Orbital

La recensione del libro di Samantha Harvey, edito da NN Editore, 176 pp., 18 euro

“Ruotano in orbita nella lenta deriva della loro corsa, fronte contro fianco contro mano contro tallone, girano e girano insieme ai giorni. I giorni corrono. Resteranno così per nove mesi, nove mesi a fluttuare, nove mesi di testa gonfia, nove mesi di questa vita da sardine, nove mesi per osservare la Terra a bocca aperta, per poi tornare giù, al pianeta paziente”. Parla del tempo, della sua percezione – lenta, dilatata, sospesa e plastica – l’avventura di sei astronauti ospiti della Stazione spaziale internazionale. Pietro, Nell, Chie, Shaun, Anton e Roman si trovano a condividere un piccolo spazio lungo sedici orbite terrestri – che per loro sono solo una giornata delle nostre terrestri – che equivalgono ad altrettante albe e tramonti. Le interazioni tra gli astronauti sono minime ma, nonostante ciò, si crea tra loro una forma di unità, una “sensazione di fusione”, forse dovuta al fatto di trovarsi a condividere un’esperienza così peculiare e poco trasferibile. Ciò che ha più peso nella vita dei sei sono i pensieri, la dimensione interiore: pensieri che si affacciano estemporanei, spesso rivolti a chi è rimasto sulla Terra, altre volte mossi da quello che da lassù possono osservare. “Se potesse rimanere in orbita per il resto della vita andrebbe tutto bene. Solo quando tornerà sua madre sarà morta; come nel gioco delle sedie, quando c’è una persona di troppo ma finché la musica va il numero di sedie è irrilevante, nessuno ha perso ancora. Mai fermarsi. Bisogna continuare a muoversi”. Chie apprende la notizia della morte della madre mentre si trova in orbita, in una sospensione che per lei è anche emotiva e che diventerà vera solo quando l’astronauta tornerà a casa in Giappone. Dalla stazione orbitale si osserva una Terra lontana e che sembra desolata, dove predomina la vastità dei paesaggi: continenti, montagne, isole e deserti dove la presenza umana è visibile solo di notte e ha le sembianze delle luci che illuminano il globo terrestre. Tutto si ridimensiona e acquista una forma più piccola e intima e grazie a questo conserva la sua essenza, il suo nucleo vitale.

Con una prosa lirica, poetica e frammentata, Samantha Harvey ci consegna un racconto del tutto unico e dalla forma indefinibile, provando a tracciare i confini di un nuovo sguardo. Che nasce da una visione lontana e d’insieme come quella nello spazio. “Una persona non è bella perché è buona, è bella perché è viva, come un bambino. Viva e curiosa e inquieta. Non importa se è buona. Le persone sono belle perché hanno quella luce negli occhi. Certo, a volte sono distruttive, egoiste, a volte ti feriscono, ma rimangono belle perché sono vive”.

Samantha Harvey

Orbital


NN Editore, 176 pp., 18 euro

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