Missili made in Europe. Il caso Mbda

Con Francia e Regno Unito, l’Italia di Mbda è centrale nella nuova economia di quasi-guerra

L’altro ieri Eric Béranger, ad di Mbda, ha detto che nel 2024 la loro produzione è aumentata del 33 per cento rispetto all’anno precedente, e che quest’anno si aspettano un raddoppio della produzione rispetto al 2023. Sono numeri di grande interesse, soprattutto perché Mbda produce missili, è uno dei consorzi più importanti del mondo, ed è costituito da tre colossi pubblici di tre paesi alleati: c’è la Francia con Airbus Group, c’è il Regno Unito con la Bae Systems e l’Italia con Leonardo. Per l’Italia Mbda è un pezzo fondamentale delle relazioni internazionali e soprattutto delle alleanze europee, che funziona al di là dei capricci della politica.

Nel caos politico legato alle posizioni del presidente americano Donald Trump, all’incertezza delle dinamiche della Nato e all’attendismo dei leader nel trovare un accordo funzionale e collettivo per aumentare gli scudi della Difesa europea, l’azione concreta è – come spesso succede – nel frattempo lasciata ai privati, che colgono opportunità economiche e allo stesso tempo utili a una sicurezza emancipata dalle influenze esterne. Come nel caso dell’industria aerospaziale, dei satelliti di comunicazione e quelli di osservazione terrestre di cui l’Europa avrebbe un disperato bisogno nel breve periodo, e sui quali si sta già parlando con i campioni del settore privati europei, anche l’industria degli armamenti più tradizionali sta subendo un’accelerazione inedita e, forse inconsapevolmente per la politica, molto rappresentativa della cooperazione necessaria e inevitabile a livello europeo per aumentare la produzione e la messa in uso nel caso di un disimpegno americano anche a livello Nato. Béranger, con qualche ragione, l’altro ieri ha detto che Mbda – nata a metà degli anni Novanta e oggi controllata rispettivamente al 37,5 per cento da Airbus e Bae Systems e nel restante 25 per cento da Leonardo – “resta l’unico gruppo europeo a offrire un portafoglio completo di capacità sovrane” che garantiscono “alle nazioni europee la libertà d’azione”. E non è un caso se nel riassetto organizzativo di Leonardo voluto dall’ad Roberto Cingolani e annunciato due giorni fa, il suo braccio destro Lorenzo Mariani molto probabilmente tornerà a guidare come amministratore delegato la parte italiana di Mbda: secondo fonti del ministero della Difesa, il manager dovrebbe avere il ruolo centrale di acceleratore della produzione missilistica che è sempre più prioritaria anche per l’Italia. Ma inevitabilmente all’interno di un contesto di cooperazione europea. E’ una logica idealmente molto simile al più recente Global Combat Air Programme (Gcap) per la produzione di aerei da combattimento di sesta generazione, che vede la partecipazione di colossi privati, e di nuovo di Leonardo e Bae Systems con l’aggiunta di Mitsubishi per il Giappone.



Con impianti di produzione in Francia, Regno Unito e Germania, negli ultimi tre anni – cioè sin dall’inizio della guerra d’invasione su larga scala dell’Ucraina – il consorzio missilistico ha firmato nuovi contratti di collaborazione con la Polonia e la Svezia, ma ha soprattutto investito in un aumento vertiginoso della produzione ottimizzando la catena di produzione nel giro di un anno, facendo migliaia di assunzioni, aprendo nuovi spazi, migliorandoli, e acquisendone altri. Come se fossimo già dentro un’economia di guerra, ha scritto ieri il Monde, nella quale l’industria cambia e si mette a disposizione della Difesa – nonostante le critiche espresse in passato dai rispettivi ministeri a Parigi e a Roma sulla lentezza di certe trasformazioni. Ma qualche giorno fa Italia, Francia e Regno Unito hanno ordinato ulteriori 218 missili Aster, un ordigno antiaereo usato anche in Ucraina e nel Mar Rosso, e l’ordine è stato possibile anche perché nell’ultimo anno la Mbda ha puntato sulla velocizzazione della produzione dei missili Aster, e oggi ne produce 40 al mese (nel 2022 ne faceva solo 10 al mese). “Il sito di Selles-Saint-Denis”, ha scritto il Monde, “sarà addirittura in grado di assemblare 50 missili anticarro Akeron al mese entro la fine del 2025, dieci in più rispetto al 2024, e il gruppo sta valutando di aumentare, a lungo termine, a 70, o addirittura 100 unità al mese”. Secondo quanto suggerito da Béranger, adesso l’obiettivo di Mbda è quello di creare alleanze con gli impianti di produzione dell’auto, abituati a numeri e velocità – un’ipotesi già ventilata in Leonardo durante alcune discussioni al ministero dell’Industria di Adolfo Urso.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: “Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l’Asia”, “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.

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