Le grandi aziende del tech stanno cercando di influenzare la Casa Bianca per quanto riguarda le AI. Per farlo, sembrano intenzionate a sfruttare lo spauracchio Cina per ottenere ciò che vogliono veramente: usare materiale protetto da copyright
La scorsa settimana Google e OpenAI hanno dato dei consigli all’amministrazione Trump, nella speranza di influenzare la nuova strategia degli Stati Uniti per le intelligenze artificiali. Dopo un paio di anni di entusiasmo e crescita continua, infatti, a gennaio un evento ha scosso gli animi di chi credeva nella supremazia a stelle e strisce del settore. Tutta colpa di DeepSeek, l’azienda cinese che ha presentato dei modelli linguistici molto più potenti del previsto – ma soprattutto, più economici da sviluppare e mantenere.
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Il fatto che la Cina, nonostante i divieti alle importazioni dei chip più avanzati, sia riuscita a sviluppare tecnologie comparabili (almeno ad oggi) a quelle di OpenAI, è stato un campanello d’allarme per tutto il settore. E la politica. È anche per questo che nelle richieste avanzate a Trump dalle due aziende si respira lo spirito del tempo, con diffusi riferimenti alla sicurezza nazionale e alle applicazioni militari delle AI. Dietro a ChatGPT e software come Sora, in grado di generare video, insomma, si nasconde la chiave per la supremazia tecnologica del futuro.
Le parole più schiette vengono proprio da OpenAI, il cui capo Sam Altman, lo scorso gennaio, ha presentato Stargate, fumoso piano di investimenti privati da 500 miliardi di dollari, proprio alla Casa Bianca. “Il governo federale”, si legge nel sito dell’azienda, “può garantire agli americani la libertà di apprendere dall’IA, ed evitare di cedere il nostro vantaggio nell’IA alla Repubblica Popolare Cinese”. Lontani i tempi in cui OpenAI se la prendeva con i modelli open source: il presidente era Joe Biden, all’epoca, e il problema sembrava essere la concorrenza nazionale.
Leggendo le dichiarazioni delle aziende appare evidente come la Cina sia soprattutto un pretesto, lo spauracchio ideale per convincere Trump e i suoi a cambiare alcune norme che con la sicurezza nazionale hanno poco a vedere ma sono da tempo al centro delle loro preoccupazioni. È per questo che sia OpenAI che Google concordano sull’esigenza di rendere meno severe e restrittive le norme sul diritto d’autore, che, a detta loro, rischiando di azzoppare le AI generative americane rispetto a quelle cinesi.
Uno dei problemi più discussi di queste tecnologie, in particolare dei modelli linguistici di grandi dimensioni, è il cosiddetto training data, i dati su cui effettuare l’addestramento delle reti neurali. Com’è noto, le principali aziende e startup del settore hanno utilizzato dati presi dal web in modo non sempre trasparente – eufemismo –, minando lo sviluppo futuro del settore con possibili azioni legali da parte dei legittimi proprietari delle opere utilizzate. Tra tutte, la causa intentata dal New York Times proprio contro OpenAI.
Questioni legali a parte, il problema è che i dati sono finiti. O meglio, stanno finendo, perché ne servono sempre di più e devono essere di qualità (si possono usare anche quelli “sintetici”, ovvero i dati che a loro volta sono stati generati dalle AI, come fatto dalla stessa DeepSeek, ma è una questione delicata). Al settore farebbe quindi comodo sbloccare una nuova riserva di dati ad oggi inaccessibili, sia per il training che per consultarli per offrire risposte migliori e più complete.
È questo che Big AI sembrare chiedere al governo Usa, quella che OpenAI ha definito “una strategia per il diritto d’autore che promuova il diritto di apprendere”. O, per dirla con il comunicato di Google, che chiede la stessa cosa, un modo di evitare i “negoziati lunghi, sbilanciati e imprevedibili” con i proprietari dei diritti.
Il dilemma posto al governo Usa è chiaro: vogliamo che la Cina trovi una sua strada verso il dominio nelle AI oppure preferiamo mantenere il vantaggio strategico e tecnologico che abbiamo accumulato con tanta fatica? Per riuscirci, dobbiamo mettere in discussione una delle poche barriere ancora in grado di frenare – non bloccare – l’avanzata del settore, ovvero il copyright. Sono argomenti molto forti, specie per una Casa Bianca tanto vicina a Big Tech e decisa a farsi valere su Pechino; il rischio è che, con la scusa della sicurezza nazionale, si minino le basi del diritto d’autore e del trattamento dignitoso di chi ha realizzato le opere su cui le AI si allenano.