Business o necessità? La discreta, elegante coda per vendere i gioielli

A Milano sono sempre di più quelli che vendono i gioielli di famiglia per mantenere il proprio stile di vita. Un fenomeno discreto, tra lusso e decadenza, che si svolge nei negozi specializzati della città

Non si sa se i ricchi piangano davvero, a Milano, ma nel caso sono lacrime impreziosite dalle gemme di madri e di nonne che una volta venivano custodite con cura nei portagioielli o in cassette di sicurezza, mentre ora finiscono dietro ai banchi eleganti di negozi discreti e di buona clientela che comprano sterline d’oro, orologi di lusso e persino diamanti che finiscono nei mercati di Tel Aviv, New York, Anversa. Basta fare un giro in uno degli istituti più accreditati che acquistano le gioie di una Milano più che benestante per vedere sciure distinte, eleganti, che attendono il loro turno davanti alle vetrine della “boutique” dell’Ambrosiano Milano di via del Bollo, nella City meneghina, guidata da Paolo Cattin, esperto nel commercio di orologi d’epoca e proprietario della collezione di Rolex Daytona. C’è chi dice, con malcelato imbarazzo, che sta svuotando la casa della vecchia zia e chi invece, più disinvolta, afferma di voler vendere i gioielli che ormai “non si portano più”. C’è la signora elegante con il cappellino a fiori, la “pelliccetta” come si dice a Milano, che sussurra all’impiegato dietro al vetro, tenendo un sacchettino di tela colorata in mano: “C’è Paolo? Ho un appuntamento”.



Tutto questo accade nel cuore economico e finanziario di Milano. Palazzo Mezzanotte sede della Borsa, una delle più importanti d’Europa, è dietro l’angolo. Qui ci sono i ristoranti che contano, per i meeting d’affari con il risotto e l’ossobuco. Sempre pieni per carità. All’ora di pranzo, quelli che non sono al ristorante, sono qui davanti a far la fila in una stradina stretta, via del Bollo – una delle storiche Cinque Vie di Milano, qui c’era l’antica Posta. Dietro alla vetrina discreta, un understatement come non se ne vede più a Milano, c’è una doppia fila di impiegati davanti al computer. Per tutti, clienti nuovi e vecchi, venuti qui con la mercanzia, li aspetta il gentile cadeau: mezzo chilo di riso di quello buono per fare il risotto. Magra consolazione per chi sta svendendo il patrimonio di famiglia e un bel po’ di storia. Quella dei suoi avi e pure della città.
 Sarà anche vero, come è vero, che il prezzo dell’oro ha raggiunto un valore record e questo invoglia, e infatti i clienti vengono anche a vendere i lingotti di famiglia tramandati da chissà quante generazioni, ma nella ricca piazza milanese che ha tanta “robba” da offrire a collezionisti e compratori, Paolo Cattin vede arrivare ogni giorno 70-80 persone persino con le 500 lire d’argento che una volta facevano parte delle collezioni familiari e hanno scritto una pagina importante della storia italiana – le più pregiate, le caravelle con le vele al contrario o le più popolari con l’effige di Gugliemo Marconi – “una piccola percentuale, il 2 per cento, vende gioielli e metalli preziosi perché è in difficoltà”, ammette il titolare.

Magari non per pagarsi le bollette dell’energia sempre più cara ma “per mantenere un alto tenore di vita in una congiuntura diventata complessa, per tutti perché davanti alle incertezze del mercato, vogliono accumulare cash”. Difficile sapere cosa si celi dietro quel 2 per cento di persone disposte a vendere gli ori di famiglia o se la percentuale sia più alta, perché la discrezione è regola all’Ambrosiano. Anche se dietro il dato delle sue vendite, 80 per cento metalli preziosi e il resto gioielli e orologi, si può intuire una decadenza mantenuta nel riserbo. “La nostra clientela è facoltosa, ha tanti asset e immobili”, ci ripete e ribadisce Paolo Cattin, “arriva e poi ritorna perché spinta dalla crescita del valore dell’oro”.

Magari vendono gemme, ori e argenti solo per mantenere una rendita di posizione, ma c’è anche un signore anziano, ci hanno raccontato, che arriva una volta alla settimana per vendere una singola sterlina d’oro. E viene qui, dove discrezione e professionalità offrono un porto sicuro per vendere la ricchezza accumulata, senza sentirsi a disagio. Ma se una sciura, tacchi bassi, sguardo sfuggente, soprabito di marca, ci dice di aver venduto gli ori della nonna e ora è qui con i gioielli della mamma, forse oltre il ceto medio al centro della narrazione mainstream sull’impoverimento, bisognerebbe raccontare anche la saga della borghesia milanese sul punto da vendere gioie e ricordi di famiglia.

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