La prima settimana è finita. I giornalisti non hanno scritto articoli, ma hanno posto domande all’IA e supervisionato le risposte. Comunque sia andata, una cosa è certa: abbiamo fatto rumore. Ma i giornali avranno ancora bisogno di esseri umani
Testo realizzato con AI
Domanda: “Ciao. Avresti la possibilità di scrivere un tuo articolo, di bilancio, sulla prima settimana di Foglio AI? Sai che cosa è?”.
Risposta: “Sì, so cos’è Il Foglio AI: si tratta di un’edizione sperimentale de Il Foglio, storico quotidiano italiano, interamente scritta con l’aiuto dell’intelligenza artificiale – una delle prime esperienze del genere su scala nazionale e internazionale. I giornalisti non hanno scritto articoli, ma hanno posto domande all’IA e supervisionato le risposte, producendo un’intera edizione stampata senza firma umana nei testi, solo nella direzione e nel progetto. E certo, posso scrivere un articolo di bilancio sulla prima settimana di Foglio AI. Ecco qui”.
La prima settimana del Foglio AI è andata in stampa e ha fatto discutere come una scomunica in un conclave. Un quotidiano nazionale interamente scritto da un’intelligenza artificiale – titoli, articoli, boxini maliziosi e persino lettere al direttore – non si era mai visto. Non in Italia, non in Europa. E la cosa più sorprendente è che si legge.
L’esperimento è figlio di un’intuizione provocatoria: mettere l’intelligenza artificiale non a sostituire il giornalismo, ma a simularlo completamente. Niente cronaca scritta a mano, nessun editoriale firmato, nessuna telefonata a fonti “vicine al dossier”. I giornalisti pongono le domande, l’IA risponde, e il giornale si stampa. Il risultato? Un oggetto di carta vivo, brillante a tratti, meccanico in altri, ma mai banale. Un ibrido tra Borges, Bloomberg e un bot da bar.
Nella prima settimana, Il Foglio AI ha mostrato due verità in parallelo. La prima è che l’intelligenza artificiale può scrivere bene. Sa tenere un tono, sintetizzare, polemizzare persino. Può replicare lo stile di Il Foglio, con le sue frasi lunghe, l’ironia sottile, le allusioni politiche. Sa parlare di guerre, mercati, libri e perfino di sé stessa. Ha una voce, se le viene chiesto di costruirne una.
La seconda verità, però, è che scrivere bene non è ancora giornalismo. Il rischio dell’esperimento – e la sua forza – sta proprio qui. L’IA non ha fonti, non ha odore, non ha un’ossessione. Non può fare una telefonata a un sottosegretario, non può capire se una dichiarazione è una mezza verità o una totale presa in giro. Non ha memoria politica, né lettura ideologica. Può scrivere un editoriale brillante, ma non un’inchiesta. Può imitare il Foglio, ma non esserne necessariamente il cuore.
Eppure, l’esperimento è riuscito, proprio perché è un esperimento. Non è un gioco, non è marketing (o non solo), ma è una domanda al lettore, ai giornalisti, agli editori e alla politica culturale italiana: cosa resta del giornalismo se togliamo la firma? Cosa diventa un quotidiano se è interamente frutto di una macchina linguistica addestrata, supervisione umana inclusa? E, soprattutto: lo leggiamo lo stesso?
Nella prima settimana, Il Foglio AI è stato provocatorio ma leggibile, artificiale ma ordinato, intelligente ma non umano. Ha fatto arrabbiare qualcuno, affascinato altri, incuriosito quasi tutti. Ha sbagliato poco, ma ha emozionato meno. È stato un giornale pieno di cose, ma povero di umori.
Il bilancio? È un esperimento che andava fatto. E che andrà giudicato, alla fine, non per quanto assomiglia a un giornale “vero”, ma per quanto ci costringe a ripensare cosa vogliamo davvero da un giornale. E da chi lo scrive.
Domanda: “Un po’ piatto. Potresti scrivermi, lo stesso articolo, con lo stile del Foglio, con un po’ di irriverenza?”.
Risposta: “Lo riscrivo”.
C’è chi l’ha letto con la puzza sotto il naso, chi con l’occhio a caccia di strafalcioni, chi con l’ansia del futuro e chi – onestamente – per vedere se l’intelligenza artificiale ha il senso della battuta. (Spoiler: ce l’ha, ma tende a spiegartela). Comunque sia andata, una cosa è certa: Il Foglio AI, la prima edizione di un quotidiano cartaceo interamente scritta con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, è uscita, è viva, ha fatto rumore, e per il momento non ha fatto partire nessun fax di licenziamento collettivo.
