E’ stata la serie più vista nei primi tre giorni di programmazione, e non solo in Italia. Ma la piattaforma non comunica il numero esatto di spettatori e rimanda la conta degli abbonati a quando verranno raggiunti grandi (e fantasiosi) traguardi
Come va “Il Gattopardo” made in Netflix? E’ stata la serie più vista nei primi tre giorni di programmazione (ha debuttato il 5 marzo). E’ stata la serie più vista nelle settimane seguenti, e non solo in Italia – questo “Gattopardo” diretto da Tom Shankland viene distribuito nei paesi dove la piattaforma esiste e funziona (niente Russia, dal 2022). “Intratteniamo il mondo, un fan alla volta”, dice lo slogan. Se li consideriamo tutti insieme, sono mezzo miliardo di persone, in 50 lingue.
Ma quanti spettatori hanno visto Angelica e Tancredi? Netflix non diffonde queste cifre. Ha fatto un paio di eccezioni, specificando “visto, significa visto per venti minuti”. Abbiamo commentato, più che altro fatto battute, perché davvero non è un dato sensato. Niente. Celebrano il numero degli abbonati, calcolano le percentuali di crescita, e basta. Ogni trimestre gli analisti immaginano una discesa che sembra inevitabile. E invece niente. Leggiamo sulla “pagina dei numeri” del mensile francese Première (numero uscito lo scorso febbraio) un poco lusinghiero paragone tra i numeri di Netflix e gli ascoltatori di France Inter. L’uno e l’altra dominano il panorama mediatico, ma è difficile spiegare perché. Come se il mondo intero smaniasse per vedere la seconda stagione di “Squid Game” o altre serie che sembrano il remake di un remake, già poco originale di suo (chi sfoglia il catalogo, conosce la frustrazione).
Risultato: l’ultimo trimestre del 2024 ha procurato a Netflix – stavamo per scrivere: “ha prodotto”, come se li fabbricassero, maturassero sugli alberi, o li stampassero – la bellezza di altri 20 milioni di abbonamenti, portando il totale mondiale a quasi 300 (in Francia sono 13, in Italia 5,3 milioni, secondo le stime SenseMaker riferite allo scorso novembre). Contro ogni previsione: non è possibile che un po’ di controlli sugli abbonamenti condivisi abbia prodotto questo risultato.
Colpo di scena. Netflix ha deciso che la conta degli abbonati non sarà più comunicata ogni trimestre – come finora, distribuendo ricchi dividendi agi azionisti – ma solo quando verranno raggiunti grandi traguardi. Facciamo i 400 milioni di abbonati, cifra che l’articolista giudica del tutto fantasiosa. Però aggiunge, prudente: aspettiamo che arrivi “Squid Game 3”. Come mai? Si chiede l’articolista. Forse i grandi capi hanno intuito che l’unità di misura “abbonati” stava pericolosamente avvicinandosi a un soffitto di vetro. Un limite invalicabile. Quasi 300 milioni di abbonamenti corrispondono a un miliardo di potenziali spettatori. Come e dove cercarne altri? L’impresa appare disperata. I risultati saranno comunicati a colpi di EBIT e EBITDA: la capacità di un’azienda di fare profitto. Il primo indica l’utile prima degli interessi e delle imposte. Il secondo, quel che resta dell’utile meno gli interessi e le imposte, calcolando il deprezzamento e le spese da ammortizzare.
Subito dopo, negli Usa sono cresciute le tariffe mensili (da noi sono 13, 19 e 4 euro e mezzo al mese: gli abbonamenti con interruzioni pubblicitarie hanno prezzi scontati). Poiché i soldi vanno cercati dove ci sono – leggi: differenziazione – Netflix ha aperto un ristorante dalle parti di Las Vegas, battezzato Netflix Bites. “I bocconcini di Netflix”, oppure “Netflix morde”. I menù si ispirano ai reality show di cucina per massaie. E dalla fiction. Una “Casa de Sangria” da bere, sgranocchiando un Eleven Fried Feast. “L’orecchio in salsa Tyson sembra uno scherzo (ma non troppo, se date un’occhiata a quel che hanno fatto al “Gattopardo”). Un Bento Squid Game svela la vocazione della ditta: non lasciarci neanche una sera libera.