Il Manifesto di Ventotene: rivoluzione o dittatura? Una lettura critica

Giorgia Meloni ha riacceso il dibattito sull’attualità del documento fondativo dell’Europa unita. Interrogarsi sulla visione antidemocratica e rivoluzionaria delle sue tesi è lecito. Un’analisi che smonta il mito di un manifesto progressista

La grande manifestazione europeista di sabato scorso si era caratterizzata per l’adesione al manifesto di Ventotene, usato anche come punto di riferimento unitario in una manifestazione cui partecipavano formazioni con orientamenti diversi. Il tema è tornato di attualità perché ieri la premier Giorgia Meloni ha citato un passo di quel documento e lo ha criticato, suscitando un pandemonio. E’ però lecito chiedersi se gli oratori che hanno difeso entusiasticamente questo testo sia in piazza del popolo sia in Parlamento lo abbiano letto. Si sarebbero accorti che l’impostazione generale del documento, oltre che anticomunista è anche nettamente antidemocratica: “La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria”, che avrebbe seguito secondo Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, la conclusione del conflitto mondiale. I democratici vengono presentati come demagoghi: “Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarrirti non avendo dietro uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni; pensano che loro dovere sia di formare quel consenso, e si presentano come predicatori esortanti”.

Quindi a chi spetta dirigere la società del dopoguerra? A un Partito rivoluzionario, ovviamente europeista: “Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto, non da una preventiva consacrazione da parte della ancora inesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato e attorno a esso la nuova democrazia”.

Dittatura del partito rivoluzionario, questo è l’obiettivo esplicito del manifesto di Ventotene, che in seguito gli stessi autori abbandoneranno, che può essere spiegato con la coscienza del fallimento delle democrazie parlamentari di fronte all’emergere negli anni Venti e trenta delle dittature fascista e nazista, ma che rende ovviamente inutilizzabile quel documento come faro di una nuova realtà europea. Già allora gli autori si rendevano conto del carattere estremo della loro impostazione, e rispondevano preventivamente con un ragionamento piuttosto contorto che vale la pena di citare: “Non è da temere che un tale regime rivoluzionario debba necessariamente sbocciare in un nuovo dispotismo. Vi sbocca se è venuto modellando un tipo di società servile. Ma se il partito rivoluzionario andrà creando con polso fermo fin dai primissimi passi le condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadini possano veramente partecipare alla vita dello stato, la sua evoluzione sarà, anche se attraverso eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una progressiva comprensione e accettazione da parte di tutti del nuovo ordine”. “L’accettazione da parte di tutti del nuovo ordine” come condizione preliminare per superare i rischi di dispotismo ha anch’essa un indiscutibile sentore totalitario.

Anche nella parte propositiva in cui si enuncia la volontà di creare una Federazione europea, non si parte affatto da una, pur utopistica “Europa dei popoli”, termine che non figura nel testo, ma da gruppi di pressione che impediscono, si presume attraverso l’instaurazione della citata dittatura del partito rivoluzionario, la rinascita degli stati nazionali, che sarebbero per loro natura destinati a diventare succubi delle elites militari contrapposte. Questo disegno “reazionario” di restaurazione degli stati nazionali avrà come protagonisti “i ceti che più erano privilegiati nei vecchi sistemi nazionali cercheranno subdolamente o con la violenza di smorzare l’ondata dei sentimenti e delle passioni internazionalistiche, e si daranno ostinatamente a ricostruire i vecchi organismi statali. Ed è probabile che i dirigenti inglesi, magari d’accordo con quelli americani, tentino di spingere le cose in questo senso, per riprendere la politica dell’equilibrio delle potenze nell’apparente immediato interesse del loro impero”. Insomma si trattava di opporsi a una congiura angloamericana, mentre non si considerava nemmeno l’esempio federale degli Stati Uniti come un punto di riferimento. Insomma se lo si legge ci si trova di fronte a un testo visionario, privo di attualità già quando venne stilato e del tutto inappropriato nella situazione attuale, ma naturalmente se lo si legge per quel che contiene davvero invece di riferirsi al mito che gli è stato costruito attorno.

Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.