C’è un problema con i prigionieri di guerra nordcoreani in Ucraina

La difficile decisione dei due soldati di Kim Jong Un catturati dalle Forze armate di Kyiv (disertare o no?). La Corea del sud negozia. Un precedente storico

Seul e Kyiv iniziano a parlare concretamente di cosa fare dei due soldati nordcoreani catturati dalle Forze armate ucraine a gennaio e che avrebbero espresso il desiderio di disertare in Corea del sud. Ieri c’è stata una prima telefonata sul tema fra il ministro degli Esteri sudcoreano, Cho Tae-yul, e il suo omologo ucraino, Andrii Sybiha, ma la soluzione non è affatto facile, sia dal punto di vista giuridico sia politico. Sin dall’inizio del coinvolgimento dei soldati dalla Corea del nord nella guerra di Putin contro l’Ucraina – si parla di almeno undicimila unità – Kyiv è riuscita a catturare vive soltanto due persone, che oggi sono la prova del coinvolgimento del regime di Pyongyang nella guerra, che anche Mosca continua a negare.

Oltre al dialogo fra Kyiv e Seul, durante lo scorso fine settimana, una delegazione russa di alto livello guidata dal viceministro degli Esteri Andrei Rudenko è volata nella capitale nordcoreana per dei colloqui con la ministra degli Esteri Choe Son Hui. Rudenko è l’uomo che sin da ottobre si sta occupando di trasformare la partnership fra Russia e Corea del nord in una quasi-alleanza militare, e il livello così alto dei colloqui in questa fase sembra suggerire – come ha detto Chris Monday della Dongseo University a Nk News – che sul tavolo ci siano discussioni ben più serie di quelle esplicitate nella copertura mediatica ufficiale dei colloqui, che parla soltanto di “cooperazione nell’arena internazionale”. E’ probabile che i funzionari nordcoreani in questa fase stiano chiedendo a quelli russi notizie e dettagli sui negoziatori americani, e che lo facciano da una posizione tutto sommato di maggiore forza rispetto a qualche mese fa: la visita di Rudenko arriva infatti dopo la controffensiva della Russia nella regione di Kursk – aiutata da una ritirata ordinata e strategica dell’Ucraina – costruita anche grazie al sostegno delle truppe nordcoreane mandate come carne da macello sulle prime linee a combattere gli ucraini. Dopo un breve ritiro dal fronte a gennaio in seguito a numerose perdite, i soldati nordcoreani sono tornati sulle linee del fronte russo a metà febbraio. Secondo diverse testimonianze, dal loro ritorno sembrano più addestrati di qualche mese fa e sarebbero stati determinanti nel Kursk.



Per l’Ucraina era molto importante catturare dei soldati nordcoreani, perché potenzialmente più facili da far arrendere e per ottenere da loro dettagli sulle strategie militari russe. Due settimane fa il Wall Street Journal ha scritto per la prima volta la storia di Lee Seong-min, un nordcoreano scappato nel 2010 in Corea del sud, laureato poi alla Columbia University (grazie alle borse di studio che oggi Trump vuole cancellare) e che da qualche mese sta aiutando gli ucraini a decifrare i diari dei soldati nordcoreani trovati al fronte e a scrivere volantini di propaganda in coreano. Ma nonostante l’aiuto e la solidarietà del “compagno nordcoreano”, l’azione ucraina ha avuto poco effetto per il momento: la maggior parte dei soldati di Kim Jong Un si sono uccisi prima di essere catturati. L’ordine di suicidarsi è stato confermato anche dagli unici due soldati nordcoreani catturati vivi, Ri e Paek, che nelle scorse settimane hanno parlato anche con qualche giornalista e con Yoo Yong-won, rappresentante del People’s Power Party, il partito al governo in Corea del sud.

Ora per loro si apre una strada particolarmente tortuosa, perché sebbene abbiano espresso il desiderio di disertare in Corea del sud, tecnicamente sono prigionieri di guerra nordcoreani, e secondo le convenzioni internazionali Kyiv dovrebbe trattare con Pyongyang la loro liberazione. Ma è altrettanto vero che il coinvolgimento attivo dei nordcoreani nella guerra contro l’Ucraina non è formale, e l’Ucraina ha tutto l’interesse di mostrare un lato “nobile” nella consegna a un paese democratico dei suoi prigionieri di guerra. Ci si muove su un piano scivoloso, anche perché a volte in passato la Corea del sud è stata accusata di “forzare” le diserzioni, e c’è un precedente storico molto vivo nell’immaginario di tutti i coreani, che riecheggia oggi anche in Ucraina. I combattimenti della guerra di Corea iniziarono nel 1950 con l’invasione del Sud da parte delle truppe di Pyongyang e finirono circa un anno dopo. Eppure ci vollero due anni per arrivare alla firma dell’armistizio perché le parti in causa non si mettevano d’accordo sul tema dei prigionieri di guerra. E in particolare su un gruppo specifico di prigionieri, quello delle truppe della Repubblica popolare cinese arrivate a sostenere i nordcoreani: dei circa 21.000 prigionieri di guerra cinesi, alla fine solo un terzo fu rimpatriato nella Repubblica popolare. In 14.300 prigionieri chiesero di disertare nella Repubblica di Cina, cioè nella Taiwan nazionalista guidata da Chiang Kai-Shek. Le immagini dei prigionieri di guerra cinesi che voltavano le spalle a Mao erano state un colpo di propaganda notevole, ma poi quella divenne una storia controversa. Si raccontano versioni diverse – secondo molti resoconti, di affidabilità incerta, alcuni di loro furono costretti a rinnegare Mao, in una vicenda che ancora oggi è una ferita aperta per molti asiatici.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: “Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l’Asia”, “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.

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