“Mi chiamo Eli e sono tornato dall’inferno di Gaza”. E il Palazzo di vetro va in frantumi

“Ho visto più di cento terroristi filmarsi mentre festeggiavano nei nostri giardini mentre massacravano i miei amici e vicini”: il discorso all’Onu di uno degli ostaggi israeliani liberati il mese scorso, smunto e senza più la moglie e le figlie. Uccise da Hamas

“Mi chiamo Eli Sharabi. Ho 53 anni. Sono tornato dall’inferno. Sono tornato per raccontare la mia storia”. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu non l’aveva mai sentito un discorso simile. Lo ha pronunciato uno degli ostaggi israeliani liberati il mese scorso da Gaza, smunto, appena si reggeva in piedi, senza più la moglie e le figlie, uccise da Hamas. “Il 7 ottobre il mio paradiso si è trasformato in inferno. Sono stato strappato via dalla mia famiglia, per non vederli mai più. Per 491 giorni, sono stato tenuto sottoterra nei tunnel del terrore di Hamas, incatenato, affamato, picchiato e umiliato. Sono sopravvissuto con avanzi di cibo, senza cure mediche e senza pietà”. Quando è stato rilasciato, Eli pesava 44 chili. Ne aveva persi 30, la metà del suo peso corporeo.

“Ho sognato di rivedere la mia famiglia e solo quando sono tornato a casa, ho scoperto la verità” ha detto Sharabi al Consiglio di sicurezza dell’Onu. La moglie e le figlie massacrate dai terroristi di Hamas. Il corpo di suo fratello Yossi, assassinato durante la prigionia, è ancora in ostaggio. “Mentre mi trascinavano fuori, ho gridato alle mie figlie: ‘Tornerò’. Ma quella è stata l’ultima volta che le ho viste. Ho visto più di cento terroristi filmarsi mentre festeggiavano, ridevano, facevano festa nei nostri giardini mentre massacravano i miei amici e vicini”. Quando è arrivato a Gaza, una folla di civili ha cercato di linciarlo. “Mi hanno tirato fuori dall’auto, ma i terroristi mi hanno portato via di corsa in una moschea. Ero il loro trofeo”. Per i primi 52 giorni, Eli è stato tenuto in un appartamento. Era legato con delle corde. “Le mie braccia e le mie gambe erano legate così strettamente che le corde mi laceravano la carne. Non mi hanno dato quasi niente da mangiare, niente acqua e non riuscivo a dormire. Il dolore era insopportabile”.

Poi Hamas lo ha portato in un tunnel. A cinquanta metri sottoterra. Le catene non gliele hanno mai tolte. “Quelle catene mi hanno lacerato fino al giorno in cui sono stato rilasciato. Ogni passo che facevo non era più lungo di dieci centimetri. Ogni passeggiata verso il bagno richiedeva un’eternità. Non riesco nemmeno a descrivere l’agonia. Era un inferno”. Gli davano da mangiare un pezzo di pita al giorno. La fame consumava tutto. “Mi picchiavano. Mi rompevano le costole. Non me ne importava. Volevo solo un pezzo di pane. Non c’era mai abbastanza cibo. A volte, se imploravamo abbastanza, ottenevamo qualcosa in più. Dovevamo scegliere: un pezzo di pita in più o una tazza di tè. A volte ci lanciavano datteri secchi, e sembrava il regalo più bello del mondo. Dovevamo implorare cibo, implorare di andare in bagno”. L’implorazione era la sua esistenza.

Un giorno Eli si è tagliato con un rasoio per fargli credere che era ferito. “Sono crollato mentre andavo in bagno così avrebbero pensato che ero troppo debole e li avrebbero incoraggiati a darci altro cibo. Ha funzionato. Ci hanno dato altro cibo. Siamo sopravvissuti grazie a quelle piccole vittorie”. Ha fatto solo un bagno al mese, con mezzo secchio di acqua. Un giorno, un terrorista ha sfogato la sua rabbia su Eli. Gli ha rotto le costole. “Non sono riuscito a respirare correttamente per un mese”. L’8 febbraio Eli è stato rilasciato. Pesava 44 chili. “Meno del peso corporeo della mia figlia più piccola, Yahel. Ero un guscio di me stesso. Lo sono ancora”. Una rappresentante della Croce Rossa gli ha detto: “Ora sei al sicuro”. “Dov’era stata la Croce Rossa negli ultimi 491 giorni?”, ha detto ancora Eli all’Onu. “Dov’erano le Nazioni Unite?”. A redarre rapporti in cui Sharabi è ritratto come il colpevole del proprio rapimento e dell’uccisione dei suoi familiari, ecco dov’era.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.

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