Che cosa è successo a Wuhan. Le prime indiscrezioni dai servizi russi. Le conferme dai francesi e da un ex agente cinese. Gli insabbiamenti, i silenzi dell’Oms. E oggi lo scoop della stampa tedesca. Una vecchia fonte dell’intelligence racconta
Pochi giorni dopo che la Zeit e la Süddeutsche Zeitung hanno diffuso la notizia che l’intelligence tedesca già all’inizio del 2021 aveva informato la cancelliera Angela Merkel del fatto che il virus all’origine del Covid-19 fosse fuoriuscito, a seguito di un incidente, dal laboratorio cinese di Wuhan, pubblichiamo il racconto di una vecchia fonte dell’intelligence italiana che era riuscita a scoprire, ancor prima dei servizi tedeschi, che cosa era successo realmente in Cina.
Wuhan dunque, con le persone che stramazzavano e morivano per strada, nei centri commerciali, sugli autobus, dentro e fuori le loro abitazioni. Internet era inondato di video scolpiti dai volti delle persone colpite da un virus sconosciuto e letale. Wuhan era divenuta in un attimo l’ombelico della Cina in cui rovistavano gli occhi, ancora miopi e indifferenti, del resto del mondo.
Era l’inizio di dicembre 2019 ma qualche indiscrezione su quanto stava avvenendo a Wuhan mi era arrivata già alla fine di novembre. Una fonte russa del Fsb (i servizi di intelligence di Mosca, ndr), cui ero legato da sincera amicizia sin dall’epoca del terribile attentato al teatro Dubrovka di Mosca nell’ottobre del 2002, mi avvertì che qualcosa di grave stava accadendo a Wuhan. I suoi contatti in Cina parlavano, terrorizzati, di un virus sconosciuto e letale che si stava diffondendo alla velocità del suono nella città saturando ospedali e cimiteri. Anche all’ambasciata cinese di Mosca si respirava un’aria cupa e densa di tensione. Il mio amico del Fsb aveva inutilmente chiesto qualche informazione alla sua controparte presso l’ambasciata. Tuttavia dopo alcuni giorni riuscì a infrangere il muro di silenzio e un addetto dell’ambasciata lo avvertì di prepararsi al peggio citando il laboratorio di Wuhan dove si stavano conducendo studi e ricerche su virus mortali: “A Pechino sono estremamente preoccupati che l’origine e la diffusione del virus possano essere collegati al laboratorio P4 di Wuhan”. In fondo Russia e Cina sono buoni amici, avrà pensato la fonte cinese prima della sua sconvolgente soffiata.
Sapevo che il mio amico russo, di cui avevo verificato l’assoluta affidabilità durante tutto l’arco dei nostri ormai ventennali rapporti nell’ambito di antiterrorismo e controspionaggio, aveva eccellenti fonti tra gli espatriati cinesi e che le informazioni che mi aveva fornito andavano prese e gestite con la massima urgenza e serietà. Quindi avrei dovuto muovermi in fretta e con estrema decisione per raccogliere da altre fonti, in particolare cinesi, ulteriori informazioni sul virus e il laboratorio di Wuhan. Ciò soprattutto alla luce del fatto, di cui ero praticamente certo, che il Pla (l’Esercito popolare di liberazione, ndr) e l’intelligence cinese avrebbero agito tempestivamente per chiudere tutti gli spazi informativi, fortunatamente rimasti ancora aperti, da cui continuavano a trapelare preziose indicazioni su cosa stava realmente avvenendo a Wuhan. A conti fatti e in base alla mia esperienza avevo a disposizione non più di due settimane per agire.
Così, usando mille precauzioni, contattai una mia vecchia fonte cinese, espatriata in Europa all’inizio del 2001, che mi era particolarmente devota per averla aiutata, ovviamente in cambio di informazioni utili al mio paese, a esfiltrare dalla Cina la sua famiglia. “Sapevo che mi avresti chiesto del virus e del laboratorio di Wuhan e allora ho fatto i compiti”, esordì la mia fonte con il suo consueto accento infranciosato per aggiungere subito dopo: “Posso confermarti che il virus è fuoriuscito dal laboratorio militare di Wuhan all’inizio del mese di novembre. Un tecnico ricercatore è accidentalmente entrato in contatto con il virus, altamente infettivo e letale, esportandolo in tale modo all’esterno del laboratorio P4 e divenendo di fatto il paziente zero del focolaio epidemico scatenatosi a Wuhan”.
