Lagerfeld va a Montecarlo, passando per Memphis e Vezzoli

E’ un omaggio a una casa, a un committente e a un mondo la mostra dell’artista bresciano che ricrea l’appartamento di Lagerfeld

Francesco Vezzoli va avanti con la sua opera di curatela-indagine-creazione di mostre in cui inquadra un tema-luogo-personaggio e ci ricama (letteralmente) attorno un palinsesto della nostra identità e cultura europea.



Da Leonor Fini a Carlo Scarpa passando per classicità romana di “Vita Dulcis” sono alcune tematiche che negli ultimi anni l’hanno visto all’opera. Adesso espatria e va a Montecarlo, non per ragioni fiscali ma per inaugurare la mostra “Karl goes to Memphis”, alla galleria Almine Rech, fino al 24 maggio. E’ un omaggio a una casa, a un committente e a un mondo. E’ il leggendario appartamentone che Karl Lagerfeld si fece fare “full Memphis” nel principato. “Si comprò letteralmente tutto il comprabile, dalla tv alle posate, del gruppo milanese capitanato da Sottsass, e poi chiamò alcuni degli stessi architetti che lo componevano, Sottsass e De Lucchi, a disegnare i pezzi mancanti”. L’appartamento, racconta Vezzoli al Foglio, aveva solo pezzi del collettivo milanese, “oltre a una statua greca vera in terrazza e un tappeto di Eileen Gray. Sorgeva nel complesso Roccabella, disegnato negli anni Settanta da un tardo Gio Ponti. Ci fu anche uno scazzo tra Ponti e il committente”.

Ma lei stranamente su Ponti non si è mai cimentato. “Lo so, ma ci sono quasi, ho un progettone che annuncerò a breve”. Ma che ci faceva Lagerfeld nel principato chanellizzato? L’unico al mondo (che si sappia) dove la famiglia regnante veste monomarca. Per le tasse? “Non credo, non era ancora ricco”. Poi verranno infatti le altre residenze, quella parigina, quella amburghese e pure quella romana. Ma questa casa è più un concetto, o concept. Una casa asettica ma allegra nel policromo sottsassiano. Perché Memphis e Lagerfeld, ora? “Memphis perché è stata l’ultima avanguardia del Novecento. Anche un modo colorato e diverso dagli altri dioscuri del design italiano, dai Magistretti e Castiglioni. Era pure un manifesto politico, al pari di quello di Enzo Mari, per esempio. Ma Memphis è considerato luxury, Mari no. Credo poi che per i suoi incontri, la sua storia, dai beat all’Asia, Sottsass sia stata la persona più risolta nei confronti della fluidità e del desiderio, nel mondo del design. Lagerfeld poi riteneva che Memphis fosse l’art déco degli anni Ottanta”.



E perché invece Lagerfeld? “Intanto ricordiamoci che Lagerfeld è la figura che più ricalca quella di Andy Warhol. L’ossessione per la madre, che viveva con lui; i capelli bianchi, l’attività di fotografo. L’idea di factory, perché Chanel, che lui fu chiamato a rilanciare nell’83, era un po’ una factory. E poi le avventure, il feud per Jacques de Bascher contro Yves Saint Laurent. Ma oggi, se lei fosse Lagerfeld, da chi si farebbe fare un “appartamento totale” come questo? “Così su due piedi direi dai Formafantasma. Il problema è che non producono tutto, non fanno per esempio un letto o un divano. Mi toccherebbe dormire per terra. Oggi del resto ci sono gli architetti, e poi ci sono i designer, e poi gli arredatori. Non c’è un designer-architetto che potrebbe creare un’opera-mondo”. Tra i mobili esposti ci sono classici come la libreria Carlton; il Tawaraya Ring, ring da boxe casalingo; “dove ci sono foto d’epoca che ritraggono sorelle Fendi e fratelli Casiraghi piccoli che ci giocavano”; e poi riedizioni che come dice la parola stessa ritornano, come l’orologio Acapulco e l’armadio Sacher di Matteo Thun. Vezzoli ha anche creato otto nuove opere, ritratti ricamati di Lagerfeld, ispirate alle fotografie dello stilista da giovane. Lunga vita a king Karl, insomma. “O meglio ancora, Queer Karl”.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).

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