L’attuale premier, successore del dimissionario Justin Trudeau, ha preso lo slancio insperato dato dall’accanimento trumpiano e ha fissato le elezioni per il 28 aprile. Intanto il Partito liberale ha recuperato il distacco con i conservatori: nei sondaggi sono appaiati circa al 37 per cento
Mark Carney non aveva molte alternative, la campagna elettorale fulminea era l’unica possibilità per non doversi presentare nel Parlamento canadese per cercare una fiducia difficile dal punto di vista dei numeri, e così questo premier per caso ha preso lo slancio insperato dato dall’accanimento trumpiano, ci ha aggiunto un po’ di spericolato coraggio e ha fissato le elezioni per il 28 aprile. Carney, governatore dei due mondi (della Banca del Canada e di quella dell’Inghilterra), ha vinto le primarie del Partito liberale, è diventato premier al posto del dimissionario Justin Trudeau con cui non è mai stato molto in sintonia, ha detto al vicino americano, che cerca di piegare il Canada con i dazi e con la retorica ostile, che la sovranità del suo paese non è in discussione, è andato dagli alleati europei, la Francia e la sua altra casa, il Regno Unito, ha stretto accordi di produzione militare con l’Unione europea e con l’Australia, è tornato, ha chiesto di dissolvere il Parlamento, ha annunciato un voto ravvicinatissimo, ha detto che abbasserà le tasse per la fascia più bassa di reddito e ha iniziato la campagna elettorale contro il suo principale rivale, il leader dei conservatori Pierre Poilievre, definendolo “il Trump canadese”.
Carney si è insomma intestato la battaglia canadese contro l’ingerenza di Donald Trump e la sua esperienza economica ha compensato il disamore dei cittadini nei confronti della sinistra al governo da dieci anni, tanto che ora il Partito liberale ha recuperato il distacco – che per molti mesi è sembrato incolmabile – con i conservatori: nei sondaggi sono appaiati circa al 37 per cento.
Carney va spericolato e va di fretta, non ha mai fatto una campagna elettorale in vita sua, la prima è per il posto più importante. Poilievre al contrario è in Parlamento da vent’anni, fa politica da sempre e ha l’impressione di aver perso l’attimo. Non è colpa sua, è il trumpismo ad aver sconvolto ogni cosa in Canada, ma fino a due mesi fa essere definito il “Trump canadese” costituiva una chance in più, ne andava fiero anche se ci teneva a definire le differenze – sull’accoglienza e l’integrazione degli immigrati, in particolare – e usava slogan semplici sulle tasse (che vuole abbassare ben più di Carney e da ben prima), sulla sicurezza, sugli affitti, denunciando il “decennio perduto” a causa delle politiche fallimentari della sinistra. All’inizio, l’accanimento di Trump contro Trudeau, “il governatore del Canada”, è stato un moltiplicatore di consensi per Poilievre, ma poi è diventato estremo e ha avuto sul conservatore che gli assomiglia l’effetto di un bacio della morte. Poilievre, come tutti i canadesi, è contrario ai dazi ed è pronto a reagire con forza alla loro introduzione, quindi si ritrova al contempo a dover fare due riposizionamenti complicati: prima di tutto deve cancellare ogni analogia con Trump (è per questo che Carney invece li associa di continuo) e poi deve riorientare la retorica del “decennio perduto” perché il suo rivale è sì di sinistra, ma con il governo di Trudeau non c’entra nulla e anzi lo ha, pure lui, sempre criticato.
Cinque settimane sono pochissime, la variabile principale di questa elezione è fuori dal controllo di tutti i candidati (è Trump), il distacco tra i due principali partiti si misura in poche migliaia di voti: è per questo che la citazione più ricorrente è tratta dalle opere di un americano naturalizzato britannico, che ironia. “Aprile è il più crudele dei mesi”, ha scritto T. S. Eliot.