Il primo atto del Cancelliere entrante è stato far approvare al Bundestag una modifica al freno all’indebitamento che permette investimenti nella difesa oltre l’1 per cento del pil e per un fondo decennale di 500 miliardi per interventi sulle infrastrutture. Un nuovo protagonismo tedesco
Un’analisi apparsa a inizio marzo nella sezione opinioni del New York Times, a firma Lukas Hermsmeier, definiva Friedrich Merz “un uomo di ieri, con idee di ieri”, inadatto alle sfide che affronta oggi la Germania, a causa del suo conservatorismo e della sua avversione a superare le regole sul debito. Ma l’uomo di ieri è molto più in grado di agire nell’oggi di quanto ritenessero alcuni commentatori. Non ancora diventato cancelliere, il primo atto di Merz è stato far approvare al Bundestag una modifica al freno all’indebitamento che permette investimenti nella difesa oltre l’1 per cento del pil e per un fondo decennale di 500 miliardi per interventi sulle infrastrutture. Un esponente dell’ala destra della Cdu passa quindi alla storia come colui che ha ritenuto lo Schuldenbremse, tratto fondante della Germania, un ostacolo all’interesse strategico nazionale, dandogli un ulteriore colpo dopo gli anni di sospensione del governo Scholz.
Di fronte all’allineamento di Donald Trump a Vladimir Putin, Merz, atlantista ed europeista, ha preso rapidamente atto del cambio di fase. Se l’atlantismo salta, bisogna accelerare su altri fronti: continuare a sostenere l’Ucraina, dare alla Germania e all’Europa gli strumenti per difendersi, e andare avanti sull’integrazione europea con chi c’è. Un’operazione politica che rivela un pragmatismo poco in linea con l’ortodossia bismarckiana con cui Merz è identificato. “Whatever it takes”, ha detto citando Mario Draghi quando ha annunciato la sua proposta. Il futuro cancelliere ha coinvolto i socialdemocratici prevedendo il fondo per le infrastrutture (e pazienza se è debito pubblico, contro cui ci si scagliava in campagna elettorale) e i Verdi – necessari per la maggioranza di due terzi per intervenire sulla costituzione – vincolando un quinto del fondo a interventi per la transizione verde (e pazienza se significa concedere qualcosa alle avversate politiche ambientali).
La modifica al freno “è un vero e proprio cambio di paradigma”, dice al Foglio Ubaldo Villani-Lubelli, professore di Storia delle istituzioni politiche all’Università del Salento e analista dei mutamenti istituzionali tedeschi: “Sul piano culturale, archivia la politica di bilancio di Merkel e Schäuble, mentre sul piano economico dichiara concluso il modello economico tedesco degli ultimi vent’anni”.
Secondo stime Bnp, con lo stimolo dato dagli investimenti previsti, l’economia tedesca potrebbe crescere dello 0,7 per cento già nel 2025, rispetto allo 0,2 per cento previsto attualmente. Sul piano interno, sarebbe difficile rimproverare a Merz di aver rivisto alcune sue posizioni, se la contropartita dovesse essere aver rilanciato l’economia in un paese da due anni in recessione. Ma sul fronte istituzionale la questione è più delicata: “La riforma è approvata da un Parlamento a fine mandato, che agli occhi di molti è delegittimato”, continua Villani-Lubelli. AfD e Linke, infatti, hanno già presentato ricorsi alla Corte costituzionale per contestare la validità di una sessione straordinaria del Parlamento giunto ormai a fine mandato. “Questa forzatura non passerà indenne, perché evidenzia la difficoltà dei partiti tradizionali, Cdu e Spd, di includere in un processo di cambiamento quelli che vengono visti come partiti antisistema, ma sono ormai partiti di massa. Gli effetti nei rapporti tra forze politiche saranno profondi”.
Con la mossa di Merz, significativamente concepita dopo la svolta nell’atteggiamento americano verso l’Ue, la Germania sembra destinata a passare a un’iniziativa più marcata, e potenzialmente più orientata a un ruolo di leadership a cui ha spesso abdicato. Superando storici dogmi e accettando compromessi che non tutti si aspettavano da un vecchio conservatore cristiano-democratico, ieri Merz ha dato avvio alla sua Germania.