Siamo MM, ci prendiamo cura di Milano. A partire dalla casa

“Il futuro spaventa come sempre ma lo vediamo come una spinta all’innovazione” dice Simone Dragone, da sei anni al vertice dell’ex Metropolitana Milanese, la società (trasformata) che gestisce acqua e verde

Nella Milano che lavora, fattura e merita continua a esserci il bisogno. E parafrasando un Martelli d’annata (Rimini ’82), o c’è una alleanza tra la Milano dei meriti e la Milano dei bisogni, oppure non si va da nessuna parte. Simone Dragone è il presidente da sei anni di MM spa, l’ex Metropolitana Milanese. E’ uno che di meriti ne ha, e ha badato per sei anni come civil servant vero (nel senso che non aspira e non sgomita) alle case popolari del Comune di Milano e dunque ai bisogni. Perché MM, dall’occuparsi solo di progettazione di metropolitane, è oggi gestore dell’acqua milanese e di molto altro. Un general contractor? “Non direi… La chiamerei una ‘piattaforma di cura’. Una piattaforma che si occupa della cura della città in termini di manutenzioni ordinarie. Scuole, strade, caditoie. E il verde, che è importantissimo e la cui cura inizia quest’anno. Facciamo manutenzione con squadre interne. Abbiamo un progetto pilota per fare lo stesso sulle case popolari. E poi ovviamente l’ingegneria, a supportare tutto”. Compito difficile. “Sì, per questo abbiamo dovuto cambiare la governance e l’assetto della nostra società.

La MM di metà del 2019 rispetto a quella del 2022 è cambiata a livello organizzativo. L’azionista, ovvero il Comune di Milano, ci ha supportato nell’introduzione della figura dell’amministratore delegato (l’apprezzatissimo Francesco Mascolo, ndr) e l’ampliamento del cda. E’ stato istituito il comitato rischi. Adesso chiederemo al Consiglio di approvare la modifica statutaria che ci trasformerà in società benefit. Perché? Perché così potremo utilizzare risorse nostre per recuperare case e investirle in asset territoriali. Ma quel che è più importante è che MM ha smesso di ragionare a silos. Il nostro claim del piano industriale è ‘la tua città, il nostro impegno’. Che io interpreto come ‘la nostra città, il nostro impegno’, perché chi lavora in MM ha il privilegio di lavorare un po’ per sé stesso, perché si occupa di un bene pubblico che è anche suo”.

Il futuro preoccupa? “Come sempre. Ma lo vediamo come spinta all’innovazione. Il Comune ci ha chiesto di fare interventi sul climate change, sulle isole di calore. C’è una parte di cura quasi artigianale, quella delle manutenzioni, ma poi c’è la parte innovativa e strategica, molto avanzata. Come gli scambiatori di calore con il sottosuolo. MM è un benchmark a livello internazionale. E’ un doppio binario che ci ha portato, ad esempio, a razionalizzare il sistema dell’acqua”. In che senso? “Abbiamo ridotto l’acqua immessa in rete, grazie alla diminuzione delle perdite dal 15 per cento all’11,5 per cento (la media nazionale è oltre il 40 per cento), con un controllo tecnologico di altissima qualità che riduce la pressione totale immessa. La tariffa è la più bassa delle città europee”. E c’è la questione del Seveso: “Sì, noi la nostra vasca l’abbiamo finita”. Molti i soldi investiti: MM perde o guadagna? “Abbiamo attraversato anni complessi con il Covid, e il 2022 è stato un anno orribile per quanto riguarda i costi dell’energia. Ma i conti sono solidi, e negli ultimi anni questa società è stata in grado di generare cassa. Abbiamo realizzato investimenti per 330 milioni e ne investiremo altri 352 entro il 2028”.



Tutto bello, però poi c’è il tema delle case popolari. A Milano non si parla d’altro che del problema casa. “Bisogna iniziare a pensare al tema della casa in senso olistico: non ci sono le case popolari da una parte e le case del mercato libero dall’altra. C’è l’offerta totale, che per le fasce più deboli è accessibile solo con l’edilizia popolare (Erp) oppure con l’edilizia a canone concordato (Ers). Lato Comune abbiamo messo a terra dal 2014 280 milioni di euro tra rifacimento degli appartamenti ed efficientamento energetico. Sono stati spesi quasi 70 milioni in manutenzioni ordinarie. In totale si parla di opere per 300 milioni, a carico di un ente locale: è moltissimo”. Ma quanto servirebbe? “Di più: 450 milioni di opere e 350 milioni per l’efficientamento energetico. Non c’è un ente locale in Italia che anche sui dieci anni possa mettere a terra 800 milioni di euro”. Quindi come se ne esce? “Ho letto con interesse sul Foglio il presidente di Federcasa Marco Buttieri. Prospettiva interessante che riconduce a una unica conclusione: serve un intervento governativo. Per tutta Italia la ristrutturazione ammonta a circa 20 miliardi e la realizzazione di nuovo patrimonio necessario circa 30 miliardi di euro. In circa 10 anni la spesa sarebbe sostenibile, e mitigabile grazie a finanziamenti Bei. Ma bisognerebbe andare oltre. Perché il sistema Erp non può essere indipendente dal sistema Ers, al fine di unificare il concetto di ‘affordable housing’. In pratica una stessa famiglia che abita in una casa popolare, all’aumentare del suo reddito può rimanere dove è adeguando però la locazione, che può diventare un canone concordato, oppure ridiscendere a un affitto popolare.

Insomma, il concetto di affordable housing adatta l’affitto al reddito di chi ci abita”. Il piano casa del Comune di Milano di Guido Bardelli va in questo senso? “Io credo che vada nella direzione giusta perché risponde a un’esigenza reale e fondata della città che è quella di dare una casa a prezzi accessibili a una serie di categorie che altrimenti, per dinamiche anche naturali di una città che diventa grande, oggettivamente ha problemi a reperire disponibilità sul mercato normale. E’ un approccio assolutamente europeo”. Ma perché aumentare le case popolari se ci si lamenta sempre dello sfitto? “Chiariamo. Lo sfitto reale di MM è al 8.5 per cento per cento, e la volontà del Comune è di azzerarlo. E per quanto riguarda l’abusivismo, MM l’ha ridotto del 70 per cento, da 1.750 di fine 2014 a 470 alloggi occupati una settimana fa”. Molto lavoro sulle case popolari, che cosa ricava da questa esperienza? “Oltre a colleghi eccezionali penso sempre a due cose. La prima: il contatto con le persone delle case popolari. Penso alle chiamate per questa o quella segnalazione da parte di inquilini e comitati. La seconda: la consapevolezza di aver offerto un piccolo contribuito a risolvere concretamente alcuni problemi della mia città. La soddisfazione è una sola: poter dire, certe volte, di aver trovato una soluzione”.

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