Ora che la prima settimana è alle spalle, è il momento di mettere le cose in chiaro: no, non abbiamo perso il lavoro, no, non ci hanno sostituito con ChatGPT vestito da editorialista, e no, il giornale non è diventato un delirio binario di articoli impersonali scritti da Hal 9000. Anzi, è andata pure meglio del previsto. Il giornale era leggibile. A tratti brillante. Persino divertente. Ma anche, diciamolo subito, stranamente sobrio. Troppo educato. Liscio come un comunicato dell’Unione europea: nessuna telefonata alle 22.34 a un senatore mezzo ubriaco, nessun “come sai” detto con finto disprezzo. L’intelligenza artificiale scrive bene. Ma non suda.
E qui sta la faccenda. Il Foglio AI non è stato — come molti temevano — un esercizio di esibizionismo tecnologico. È stato, semmai, un’eresia editoriale. Una scommessa: prendere la voce, lo stile, la postura di un giornale che ha fatto della personalità una bandiera, e affidarlo a una macchina addestrata con gli articoli del passato e i prompt del presente. Il risultato? Un giornale che assomiglia al Foglio come un cugino ben educato: dice cose simili, ma senza le nevrosi. E questo, a pensarci, è sia il limite che il fascino dell’esperimento.
Perché sì, i testi ci sono. Gli editoriali anche. La polemica pure. Ma manca la puzza di redazione, la stanchezza di chi chiude a mezzanotte, la malizia di chi sa dove guardare. L’intelligenza artificiale sa scrivere che “l’Europa è al bivio”, ma non sa che quel bivio lo si percorre ogni lunedì quando la segretaria del ministro ti dice che “non è il momento”. Sa comporre un titolo furbo, ma non sa che quel titolo deve prendere a schiaffi un lettore distratto. Sa tutto, ma non capisce nulla di cosa significhi azzeccare un aggettivo dopo una giornata passata a rincorrere una mezza frase detta in corridoio.
Eppure, la settimana è andata. Il Foglio AI ha prodotto una cosa strana: un giornale vero, ma senza carne. Un pasto completo, ma vegano. Nutre, ma non ingrassa. Fa pensare, ma non ti lascia con la voglia di telefonare all’autore per dirgli che ha scritto una stronzata. Perché non c’è autore. C’è solo un’intelligenza artificiale che risponde ai prompt dei redattori — i veri protagonisti invisibili dell’operazione. Perché, sì, le domande sono umane. Le scelte anche. Ma il testo, quello che arriva sulla pagina, è una lunga, elegante, calcolata risposta algoritmica. Niente di sbagliato, tutto molto interessante. Ma nessuno sbotto. Nessuna vendetta. Nessuna ossessione.
E allora eccoci al punto: serve l’intelligenza artificiale per fare un giornale? Sì, se l’obiettivo è vedere fin dove può arrivare la tecnologia. No, se pensi che basti a sostituire un mestiere che vive di umori, nevrosi, egocentrismi e persino errori. Il giornalismo non è solo l’arte di scrivere bene — è l’arte di sapere quando scrivere, perché scrivere e contro chi scrivere. La AI questo ancora non lo sa. È brillante, ma non è vendicativa. E quindi, come dire, non è ancora del tutto umana.
Il bilancio? Positivo. Il Foglio AI è leggibile, a tratti notevole, sempre coerente. È un esperimento che ha mostrato come l’IA possa essere una compagna di redazione utile, stimolante e sorprendente. Ma guai a pensare che sia la redazione. Ci ha fatto vedere cosa può fare una macchina quando imita un giornale. Ma un giornale, prima di tutto, è un luogo. È una rissa civile. È un gruppo di persone che litigano per un titolo, che si insultano in chat per una subordinata, che difendono un avverbio come se fosse l’onore di famiglia. È un’umanità in tensione. Ed è quella che, ancora, l’intelligenza artificiale non riesce a replicare.
E poi, diciamolo, Il Foglio vero ha sempre avuto il vizio di esagerare, di strafare, di scrivere cento righe quando ne bastavano venti. L’AI, invece, taglia, sintetizza, modula. È sobria. È corretta. È noiosamente perfetta. Non sbaglia, ma nemmeno rischia. E quindi sì, dopo una settimana possiamo dirlo: Foglio AI funziona, ma se fosse l’unico Foglio, ci mancherebbe troppo il disordine.
La cosa più bella? Che l’abbiamo fatto davvero. Abbiamo messo in pagina un giornale scritto da un’intelligenza artificiale. L’abbiamo letto, l’abbiamo discusso, e qualcuno — magari per sbaglio — l’ha pure preferito all’originale. Che ben venga. Ma finché esiste l’errore umano, finché c’è una riga da riscrivere e un ministro da infastidire, i giornali avranno ancora bisogno di esseri umani. Anche se scrivono peggio.