Dire “pace” dopo Piazza del Popolo. Parla lo scrittore Maurizio De Giovanni

“Molti ragazzi mi sembrano più interessati a fenomeni e situazioni mediaticamente rilevanti che deflagrano e si sgonfiano come bolle di sapone rispetto ai gravi fatti politici che abbiamo visto accadere negli ultimi mesi” dice lo scrittore napoletano, “è compito della mia generazione sensibilizzarli”

Roma. La parola pace, la sua malleabilità e permeabilità in mano a questo o a quello schieramento, i suoi confini, la difficoltà di declinarla nel percorso stretto tra opposte visioni, e il suo momento da protagonista in Piazza del Popolo, sabato scorso, a Roma, durante la manifestazione “Una piazza per l’Europa”, nata su impulso dello scrittore e giornalista Michele Serra, con trecento sindaci come organizzatori. Ma che cos’è, questa pace “blu” come la bandiera europea e come gli interrogativi lasciati insoluti dal pur partecipato evento, visto anche il ricasco della questione “difesa Ue” sulla politica italiana e nel parlamento di Strasburgo, dove il Pd si è spaccato e dove anche il centrodestra procede diviso? Lo scrittore napoletano Maurizio De Giovanni (padre letterario, tra gli altri personaggi, del commissario Ricciardi e fresco autore di “L’antico amore”, ed.Mondadori) in piazza del Popolo sabato è stato applaudito per la frase “siamo noi gli Stati Uniti d’Europa”, pronunciata mentre parlava della difficoltà, per un’Europa fragile, di salvaguardare l’idea di pace per come è stata intesa finora. “L’Europa è politicamente debole”, dice De Giovanni al Foglio, “è soltanto un’unione economica. E i fatti mostrano quanto oggi sia indispensabile procedere verso un’unione vera, con una legislazione comune e una politica comune. Solo così si potrà sperare di non soccombere nei tentennamenti, per via degli interessi contrastanti che rendono impossibile una linea unitaria ed efficace. La difesa di questa Europa, a mio avviso, non può essere delegata ai singoli stati, deve passare per comuni istituzioni e per una comune legislazione”.

Difficile, però, far passare il concetto presso i teenager e i ventenni che sabato in piazza per lo più non c’erano, con poche eccezioni (tra cui i ragazzi e le ragazze che hanno fatto di Parma la città del 2027 per giovani). De Giovanni i ragazzi li incontra, incontra anche gli adolescenti nel corso degli eventi-invito alla lettura che fa nelle scuole, da presidente di Campania legge-Fondazione Premio Napoli. Perché non c’erano in massa, i giovani, sabato, neppure rapiti da qualche pifferaio di Hamelin in altre piazze? Il tema è di complicata decrittazione: colpa delle istituzioni, delle famiglie, dei social, dei tempi o di nessuno? Chissà. “Non si parla di pace, non si parla di Europa neanche tra adulti, in Italia”, dice De Giovanni, “almeno non quanto si parli di temi politici interni, come se non capissimo la gravità del momento. Forse è un problema della mia generazione, quella dei sessanta-settantenni, quella che si è illusa di aver conquistato una pace eterna con la caduta del muro di Berlino. Abbiamo creduto di far bene, invece non ci siamo accorti che quella pace stava sfumando, che quell’assetto stava cambiando. Alla dialettica della guerra fredda se n’è sostituita un’altra, in un mondo molto più diviso, in un quadro di rapporti di forza tra autocrazie sempre più preoccupante. Ora dobbiamo riappropriarci della nostra capacità d’azione e di pensiero”.

Da dove cominciare? “Dalle piazze e dal voto, e dico piazze nel senso del dare una scossa, del combattere il disinteresse, questa sorta di astensionismo morale e sostanziale. Non si va a votare, ci si accoccola nel menefreghismo”, dice De Giovanni. Ma come si combatte, il menefreghismo? “Molti ragazzi, soprattutto, mi sembrano più interessati a fenomeni e situazioni mediaticamente rilevanti che deflagrano e si sgonfiano come bolle di sapone rispetto ai gravi fatti politici che abbiamo visto accadere negli ultimi mesi. Come se il lato meditativo arretrasse di fronte al sensazionalismo. Ma è ora compito di chi non ha saputo prevedere questo scenario sensibilizzarli, compito della mia generazione aiutarli a prendere coscienza della realtà. Anche, per esempio, cominciando dalla lettura della Costituzione”. Intanto sulla parola pace, e sulla parola Europa, oggi si discuterà in Parlamento, davanti alla premier Giorgia Meloni. “In piazza abbiamo cercato di far sentire la voce del popolo d’Europa, abbiamo cercato di mettere un argine allo svuotamento di senso dell’Europa. Speriamo possa essere una strada”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l’Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l’hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E’ nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.

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