Un tribunale ha condannato l’organizzazione ambientalista a un risarcimento di 660 milioni di dollari a favore di una compagnia petrolifera. Pensare di essere dalla parte di buoni non autorizza a diffamare gli avversari
Non è mai bello né utile quando quella che dovrebbe essere una normale contesa politica finisce in tribunale con richieste di danni reciproci da parte dei contendenti. Ma qualche volta capita e se capita forse è il caso di capirne il perché. Un tribunale americano ha condannato Greenpeace a un risarcimento monstre, 660 milioni di dollari, a favore di una compagnia petrolifera, Energy Transfer, che gestisce l’oleodotto del Nord Dakota. La società aveva presentato una denuncia contro Greenpeace per diffamazione e incitazione alla violenza alcuni anni fa quando l’oleodotto era in costruzione. E’ chiaro che l’entità del risarcimento, contro il quale Greenpeace ha presentato ricorso, è tale da portare alla bancarotta l’organizzazione ambientalista con il marchio forse più famoso al mondo. Per cui ci auguriamo che nei prossimi gradi di giudizio esso possa essere radicalmente ridotto. Ma forse anche Greenpeace potrebbe capire la lezione.
L’essere, o il pensare di essere, dalla parte dei “buoni” non autorizza a propagare ogni genere di informazione tesa a diffamare l’avversario e a falsificare costantemente la realtà delle cose con la diffusione di teorie che non reggono ad alcuna prova scientifica, Cosa che costantemente Greenpeace fa. Il fatto è che a fatica può essere definita un’associazione ambientalista. Intanto perché non è un’associazione con iscritti e procedure democratiche, ma un’azienda multinazionale di professionisti della comunicazione che si finanzia perorando cause ambientaliste a prescindere dalla loro effettiva validità. Molti suoi militanti per primi hanno denunciato questa deriva. L’importante per Greenpeace è sollevare emozioni forti e che le emozioni spingano a mettere mano al portafoglio delle donazioni. Il carattere poco no profit dell’organizzazione emerse anche in un’inchiesta dello Spiegel di alcuni anni fa relativa ad una tentata speculazione contro l’euro che causò una perdita di 4 milioni all’organizzazione. Così come molti dubbi vi sono sulla scarsa trasparenza dei conti dell’associazione che al riparo dello statuto no- profit coltiva affari in vari campi.