Tre giorni dopo Hamas è andato a cercarli di casa in casa. Dai volontari della ong “Road to Recovery”, uccisi e rapiti dai terroristi, a ragazze idealiste come Shani e Naama
Il 4 ottobre 2023, donne israeliane e palestinesi si sono ritrovate a Gerusalemme per partecipare alla manifestazione per la pace organizzata dal movimento ebraico israeliano “Women Wage Peace”. Chiedevano la “fine del conflitto”. Vivian Silver, una nota attivista per la pace e residente del kibbutz Be’eri di fronte a Gaza, era tra gli organizzatori. Il 4 ottobre anche la madre e la zia di Shaked Haran si recarono alla conferenza per la pace insieme ad altre donne del kibbutz Be’eri. Tre giorni dopo, Hamas ha invaso la loro comunità, uccidendone 130. I terroristi avevano una lista degli israeliani che avevano partecipato alla conferenza per la pace. “Sono andati casa per casa, uccidendo o rapendo ognuno di loro”, ha rivelato questa settimana Shaked, a cui Hamas ha rapito sette familiari e ne ha uccisi tre.
Qualche giorno fa Ammiel Hirsch, un famoso rabbino riformato americano sostenitore della pace coi palestinesi, in un sermone nella Stephen Wise Free Synagogue di New York (filmato e condiviso sui social media) ha detto: “I palestinesi stessi hanno strangolato nella culla questa fragile speranza di pace”. Poi, citando la visione biblica della pace universale, Hirsch ha concluso: “Sogno il giorno in cui le nazioni trasformeranno le spade in vomeri e le lance in falci”. Ci credevano in molti, erano carismatici, testardamente ottimisti, uno strano misto di ingenuità e pragmatismo, ma per il più crudele scherzo del destino, le stesse persone per cui si erano battuti sono diventate i loro aguzzini. I terroristi non concedono salvacondotti, neanche a chi voleva dare loro uno stato a Gaza.
Dieci pacifisti israeliani presi in ostaggio e nove uccisi dai terroristi di Gaza. Il programma “Road for Recovery”, formato nel 2010 con origine da una donazione di Leonard Cohen, faceva la spola tra il confine con Gaza e gli ospedali israeliani. In uno, il Soroka Medical Center a 25 chilometri da Gaza, è arrivata a partorire la sorella di Ismail Haniyeh, leader politico di Hamas ucciso a Teheran. Ha dato alla luce un bambino prematuro, ricevendo cure salvavita dall’équipe medica israeliana. E’ passata dal valico di Erez, lo stesso attaccato il 7 ottobre dagli uomini di Haniyeh.
Gideon Segal, un autista volontario della ong “Road to Recovery” del kibbutz Yad Mordechai, ha ammesso di essere consapevole che “i cittadini di Gaza non rinunceranno al loro sogno nazionale a causa del trasporto e delle cure nei nostri ospedali. Tutto ciò che stiamo facendo è solo per il bene della nostra coscienza”.
Sei volontari, Vivian Silver, Eli Orgad, Adi Dagan, Tami Suchman, Hayim Katsman e Chaim Peri, sono stati assassinati durante l’invasione di Hamas. Altri due, Oded e Yochved Lifshitz, sono stati rapiti. Diversi mesi dopo Yocheved è stato rilasciato; Oded, 84 anni, è tornato a casa in una bara. Lifshitz era un giornalista, una figura di spicco del movimento dei kibbutz e un attivista per la pace. Ha fatto volontariato con l’organizzazione Road to Recovery. Nonostante i suoi 85 anni, ogni settimana Oded partecipava alle manifestazioni contro la riforma della giustizia voluta dal governo di Benjamin Netanyahu. Giornalista, nel 1972 si battè contro l’espulsione dei beduini di Rafah decretata dall’esercito israeliano.
Gadi Rajwan dava lavoro a settanta palestinesi e credeva nella coesistenza con i fatti. Il terrorista gli ha sparato in faccia
Ci sono voluti trentotto giorni per riconoscere il volto di Vivian Silver tra le macerie del kibbutz di Be’eri. Paladina e icona della pace, la canadese Vivian si era trasferita nel kibbutz vicino alla striscia di Gaza nel 1990, era la direttrice del Negev Institute for Strategies of Peace and Development, infiniti programmi per aiutare la gente di Gaza, fino alla fondazione del Centro arabo-ebraico per l’uguaglianza. Militava anche nella ong B’Tselem. Un altro attivista pacifista, Hayim Katsman, è stato ucciso nella sua casa nel kibbutz Holit. Aveva completato il suo dottorato all’Università di Washington a Seattle e lavorato come coordinatore del gruppo di ricerca Israele-Palestina presso l’ateneo. Il suo dottorato era intitolato “Nazionalismo religioso in Israele/Palestina”. Sono stati uccisi anche Bilha e Yakovi Inon, attivisti pacifisti e genitori di un importante attivista, Maoz Inon, nel loro kibbutz agricolo di Netiv Ha’Asara, appena a nord di Gaza.
