Il Csm condanna il pm Colace che intercettò illegalmente 500 volte il senatore Esposito

Il magistrato torinese è stato sanzionato dal Csm con il trasferimento di sede e di funzioni, e con la perdita di un anno di anzianità, per aver intercettato 500 volte l’allora senatore Esposito senza autorizzazione del Parlamento

Il pm torinese Gianfranco Colace è stato sanzionato dal Consiglio superiore della magistratura con il trasferimento di sede (Milano) e di funzioni (dal penale al civile), e con la perdita di un anno di anzianità. La sezione disciplinare ha accolto la richiesta avanzata dalla procura generale della Cassazione. La gup Lucia Minutella è stata invece sanzionata con la censura. I due magistrati sono stati protagonisti dell’incredibile caso dell’ex senatore Stefano Esposito, intercettato indirettamente 500 volte quando era in carica e poi rinviato a giudizio, senza che né il pm Colace né la gup Minutella si siano prima rivolti al Senato per chiedere l’autorizzazione a utilizzare le captazioni, come richiesto dalla Costituzione. La condotta dei due magistrati è stata severamente censurata dalla Corte costituzionale.

Per la cronaca, lo scorso anno Esposito è stato prosciolto nel merito da ogni accusa dal tribunale di Roma, a cui per competenza erano stati trasmessi gli atti.

La sezione disciplinare del Csm ha rintracciato nella condotta di Colace e Minutella l’illecito disciplinare della “grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile”, con riferimento alla legge attuativa dell’articolo 68 della Costituzione (la n. 140 del 2003).

Impossibile d’altronde, come evidenziato dalla Corte costituzionale, sostenere che le 500 intercettazioni riguardanti Esposito siano state realizzate in maniera “casuale”, non solo per il loro numero elevato, ma anche perché dopo poche settimane dall’inizio dell’indagine Esposito venne identificato chiaramente in un’annotazione della polizia come “senatore della Repubblica italiana” e interlocutore abituale dell’imprenditore sottoposto a intercettazioni. In una successiva informativa di polizia giudiziaria dell’agosto 2015 si rimarcava l’opportunità di “trasmettere il contenuto dei dialoghi” in cui era coinvolto Esposito per consentire ai magistrati di valutare se potessero “costituire spunti investigativi meritevoli di approfondimento”. La quasi totalità delle intercettazioni venne realizzata dopo quella data.

In altre parole, come sottolineato dalla Consulta, il senatore divenne il vero obiettivo delle intercettazioni: “La complessiva attività di indagine posta in essere dall’autorità giudiziaria denota, con particolare evidenza, che l’attività di intercettazione che ha coinvolto l’allora senatore Esposito fosse univocamente diretta a captare le sue comunicazioni”. Una palese violazione dell’articolo 68 della Costituzione, che, come ha più volte chiarito la Corte costituzionale, non è volto a garantire ai parlamentari un privilegio di casta, bensì a tutelare il Parlamento nel suo complesso da “indebite invadenze del potere giudiziario”.

La sanzione del Csm (che molto probabilmente sarà impugnata dai diretti interessati in Cassazione) certifica il fallimento dei metodi di indagine di Colace, noto per le sue numerose inchieste finite nel nulla (quella sull’inquinamento ambientale a Torino contro l’ex governatore del Piemonte Sergio Chiamparino, gli ex sindaci Chiara Appendino e Piero Fassino, più diversi assessori, poi tutti prosciolti; quella sugli ex vertici del Salone del libro di Torino, tra cui Fassino e l’ex assessore regionale alla cultura Antonella Parigi, assolti dopo undici anni; quella per falso elettorale contro il deputato leghista Riccardo Molinari, poi assolto; quella contro 25 tra i massimi professionisti del mondo della psichiatria di Torino per presunti concorsi truccati, poi prosciolti dopo sei anni; quella contro Esposito, prosciolto nel merito dopo sette anni; e via discorrendo).

Allo stesso tempo, la sanzione disciplinare richiama inevitabilmente l’attenzione su ciò che è avvenuto negli ultimi anni alla procura di Torino. Del resto, Colace non ha di certo lavorato in completa solitudine. Nel caso dell’indagine su Esposito, i suoi atti vennero controfirmati dall’allora procuratore aggiunto Enrica Gabetta (poi promossa dal Csm come nuova procuratrice di La Spezia). Dal 2015 in poi, inoltre, l’attività di Colace è stata supervisionata proprio dai vari procuratori capo dell’ufficio torinese (Armando Spataro, Anna Maria Loreto e poi, per un periodo come reggente, dalla stessa Gabetta). Insomma, i fallimenti di Colace sono i fallimenti di un’intera procura, sulla quale il ministro della Giustizia Carlo Nordio probabilmente farebbe meglio a buttare un occhio.

Per non parlare delle tante “stranezze” che riguardano i rapporti tra polizia giudiziaria e magistrati alla procura torinese, messi in luce su questo giornale in un’inchiesta pubblicata sabato scorso e che ha indotto il senatore Scalfarotto a presentare un’interrogazione proprio a Nordio.

Al Foglio Esposito esprime “soddisfazione” per la decisione della sezione disciplinare del Csm: “Ogni volta che la mia vicenda giudiziaria è finita fuori dai confini torinesi, prima in Cassazione, poi alla Corte costituzionale e ora al Csm, la condotta del pubblico ministero è stata censurata”. “Essendo comunque un vero garantista – aggiunge Esposito – ed essendo io una persona che i princìpi costituzionali li rispetta veramente, ricordo che il pm in questione e la gup potranno fare ricorso in Cassazione”.

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto “I dannati della gogna” (Liberilibri, 2021) e “La repubblica giudiziaria” (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]

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