Tra fast food e palazzoni. Il libero mercato nelle poesie di Tawara Machi

L’autrice cattura la confusione e la disillusione di una giovane giapponese che vive in un periodo di rapida trasformazione economica. Ciò che è completamente assente nel suo libro, L’anniversario dell’insalata, è l’appagamento: tutto ha già bypassato la fase dell’emozione

Scrivendo de L’anniversario dell’insalata di Tawara Machi (Interno Poesia, 2024) dovremmo partire da qui: “capisco / che sono innamorata / dal fatto che con te / anche il sushi più economico / mi sembra delizioso”. Provate a negare di averlo vissuto anche voi. Il libro, tuttavia, è stato scritto nel 1987 da una ventiseienne che viveva in quegli anni la grande trasformazione economica giapponese (prima della grande crisi che seguirà), leggermente in ritardo sui vicini americani che si erano abituati alle grandi insegne e ai tabelloni pubblicitari da tempo. Noi, che viviamo di costanti anticipazioni – oggi le pubblicità in Occidente non propongono prodotti, raccontano una storia già tutta nel futuro; compriamo un obiettivo, siamo la civiltà dei goal e dei target, surrogati della Provvidenza – non riusciamo neanche a immaginare quello sballottamento, la sbornia generalizzata del momento. Possiamo provare ad avvicinare a questo fenomeno, forse, quello dei nostri paninari, più o meno coevo. Ma con il presente cosa c’entra? Poco o nulla. Nonostante questo, L’anniversario dell’insalata sembra parlarci.

Damiana De Gennaro, che ha curato la traduzione e questa edizione, fornisce con ordine e lucidità alcuni strumenti per provare a interpretare la raccolta. La colonizzazione dell’immaginario da parte del cibo – cos’è se non ciò che oggi chiamiamo, in nome della verticalità mediatica, “tema-FOOD” – e la solitudine architettonica dei negozi, tutti uguali e alienanti – cos’è se non la milanesizzazione dell’immaginario abitativo (grattacieli e palazzoni possibilmente vicini alle stazioni delle metro). L’amore come cerimonia di passaggio dalla tarda adolescenza all’adultità, questa parola rara che sembra fare da controcanto nostrano all’analisi della curatrice, riportando alla mente proprio il pensiero di chi questo lemma lo ha introdotto, Alberto Savinio: “Dialogo eterno fra popolo e capitale – dialogo senza risposta: immagine riflessa dell’altro dialogo, ben più grandioso tra infanzia e adultità: dimostrazioni tragiche entrambe che ogni rivoluzione è un desiderio senza possibilità di appagamento”.

E in effetti ciò che è completamente assente nella raccolta di Tawara Machi è proprio l’appagamento. Tutto è già sfibrato, già digerito, ha bypassato la fase dell’emozione. Ha, cioè, fin da subito trovato una parola, un oggetto o un concetto con cui chiamarsi. Lasciarsi cos’è, allora, per una giovane le cui parole fanno riferimento all’alfabeto materiale della civiltà dei consumi? “lo lascerò / come alzandomi / e uscendo / da una catena / di fast-food”. Che questa visione possa avere analogie, come sostenuto da De Gennaro, con le analisi sul capitalismo di Mark Fisher è possibile; che si debba trovare necessariamente in questa raccolta quell’unica direzione interpretativa, sostanzialmente anticapitalista, non credo. Forse, più che alienata perché investita da un consumismo che spinge verso l’anonimato cose e soggetti, Tawara Machi è stata semplicemente una giovane che ha attraversato una grande rivoluzione: il libero mercato.

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