La zia di Shani Louk, Orly, ha raccontato a Der Spiegel che sua nipote era una militante per la pace e un’obiettrice di coscienza. Shani, il cui corpo mutilato venne portato a Gaza il 7 ottobre sul retro di un pick up, si era rifiutata di svolgere il servizio militare obbligatorio per gli israeliani a causa delle sue idee pacifiste. Naama Levy, la “ragazza della jeep” con le manette ai polsi dietro la schiena, il cavallo dei pantaloni della tuta insanguinato, le ferite alle caviglie, i piedi nudi, poi scambiata con Hamas, nel giorno dell’attacco dice: “Ho degli amici in Palestina”. Naama era una volontaria di “Hands of Peace”, organizzazione americana impegnata a promuovere il dialogo e la comprensione tra i giovani su entrambi i versanti del conflitto, fondata nel 2002 da tre donne nell’area di Chicago, una cristiana, una musulmana e un’ebrea. Hamas ha ucciso Haidar Ghanem, palestinese attivista dei diritti umani che aveva rapporti con l’organizzazione israeliana pacifista B’Tselem. Ghanem era uno dei massimi attivisti a Gaza, credeva nella pace, nella democrazia e nei diritti umani. Per questo Hamas lo ha ucciso.
Come Richard Lakin, 76 anni, originario di Newton, Massachusetts, preside di scuola. La sua pagina Facebook mostrava un’immagine di bambini israeliani e arabi che si abbracciavano sotto la parola “coesistere.” Ha insegnato inglese in classi miste di musulmani ed ebrei a Gerusalemme dopo essersi trasferito in Israele nel 1984. Negli anni 60, Lakin era attivo nel movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, marciando con Martin Luther King e portando studenti da Boston al sud per i sit-in. I terroristi lo hanno ucciso a Gerusalemme.L’ebreo iracheno Gadi Rajwan dava lavoro a settanta palestinesi. Giorno dopo giorno, Gadi arrivava in fabbrica alle sei del mattino ed era benvoluto dai dipendenti. Quell’operaio palestinese lavorava per lui da tre anni. Gadi non ha neppure alzato gli occhi, il giovane gli ha sparato in faccia. Il padre, al funerale, continuava a scuotere la testa: “Com’è potuto succedere proprio a noi, proprio a noi che ci siamo sempre sforzati di fare tanto per tutti?”. Come Abigail Litle, che stava tornando a casa quando è stata uccisa. Abigail faceva parte di un programma arabo-ebraico per la pace. Quando l’esercito israeliano ha spianato un uliveto arabo per costruire la barriera di protezione, i kibutznikim di Metzer hanno proposto ai soldati di confiscare la loro terra, per non sacrificare gli ulivi dei palestinesi. Erano fatti così, ma nemmeno il più incallito pacifismo è servito a evitare la strage. Revital stava parlando al telefono con l’ex marito. Lo aveva chiamato impaurita dai colpi di fucile. Quando ha visto entrare il palestinese armato, la donna ha lasciato cadere il telefono ed è corsa nella stanza dove dormivano i figli. Il terrorista le è andato dietro. Le ha sparato mentre Revital, accovacciata a terra, cercava di proteggere il più piccolo, Noam; quindi ha ucciso anche il fratellino. I terroristi non hanno amici in Israele, mentre sembra averne davvero molti in occidente.
I pacifisti israeliani fanno parte di una filiera nobile occidentale che ha pagato con la vita. Due oculisti, un dentista, una nutrizionista e un infermiere specializzato. Cinque americani morti ammazzati, ognuno con la propria storia e la stessa identità, quella cristiana, che li ha esposti al macello dei talebani. Avevano portato cure e soccorso in una valle dell’Afghanistan dimenticata da tutti, dove neppure i guerriglieri islamici si spingevano più. I talebani li hanno massacrati senza pietà, accusandoli di voler convertire gli afghani al “Dio dei cristiani”. Il dentista Thomas Grams lavorava per un’associazione che fornisce cure dentistiche nel Terzo mondo. Ha sede nel Colorado, stato americano ad alta percentuale di evangelici. Aveva trentadue anni Cheryl Beckett, biologa nutrizionista, idealista figlia di un pastore del Tennessee. Beckett aveva già portato le sue cure in Honduras, Messico, Kenya e Zimbabwe. Un’altra vittima, l’infermiere Glen Lapp, veniva dalla Pennsylvania, terra di quaccheri e mennoniti, i tronconi più pacifisti del protestantesimo americano. Oculista era anche Tom Little da Delmar, nello stato di New York, storico frequentatore dell’Afghanistan da ben trent’anni, ucciso assieme all’amico Dan Terry. La moglie insegnante, Libby, alla Cnn ha detto che “Tom è morto nel posto che amava: offrendo cure oftalmiche in aree remote”. La coppia era arrivata nel paese per la prima volta negli anni Settanta. Beatrice Stöckli era già stata rapita nel 2012 e dopo il suo rilascio era tornata a Timbuktu per lavorare con donne e bambini. Poi un altro rapimento. E l’uccisione da parte dei fondamentalisti islamici in Mali. Beatrice era andata in Mali con il missionario tedesco Jörn Andre. Avevano fondato scuole in vari paesi africani con il nome di “New Life Africa.” André e il suo gruppo si erano ritirati dal Mali per motivi di sicurezza. Beatrice era rimasta.
