Anche se ha già funzionato male, Orbán fa il populista statalista e blocca i prezzi contro l’inflazione

Per il rincaro dei prezzi, leader dell’estrema destra ungherese se la prende con le catene di supermercati, con l’Ucraina e con le sanzioni dell’Unione europea contro la Russia

Da giovane attivista su posizioni liberali, era diventato famoso nel 1989 per un discorso, durante una manifestazione che celebrava i martiri della rivoluzione ungherese del 1956, in cui chiedeva democrazia e il ritiro delle truppe sovietiche dall’Ungheria. Ora che è al governo, Viktor Orbán non solo tollera l’invasione russa dell’Ucraina, ma sul lato economico ha impresso una svolta sovietica puntando sul controllo dei prezzi.

Dopo che l’inflazione in Ungheria ha raggiunto a febbraio il 5,7 per cento, il livello più alto nell’Unione europea (media Ue: 2,7 per cento; media Euro area: 2,3 per cento), il primo ministro che regna ininterrottamente a Budapest dal 2010 ha deciso di intervenire in maniera drastica, con misure che ricordano l’era pre 1989 della Repubblica popolare ungherese. Un tetto statale ai prezzi. “Per frenare aumenti di prezzo eccessivi e ingiustificati, abbiamo negoziato con i rappresentanti delle catene commerciali negli ultimi giorni – ha dichiarato Orbán, parlando di un precedente tentativo analogo al carrello tricolore introdotto in Italia dal ministro delle Imprese Adolfo Urso – ma purtroppo, le offerte dei venditori sono state ben al di sotto delle nostre aspettative”. E quindi è necessario un intervento più duro, che riguarda soprattutto i beni alimentari dato che l’inflazione in questo settore è arrivata al 7,1 per cento in un anno e colpisce pesantemente le famiglie. Pertanto Orbán ha imposto un tetto ai margini su un paniere di 30 prodotti alimentari, dalle uova al burro, per contenere gli aumenti. Naturalmente, come ogni populista che si rispetti, il premier ungherese ha accusato le imprese e in particolare le catene dei supermercati, spesso di proprietà straniera, di fare extra-profitti attraverso l’aumento dei prezzi. E, dall’altro lato, il governo punta sull’altro fattore esterno come la guerra in Ucraina e le sanzioni dell’Unione europea contro la Russia del suo amico Putin per spiegare le cause dell’aumento dei prezzi, sebbene l’inflazione in tutti i paesi vicini (seppure elevata) sia più bassa.

Per Orbán si tratta di un problema politico serio. Perché mai come questa volta l’esito delle elezioni del 2026 è incerto, o comunque meno scontato del solito. Nel paese, già dalle scorse elezioni europee, è in ascesa il partito di centro-destra Tisza, che nei sondaggi è dato testa a testa con il partito orbaniano Fidesz e, in alcune rilevazioni, anche in vantaggio. Il fondatore di Tisza è Péter Magyar, un ex esponente del partito di Orbán che ora è il suo più acerrimo avversario e che sabato scorso ha portato in piazza oltre 50 mila persone per protestare contro il governo. Contemporaneamente Orbán era in un’altra piazza per una manifestazione per protestare contro l’oppressione di Bruxelles, identificato come “un impero che cerca di togliere la libertà agli ungheresi”.

Per soddisfare il proprio elettorato, il partito di governo ha fatto approvare in Parlamento una legge che proibisce il Gay Pride e qualsiasi altra manifestazione arcobaleno per la tutela dei diritti Lgbtq+. Ma la vera emergenza riguarda l’economia e con le misure identitarie non si mangia. Pertanto Orbán ha, un mese fa, annunciato una riforma fiscale che elimina l’imposta sui redditi per le madri con tre figli e concede ai pensionati una sorta di rimborso dell’Iva sui prodotti alimentari. Ma rispetto al forte aumento dei prezzi le misure non bastano e, sapendo quanto possa essere devastante l’inflazione per i consensi (come dimostra negli Stati Uniti la vittoria di Donald Trump), Orbán ha pensato di bloccare i prezzi. Come si usava, con scarsi risultati, decenni addietro.

In realtà, non si tratta neppure di una novità per il leader dell’estrema destra ungherese. Già negli scorsi anni ha fatto più volte ricorso al controllo dei prezzi per frenare l’inflazione, senza particolari risultati positivi. Anzi, avevano avuto un effetto controproducente. Nel 2021- 2022 Orbán aveva imposto un limite ai prezzi delle bollette, dei carburanti, di alcuni beni alimentari essenziali e dei mutui. Secondo le analisi ex post della Commissione europea e del Fmi i tetti ai prezzi si erano rivelati, come prevedibile, “costosi e inefficaci”. Nel caso del tetto ai prezzi dei prodotti alimentari, le aziende avevano semplicemente compensato le perdite sui prodotti selezionati dal governo aumentando molto di più i prezzi sui beni non colpiti dalla misura.

Nel caso di altri blocchi, le distorsioni da un lato hanno alimentato i consumi energetici (alimentando l’inflazione importata) mentre in altri casi l’inflazione repressa è semplicemente ripartita quando il controllo dei prezzi è stato tolto (alla fine del 2022, l’inflazione dei beni alimentari raggiunse il 50 per cento). E’ probabile che Orbán con questa misura populista e statalista riesca a comprare un po’ di tempo, ma il rischio è che la realtà presenti il conto prima delle elezioni del 2026.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali

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