Chissà se Trump ha capito qual è il suo posto al banchetto di Putin

Il quartetto glorioso degli amici di Trump per scaricare ucraini ed ex alleati. Tra meme, dichiarazioni contrastanti e concessioni, il tycoon è davvero in controllo o è solo un pedina?

Vladimir Putin mi ha detto che se siamo amici non vuole vedermi come un nemico, ha detto Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti, a Laura Ingraham, la conduttrice sua fan di Fox News che ha avuto, persino lei, qualche difficoltà a seguire i suoi discorsi (i sostenitori di Trump si sono indignati, dicono che Ingraham ha tradito la causa e va boicottata in quanto ha osato chiedere: come mai lei è più duro con il Canada che con la Russia?). Siamo amici, me l’ha detto il presidente russo e io ci credo, ha riferito Trump, estendendo pronto questa sua amicizia al presidente cinese, Xi Jinping, e al presidente della Corea del nord, Kim Jong Un, un glorioso quartetto. Ciò che Trump non è riuscito a evitare, in questo suo ridisegnare il mondo, è stata l’impressione che non sia lui a dettare le regole, ma che piuttosto le subisca: la rete si è riempita di immagini o meme in cui il presidente americano è rappresentato come un cagnolino – il guinzaglio lo tiene Putin – con varianti sadomaso a sottolineare la sottomissione. L’ex presidente russo Dmitri Medvedev, che pensa di essere divertente, ha cercato di salvare l’amico ritrovato buttandola sul cibo.

Al banchetto gli invitati in sala da pranzo sono soltanto i russi e gli americani, gli altri sono nel menù: cavoletti di Bruxelles, fish and chips inglesi, galletto francese. Così Medvedev ha sistemato i nemici europei, ma il piatto principale naturalmente è l’Ucraina, lo è da sempre: una cotoletta à la Kyiv, il petto di pollo impanato e farcito con il burro. L’ex presidente russo, ora vicepresidente del Consiglio di sicurezza, ha risposto così, con la sua tragica ironia, a Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino, che aveva detto: “Non siamo un’insalata o un kompot sul menù di Putin, nonostante i suoi appetiti”.

Cagnolini e cotolette si mescolano in questi giorni di rifiuti russi definiti successi da Trump, che ha imparato dal suo mentore poi tradito, pure lui, Roy Cohn – come racconta il film “The Apprentice” – la regola: di’ sempre che hai vinto, anche se hai perso, che poi vale anche per lo stesso Putin. L’equivoco sta nel fatto che pure Trump sembra far parte del banchetto e non dei banchettanti, ma né ai russi né agli americani conviene ammetterlo. Molti si chiedono se questa sottomissione fa parte della strategia o se a un certo punto Trump si accorgerà che questo deal non è affatto gestito da lui, e reagirà in malo modo, magari riservando a Putin almeno una parte dell’accanimento che utilizza contro gli ex alleati, a partire dal Canada, il “più odioso dei paesi”, buono solo per essere annesso. Keith Kellogg, l’inviato trumpiano per il negoziato tra Ucraina e Russia che s’è visto dimezzare l’incarico in tempo record (ma non è ancora stato umiliato pubblicamente), aveva alimentato le speranze occidentali e ucraine di un negoziato equo perché ripeteva che Trump aveva ben chiaro il fatto che Putin non soltanto volesse essere trattato da pari, ma ambisse anche a dettare lui condizioni, tempi, obiettivi di questo sciagurato dialogo. Il presidente americano non si farà mettere i piedi in testa, diceva Kellogg, e chissà se non aveva capito le indicazioni o se aveva sbagliato i calcoli, ma è passato anche lui dal banchetto, è stato rosicchiato, e con i russi lui non ci può più parlare.

I trumpiani sono tutti impegnati a sgombrare “fake news” sull’idillio con Putin: Mike Waltz, consigliere per la Sicurezza nazionale, ha detto che non è vero che il presidente russo ha fatto aspettare il suo amico americano (in realtà lo aveva detto lui, in diretta, che avrebbe parlato al telefono con Trump non all’ora stabilita, ma quando lo decideva lui), anche se nella frase successiva ha aggiunto che “a volte ci sono difficoltà tecniche”, confermando l’attesa ma non la volontarietà di Putin. Gli altri trumpiani dicono che sono stati fatti passi avanti decisivi, ma Trump si è fatto smentire dal Cremlino nel giro di una notte sul tema degli aiuti militari all’Ucraina: non ne abbiamo parlato, ha detto il presidente americano nell’intervista a Fox News; se n’è discusso, ha detto il portavoce di Putin, Dmitri Peskov. Probabilmente questa confusione fa parte della strategia “flood the zone”, inondare i media e l’opinione pubblica di informazioni anche contrastanti in modo da poter manipolare ogni cosa a proprio favore, ma anche qui non si capisce se Trump governi questa tattica o ne sia vittima forse inconsapevole: battere Putin sul campo della propaganda e della disinformazione non è poi così semplice.

Il presidente russo non perde tempo a capire, sa quel che vuole – 150 droni su obiettivi civili, compresi due ospedali, nella notte successiva alla conversazione in cui s’è detto che c’era un’intesa sul non bombardare le centrali elettriche – e approfitta di questa insperata legittimazione per continuare la guerra e cucinare le cotolette. Probabilmente la domanda più semplice e più corretta l’ha posta il governatore democratico dell’Illinois, J. B. Pritzker. Un giornalista gli ha chiesto: se avessi la possibilità di parlare direttamente con Trump di questo negoziato che cosa gli chiederesti? Pritzker ha risposto, guardando la telecamera: che materiale ha Vladimir Putin su di te?

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d’amore – corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d’amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l’Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell’Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi

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