossia quando attacca uno stato membro dell’Unione europea. Finché cerca di ricreare una specie di Unione sovietica e di controllare gli stati confinanti, ciò non è considerato imperialismo. Secondo: la mentalità che emerge da questa domanda riflette un’idea del mondo secondo cui might is right – il potere fa la ragione. I piccoli vicini della Russia non possono fare altro che sottomettersi a Putin, e questa prospettiva è talmente interiorizzata da Gramellini che nella sua analisi non esiste nemmeno un terzo gruppo di pensiero. Un gruppo che magari si chiede: è giusto negare agli altri il diritto di lottare per la libertà? Se agli europei occidentali piace vivere da uomini liberi, forse chi ha conosciuto il colonialismo ci tiene ancora di più? Forse è proprio per questo che gli ucraini combattono disperatamente da tre anni e resistono da undici. Forse è per questo che si è tentata una rivoluzione in Bielorussia, che si manifesta in Georgia, che in Armenia si cerca timidamente di affrancarsi dalla Russia, che in Moldavia si difendono le elezioni con le unghie e con i denti?
Forse è proprio questa lotta secolare per la libertà che oggi porta tanti di loro a preferire una “morte giusta” a una “pace ingiusta” (espressione usata dagli intellettuali occidentali che amano decidere per i “paesi piccoli” cosa sia giusto e cosa sbagliato per loro). Perché il valore più alto, per chi ha conosciuto l’oppressione, forse è proprio la libertà? “Nel settembre del 1956, il direttore dell’agenzia di stampa ungherese, pochi minuti prima che il suo ufficio venisse distrutto dall’artiglieria, trasmise al mondo intero per telex un disperato messaggio sull’offensiva che quel mattino i russi avevano scatenato contro Budapest. Il dispaccio finisce con queste parole: ‘Moriremo per l’Ungheria e per l’Europa’”, scrive Milan Kundera nel suo “Un Occidente prigioniero o la tragedia dell’Europa centrale” (in Italia pubblicato da Adelphi). “Che cosa intendeva dire?”, continua Kundera: “Di certo che i carri russi mettevano in pericolo l’Ungheria e, insieme, l’Europa. Ma in che senso anche l’Europa era in pericolo? I carri russi erano forse pronti a varcare le frontiere ungheresi e a dirigersi a ovest? No. Il direttore dell’agenzia di stampa ungherese intendeva dire che in Ungheria era l’Europa a essere presa di mira. Perché l’Ungheria restasse Ungheria e restasse Europa, era pronto a morire”.
Rifletto ancora una volta sulla domanda di Gramellini e su quel saggio di Kundera, in cui lo scrittore accusa l’occidente di aver assistito inerte alla sparizione dell’Europa dell’est, ridotta ai loro occhi a null’altro che una parte del blocco sovietico. Secondo uno degli ultimi sondaggi Euromedia pubblicato dalla Stampa, due italiani su tre pensano che gli aiuti militari all’Ucraina debbano essere interrotti e che la spesa militare italiana non debba aumentare fino al 2 per cento del pil. “Quando il bandito si avvicinerà a casa vostra”, dice Akunin a Gramellini, “ci saranno alcuni paesi europei volenterosi e capaci di difendersi con le armi – i britannici saranno tra questi – e altri invece no. E gli italiani saranno tra questi ultimi”.