Fenomenologia del poeta a tradimento

In un mondo in cui tutti parlano, lui avverte d’improvviso l’insopprimibile desiderio di gorgheggiare, non importa con quante stonature. Convinto che fare poesia significhi andare spesso a capo ed esprimere concetti vaghi compulsando il dizionario alla ricerca di sinonimi aulici

Conosciamo tutti, nevvero, il poeta a tradimento: si tratta del collega, dell’amico, del parente che, quando meno ce l’aspettiamo, rifila una copia del proprio volumetto di versi, magari autopubblicato, rivelandoci un’attività di cui non sospettavamo l’esistenza o che, quanto meno, ci auguravamo restasse clandestina. Benché di solito il poeta a tradimento sia un brav’uomo, sovente incensurato, all’atto della consegna del libro vacilla la concezione stessa che abbiamo di lui: la poesia mette infatti a nudo una parte intima dell’anima che, come tale, l’autore non mostra alla luce del giorno, in famiglia o in ufficio, ma che non ha remore a spiattellare sulla pagina; crea una spiazzante sovrapposizione fra la sua identità nota e un io lirico tutt’a un tratto scatenato. Non di rado, del resto, il poeta a tradimento è convinto che fare poesia significhi andare spesso a capo – in ciò non dissimile da tanti sedicenti autori convinti che lo scrivere coincida col battere a macchina – ed esprimere concetti vaghi compulsando il dizionario alla ricerca di sinonimi aulici.

Ciò implica che la parte intima sia altresì la parte brutta; il comune senso del pudore conferma che ciò che è intimo e brutto, gradevole quantunque ad aversi, fa bene a restar nascosto in società. Una cronaca ammantata di leggenda racconta che, una ventina d’anni fa, il nostro ministro degli Esteri in visita in Giappone si sentì rivolgere la richiesta di cantare qualcosa all’ultima cena di gala; da uomo elegante e sobrio, ricusò fino a che il suo omologo nipponico, insistendo più volte, riuscì a persuaderlo. Si alzò allora e cantò “Quel mazzolin di fiori”, stonato e arrossito, prima che il ministro giapponese tenesse un discorso seriosissimo su accordi commerciali e sistemi di difesa. L’interprete aveva tradotto “cantare” anziché “parlare”. Ecco, il poeta a tradimento è colui che, in un mondo in cui tutti parlano, d’improvviso avverte l’insopprimibile desiderio di gorgheggiare, non importa con quante stonature: l’effetto cringe della poesia è identico. A chi non piace cantare? E a chi non piace sentir cantare? Ciò nondimeno, è meglio se lo fanno solo i professionisti, quando vengono pagati per farlo.

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