La porta in faccia di Putin a Trump

Durante la telefonata tra Mosca e Washington, il capo del Cremlino impone un accordo sul cessate il fuoco miniaturizzato e già violato, vuole la smilitarizzazione di Kyiv per ogni futuro negoziato e strappa al presidente americano anche un successo sull’hockey

Mentre, da orario, il presidente americano e il capo del Cremlino si sarebbero dovuti sedere a parlare, dalle 16 alle 18 ora di Mosca, Putin era a un incontro con uomini d’affari ai quali aveva detto di non illudersi troppo su una futura revoca delle sanzioni. Quando gli è stato domandato se non fosse arrivato il momento di andare al suo appuntamento telefonico con Trump, il capo del Cremlino ha sottolineato che i comunicati del suo portavoce non corrispondono sempre alla sua tabella marcia. Forse Putin ha fatto aspettare Trump, ma il capo della Casa Bianca non deve essersi scomposto. Dall’ora e mezza di telefonata fra Donald Trump e Vladimir Putin sono emersi pochi risultati, uno già tradito: un cessate il fuoco di trenta giorni per gli attacchi contro le infrastrutture energetiche sia in Ucraina sia in Russia. L’ordine di sospendere i bombardamenti, secondo il comunicato del Cremlino, è stato dato “immediatamente” all’esercito. Il resto è tutto da implementare.

Putin ha declassato la proposta americana per un cessate il fuoco totale e con Trump ha parlato di un’intesa da costruire volta per volta: si inizia con gli attacchi contro le infrastrutture, poi si tratta per il traffico marittimo. Mosca continua a prendere tempo, trascinando ancora i negoziati, prendendo una proposta americana e riducendola al minimo. Il secondo risultato è lo scambio di prigionieri: domani Russia e Ucraina libereranno centosettantacinque prigionieri ciascuno e Mosca restituirà a Kyiv ventitré soldati feriti. Russia e Stati Uniti si sono impegnati a istituire due squadre di esperti che si dovranno occupare dei negoziati.

Il resto degli annunci, di cui il comunicato del Cremlino è molto più ricco rispetto a quello della Casa Bianca, denota che né Mosca si sposta dalle sue condizioni né Washington ha dimostrato di avere delle leve per farla spostare. Per Putin un cessate il fuoco lungo l’intera linea del fronte è impossibile fino a quando non sarà impedito all’Ucraina di mobilitare nuovi soldati, di ricevere aiuti militari e informazioni di intelligence. La totale cecità di Kyiv, la completa immobilizzazione dei suoi soldati, la nudità di fronte agli attacchi russi sono le pretese che Mosca avanza prima di sedersi al tavolo dei negoziati.



Senza questi punti non vuole iniziare nessuna trattativa. Putin però era consapevole di non poter lasciare Trump del tutto scontento quindi ha elargito il contentino di un cessate il fuoco miniaturizzato – che se venisse rispettato sarebbe comunque importante non soltanto per l’Ucraina, ma anche per le raffinerie di petrolio russe che vengono colpite dai droni di Kyiv – e la liberazione dei soldati ucraini feriti tenendo però a sottolineare “i gravi rischi legati all’incapacità di negoziare del regime di Kyiv, che ha ripetutamente sabotato gli accordi raggiunti. Si richiama l’attenzione sui barbari crimini terroristici commessi dai militari ucraini contro la popolazione civile della regione di Kursk”. Nel comunicato della Casa Bianca, emerge l’equiparazione tra l’Ucraina e la Russia: “Il sangue e il denaro che Ucraina e Russia hanno speso in questa guerra sarebbero stati meglio spesi per la loro popolazione”. Anche Trump con un post sul suo social Truth ha dimostrato entusiasmo, ha parlato di una conversazione produttiva: “Questa guerra non sarebbe mai iniziata se fossi stato io presidente”, ha ripetuto. Mentre scriveva il post, più della metà della mappa dell’Ucraina si colorava di rosso per l’arrivo di droni lanciati anche nelle regioni lontane dal fronte, inclusa quella di Kyiv.



E’ stata una telefonata senza sorprese, per nulla rispondente ai toni enfatici della Casa Bianca, totalmente logica con quelli, altrettanto enfatici, espressi dai russi. L’obiettivo di Trump era quello di mostrare i risultati della sua mediazione, quello di Putin era di trascinare la guerra. Ha vinto il secondo che probabilmente continuerà a negoziare con i suoi soliti metodi: usare piccoli accordi come ricompensa per spingere Trump a fare pressione su Kyiv affinché accetti le condizioni di Mosca e apparire agli occhi del presidente americano come la parte propositiva e pronta al dialogo. L’entourage di Putin si è lanciato in una campagna di corteggiamento nei confronti del presidente americano e mentre la telefonata era ancora in corso, il capo del Fondo russo per gli investimenti all’estero, Kirill Dmitriev, esponente anche del gruppo negoziale che ha incontrato gli americani in Arabia Saudita a febbraio, ha scritto su X: “Sotto la guida del presidente Putin e del presidente Trump oggi il mondo è diventato un posto molto più sicuro! Storico! Epico!”. Dmitriev incontrerà presto Elon Musk per parlare di progetti di cooperazione spaziale. La parola cooperazione è il vero trionfo russo della telefonata che, come ha voluto sottolineare il Cremlino, non ha riguardato soltanto l’Ucraina ma anche le relazioni bilaterali, accordi sul nucleare, normalizzazione dei rapporti fino ad arrivare all’organizzazione di partite di hockey tra squadre americane e squadre russe. Una fonte diplomatica europea ha detto al Foglio: “Trump doveva concludere la guerra in ventiquattro ore. Non ce l’ha fatta e ripiega sull’hockey”.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

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