La nuova politica dello Spirito, oggi al cospetto del conflitto tra dis-ordini

Accettare il trauma del cambiamento di un’epoca richiede un confronto aperto sui valori e sulle direzioni dell’agire politico. L’Europa ha dimenticato la vita dello Spirito, cancellato insieme alla tragedia assoluta della Seconda guerra mondiale, periodo da cui vive una lunga fase di latenza

Nei tragici, tumultuosi e potenti decenni della prima metà del Novecento, Paul Valery rifletteva sulla necessità di “una nuova politica dello Spirito” (una parte di queste riflessioni si trova nel bel volume pubblicato da Aragno In morte di una civiltà). Ora, partendo dal presupposto che non so quanto sia convincente la parola “politica” associata a quella di “Spirito”, resta però chiaro e, penso, straordinariamente attuale il concetto di fondo che Valery voleva esprimere. Di fronte alla parola Spirito spesso si fugge a gambe levate, e magari, spesso, lo si fa con ragione. Cosa significa Spirito? Infinite le declinazioni di questo nome, da quelle strettamente religiose alle derivazioni hegeliane. Ma per Spirito non credo si dovrebbe intendere altro, almeno nell’ordine di questo discorso, che la tensione degli individui che abitano un’epoca a generare un senso comune del proprio esistere.

Lo Spirito è il cammino intrapreso da un’epoca che si forma attraverso il cammino stesso. Non esiste aprioristicamente. Per quanto riguarda invece la politica, in questo contesto, essa deve essere intesa come il modo in cui ci si relaziona tra gli uomini, e la direzione (la destinazione) che si imprime a tale relazione. La questione dello Spirito è chiaramente una questione di “senso”, e con nuova politica dello Spirito bisogna intendere proprio questo, ovvero un tentativo sia di natura pratica sia di natura teoretica di ritrovare un senso dell’agire, o meglio, della direzione da dare a questo agire. La divisione in occidente, oggi, non sta tanto nella società (la società è sempre strutturalmente divisa, ossia è sempre in una situazione di elastica tensione polare, perlomeno quando è viva e vivace) quanto nell’individualità stessa occidentale che si interroga sul “perché” agire, sul “come” agire, su “a quale fine” agire.

La situazione di guerra diffusa in cui siamo immersi, da nuovo ordine del mondo, inevitabilmente interroga sulla cornice di senso in cui iscrivere le nostre azioni. Pensare di potere semplicemente adottare grandi provvedimenti politici, costantemente emergenziali, senza darsi una politica dello Spirito adeguata al nuovo corso che si vuole dare rischia di essere inefficace e di creare scollamento totale tra classe politica e cittadinanza. La politica che agisce e decide è un bene, in fin dei conti è quella l’attività politica per eccellenza, la decisione. Ma una politica che decide in un momento decisivo, ossia di rottura/passaggio, deve decidere avvertendo la radicalità di un momento che è ri-fondativo. E proprio qui sta il punto.

Una nuova politica dello Spirito non è una ricetta ma essenzialmente una domanda, un interrogativo intorno al fine dell’azione, al fondamento dell’azione. Una domanda spregiudicata intorno a quali siano i “valori” a partire dai quali muovere. L’aspetto meramente “quantitativo”, da pura ragione calcolante (del tipo: è giusto fare così perché così si ottiene il migliore risultato possibile su un grafico posto tra ascissa e ordinata) non è sufficiente. Questo modo quantitativo è essenziale per l’amministrazione quotidiana, è vitale e imprescindibile, ma non è il ragionare per l’epoca della decisione. Ciò che eccede il “quantitativo”, il calcolabile, riguarda la politica dello Spirito. E già pensare attraverso il concetto di Spirito è un pensare ri-fondativo. Perché è nell’eccedenza, nell’inafferrabilità concreta che quella parola porta con sé, in quel che non sappiamo eppure riconosciamo come reale, come ciò che ci costituisce e ci è effettivamente, per quanto ineffabilmente, vicino che sta ciò che è più importante, ciò che riguarda una politica dello Spirito.

Il trauma della rottura dell’ordine precedente è l’inizio di una nuova fase dello Spirito ossia di quella sfuggente certezza che è ciò che tiene insieme un’epoca e le fornisce un senso. Ma dato che non siamo in un’epoca in cui il conflitto tra valori è un conflitto tra valori fondati storicamente e filosoficamente (tale è stata l’epoca terminata con la Seconda guerra mondiale), oggi ci troviamo nel momento della massima nudità, ossia nel momento in cui nessun valore del passato sembra conservare una reale forza, una reale assolutezza e imprescindibilità e che possa quindi essere usato per ri-fondare un ordine. Quello attuale, invece di un conflitto tra “ordini” che vogliono affermarsi, sembra un conflitto tra dis-ordini (tra chi è perso in un passato cupamente reattivo – la Russia; chi è perso in un futuro ineffabile e un po’ infantile, quindi imprevedibile, ma fertile – l’America; chi è perso in se stesso, nella propria sclerosi burocratizzata, nel proprio eroismo impiegatizio – l’Europa).

L’Europa ha dimenticato la vita dello Spirito, cancellato insieme alla tragedia assoluta della Seconda guerra mondiale, periodo da cui vive una lunga fase di latenza che ora termina. L’idea di un “mai più”, su cui pure l’Europa si è costruita, ha implicato una volontà di rimuovere ogni traccia di negativo. Ma il processo storico di cui i cambiamenti d’epoca segnano gli inesorabili passaggi sono fatti di negativo che, prima o poi, rifà sempre la sua comparsa come meccanismo di rinnovamento, così come la vita si rinnova attraverso la morte. Se non si accetta tale tragica eventualità si muore per sempre. E tutta questa idea, questo “soggiorno presso il negativo”, per dirla ora con Hegel, è precisamente la concretissima realtà dello Spirito. “Lo Spirito ha rotto i ponti con il precedente mondo della sua esistenza e delle sue rappresentazioni, ed è in procinto di sprofondarlo nel passato: vive il travaglio della propria trasformazione. […] La vita dello Spirito non è quella che si riempie d’orrore dinanzi alla morte e si preserva integra dal disfacimento e dalla devastazione, ma è quella vita che sopporta la morte e si mantiene in essa. Lo Spirito conquista la propria verità solo a condizione di ritrovare se stesso nella disgregazione assoluta”.

Che fare allora? Impossibile nominare una soluzione di pura pratica, ma allora sarà che questa assenza di risposta sia la vera risposta attuale che deve invitarci a continuare a domandare. La politica dello Spirito deve quindi essere promozione della domanda, che significa anche accettare il conflitto tra le risposte che via via si possono fornire. Significa aprire l’ordine del discorso pubblico, non chiuderlo reattivamente. Perché è probabile che un nuovo ordine possa emergere solo da un conflitto aperto, almeno un conflitto di discorsi.

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