Inizia il Sei Nazioni femminile. Intervista a Beatrice Veronese

“Il rugby per me è stato, da subito, uno sfogo positivo. Fin dal primo istante mi sono sentita me stessa, la vera Beatrice, capita, compresa, senza pregiudizi, la Beatrice che mi piace”. Parla la terza linea del Valsugana e della Nazionale

Sei Nazioni donne. Comincia sabato con Irlanda-Francia (alle 14) e Scozia-Galles (alle 17.45), domenica si gioca Inghilterra-Italia (alle 16, diretta Sky). Fra le azzurre Beatrice Veronese, 29 anni, padovana, terza linea del Valsugana, 22 volte nazionale.

Il rugby, istintivamente?

“Come un amore a prima vista, ma solo dopo una lunga rincorsa. Otto anni di danza classica: la mia educazione. Poi kayak, tutti i giorni, anche due volte al giorno: la mia sfida. Finché a 17 anni, in quinta superiore, su invito di un’amica, ho provato. E mi è piaciuto da matti: la mia passione. Per un po’ ho raddoppiato, kayak la mattina all’alba, rugby la sera al tramonto, e intanto la scuola, con tanto di esami di maturità. Fin troppo. E quando ho dovuto scegliere, nessun dubbio: rugby”.

Il rugby, filosoficamente?

“Lo so, può suonare retorico, ma è la verità vera: il rugby prepara alla vita. Perché ti insegna ad adattarti, sostenere, fissare un obiettivo comune e non perderlo di vista, affrontare difficoltà e imprevisti. Che su un campo, per quanto si possa pianificare, programmare, prevedere, difficoltà e imprevisti si moltiplicano sempre diversi, sempre nuovi. E così è anche nella vita quotidiana”.

FIR/Getty Images

Il rugby, praticamente?

“Per me, per il mio ruolo e i miei compiti, a tutto campo, attacco e difesa, mischie chiuse e gioco aperto, è lavoro sporco. Che non significa falloso o trasgressivo, ma oscuro se non invisibile. Però è quello che contribuisce alla buona riuscita del gioco. Lotta, combattimento, disponibilità. Punti di incontro alla conquista del possesso del pallone. Fondamentale. E meraviglioso”.

Il rugby, umanamente?

“La felicità. Per me è stato, da subito, uno sfogo positivo. Fin dal primo istante mi sono sentita me stessa, la vera Beatrice, capita, compresa, senza pregiudizi, la Beatrice che mi piace. Da qui la serenità e la felicità, anche in quelle giornate che sembrano negative o dove, di negativo, c’è il risultato. Ma questo è il mio modo, il mio mondo, la mia dimensione”.

Il rugby, emotivamente?

“Un universo di emozioni. Ci sono proprio tutte, non ne manca neppure una. L’attenzione, la concentrazione. La pressione, la tensione. La responsabilità. La rabbia. La voglia. E immagino che nel Sei Nazioni, un livello altissimo, tutte queste emozioni saranno vissute all’ennesima potenza. Ma non mi spaventa, mi sento pronta, anzi, non vedo l’ora”.

Il rugby, musicalmente?

“Dipende dalla partita. C’è partita e partita, così c’è musica e musica. Quando la partita è fisicamente tosta, allora musica elettronica. Quando la partita è tutta corsa e gioco, allora musica classica, dove l’armonia e il ritmo sono più individuabili e si seguono più facilmente”.

Il rugby, strategicamente?

“E’ un gioco intelligente. Di forza, energia, impatti, combattimento, ma dopo aver cercato di scoprire i punti più carenti, quelli su cui concentrarsi. Dunque dopo aver visto e rivisto, studiato, osservato, impostato. L’Inghilterra, per esempio. La più forte al mondo. E forte dovunque, soprattutto fisicamente. Dovremo stare attente a non lasciare spazi. L’effetto potrebbe essere devastante”.

Il rugby, economicamente?

“Di rugby non si campa. Laureata in Traduzione e Interpretariato, lavoro per un’azienda nel marketing e nella comunicazione. Sono fortunata: il lavoro è part time, con la Federazione ho un contratto che mi supporta, e poi casa, lavoro e squadra sono tutti a Padova, e questo mi semplifica la vita. Quanto andrò avanti? Finché il corpo me lo permetterà”.

Il rugby, femminilmente?

“Non esistono sport maschili o femminili. Esistono gli sport e, piuttosto, modi diversi di interpretarli, praticarli, viverli. Sul rugby giocato dalle donne c’è ancora molta ignoranza e ancora molto pregiudizio. Più facile vincere l’ignoranza: basta vedere una partita di rugby. Più difficile abbattere un pregiudizio. C’è da lavorarci. E noi ci stiamo lavorando”.

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