Vittorio Arrigoni non era un pacifista e non faceva mistero di disprezzare gli israeliani. Una fotografia, diffusa dai siti israeliani, lo mostra a Gaza abbracciato al premier di Hamas, Ismail Haniyeh. Arrigoni era un duro della militanza pro Gaza. Ma i terroristi non lo hanno risparmiato. Arrigoni è finito come il cooperante inglese Alan Henning, andato a portare aiuti in Siria e decapitato dall’Isis. Quando in Iraq fu ucciso Enzo Baldoni, l’italiano ammiratore del subcomandante Marcos, il moralismo della bandiera della pace provò a distinguere tra il cattivo bodyguard che doveva portare la mesata a casa, il “mercenario” Fabrizio Quattrocchi, e l’“uomo di pace” Baldoni. Distinzione che non esisteva però agli occhi dei predoni islamisti, a Rafah come a Ramadi. In Iraq è morto anche Salvatore Santoro di Pomigliano, che era andato lì per collaborare con la ong pacifista Charity for England and Wales.
Angelo era un giovane comunista che cantava le “fionde palestinesi”. E’ stato ucciso a Gerusalemme: il terrorista pensava fosse ebreo
Il giovane romano Angelo Frammartino militava per Rifondazione comunista e l’Arci, cantava “le fionde dei ragazzi palestinesi”, ma è comunque finito accoltellato a Gerusalemme. Il suo carnefice riteneva che Angelo fosse “ebreo”. L’assassino, palestinese legato alla jihad islamica, era venuto a Gerusalemme con l’intenzione di uccidere un ebreo e ha trovato invece un giovane italiano. “Ma questo, il giovane palestinese l’ha saputo troppo tardi”, riportava il Tg3. Stando a questa narrazione, se solo il terrorista avesse saputo chi la sua lama stava per andare a sgozzare si sarebbe fermato in tempo, avrebbe abbracciato il pacifista e sarebbe andato alla ricerca di sangue ebraico.
Gadi Mozes, che ha compiuto ottant’anni in mano a Hamas e rilasciato a gennaio, è stato tenuto solo per tutti i 482 giorni in cui è rimasto sotto i terroristi. Non importa che prima del 7 ottobre si battesse per i due stati, per la pace, per la terra condivisa, per Gaza. Per i primi settanta giorni di prigionia, Mozes è stato in completo isolamento, chiuso da solo in una stanza buia. Mozes ha scoperto per caso, mentre era a Gaza, che sua moglie Efrat era stata assassinata nel kibbutz. Per gran parte del tempo, Mozes è stato tenuto in una stanza di due metri per due. Camminava avanti e indietro nella sua stanza un certo numero di volte al giorno contando le piastrelle del pavimento e intratteneva conversazioni immaginarie coi suoi cari. Ogni cinque giorni gli veniva data una bacinella di acqua per lavarsi e una tazza. Appena uscito, Mozes ha detto che un giorno avrebbe insegnato ai palestinesi di Gaza come coltivare la terra.
Freund a Hyppolite: “Sta facendo un errore, pensa di essere lei a designare il nemico, come tutti i pacifisti, ma è il nemico che la designa”
Qualche settimana fa Yonatan Zeigen, il figlio della pacifista uccisa da Hamas Vivian Silver, sul Guardian ha scritto che “l’unico modo è trasformare i nemici in partner”. Da qualche parte deve esserci in ebraico la traduzione di una frase di uno dei più noti filosofi francesi, Julien Freund.
Il suo professore, Jean Hyppolite, gli disse che non voleva sottoporre una tesi di laurea sulle orme di Carl Schmitt e che difendesse l’idea che non possa esserci politica senza il concetto di nemico. “Se hai davvero ragione – disse Hyppolite – non mi resta che coltivare il mio giardino”. E Freund gli rispose: “Ascolti Hyppolite, lei sta facendo un errore, perché pensa di essere lei a designare il nemico, come tutti i pacifisti. Finché non vogliamo nemici, non li avremo, pensate. Ma è il nemico che ti designa. E se vuole che tu sia suo nemico, puoi fargli le migliori offerte di amicizia. Finché vuole che tu sia il nemico, lo sarai. E ti impedirà anche di coltivare il tuo giardino”.