Ciò che più temevo, cioè che si trattasse di un pericoloso virus fuoriuscito da un laboratorio definito di massima sicurezza, iniziava a prendere forma e sostanza in quel freddo mercoledì del 4 dicembre 2019. “Sei certo di questa informazione? Le fonti sono affidabili?”, gli chiesi. Mi raccontò che le informazioni provenivano da alcuni suoi ex colleghi dell’intelligence cinese con i quali era rimasto in contatto nonostante egli si fosse definitivamente stabilito in Europa: “Le mie fonti si sono assunte il rischio mortale di rivelarmi cosa fosse veramente accaduto a Wuhan perché erano convinti che in qualche modo il mondo dovesse essere avvertito di una così temibile minaccia in grado di infettare in modo letale, a partire dalla Cina, milioni di persone. Per di più una delle mie fonti era stata dislocata proprio a Wuhan, con compiti di controspionaggio, durante i Giochi mondiali militari svoltisi in quella città dal 18 al 27 ottobre 2019. Ebbene, questa fonte era ancora a Wuhan quando si sono manifestati i primi segni della diffusione del virus ed è riuscito a ottenere informazioni di prima mano sia dai suoi contatti tra le forze dell’ordine locali sia tra il personale della Military Management Division (Mmd) del Pla che gestiva e garantiva la sicurezza interna ed esterna del laboratorio di Wuhan. Tutti, indistintamente, hanno riferito alla mia fonte che un incidente era avvenuto in tale laboratorio provocando la fuoriuscita di un virus assolutamente letale”.
La risposta datami dalla mia fonte cinese mi era sembrata esauriente e non insistetti con altre domande. Ci lasciammo con il reciproco impegno di continuare a raccogliere altre informazioni e di mantenerci a stretto contatto. Cosa che, come vedremo, avvenne puntualmente nel corso del tempo. Passai due giorni a riflettere sulle scioccanti e sensibili informazioni che avevo ricevuto dalle mie prime due fonti. Dovevo, quindi, continuare ad agire con la massima cautela e prudenza. Apparve indispensabile che ascoltassi altre fonti per verificare l’affidabilità delle informazioni acquisite. Ero a conoscenza delle passate, profonde, connessioni francesi con il Wuhan Institute of Virology (Wiv). Almeno due prestigiosi componenti del francese Centre International de Recherche en Infectiologie (Ciri), l’Istituto Pasteur e l’Istituto Meriux, avevano svolto un ruolo cruciale nelle progettazione fisica e nello sviluppo degli elementi chiave della gestione e dei protocolli scientifici di quello che sarebbe divenuto il primo laboratorio di alta sicurezza in Cina con sede a Wuhan. Non a caso fu l’allora primo ministro francese, Bernard Cazeneuve, a presenziare alla cerimonia dell’accreditamento del laboratorio P4 di Wuhan il 23 febbraio 2017. Nel suo discorso inaugurale Cazeneuve affermò: “La Francia è fiera e felice di aver contribuito alla realizzazione del primo laboratorio P4 ad alta sicurezza biologica in Cina. Progettato da esperti francesi, poi avviato a Wuhan nel 2011, questa struttura all’avanguardia è un elemento centrale nelle concretizzazione dell’accordo intergovernativo del 2004 sulla cooperazione franco-cinese nella prevenzione e nella lotta alle malattie infettive emergenti”.
Il coinvolgimento della Francia, nella realizzazione del laboratorio P4 di Wuhan, era avvenuto nonostante la contrarietà di esperti qualificati. Il timore era che la Cina, utilizzando il know how e la tecnologia sensibile acquisita dalla Francia, potesse trasformare il laboratorio P4 di Wuhan in un arsenale biologico
Ho volutamente sottolineato il ruolo svolto dal francese Ciri e l’incipit del discorso di Cazeneuve giacché il coinvolgimento della Francia, nella realizzazione del laboratorio P4 di Wuhan, era avvenuto nonostante la contrarietà di esperti altamente qualificati sia della comunità scientifica sia dell’intelligence francese. Il timore era che la Cina, utilizzando il know how e la tecnologia sensibile acquisita dalla Francia, potesse trasformare il laboratorio P4 di Wuhan in un arsenale biologico. Stante così le cose e nella consapevolezza che l’intelligence francese non aveva mai distolto la sua attenzione dal laboratorio di Wuhan, specie dopo che la Cina aveva repentinamente allontanato la Francia e i suoi esperti da quella struttura nel 2017, dovevo assolutamente verificare quali informazioni circolassero a Parigi.
Aspettai il 7 dicembre per prendere contatto con una importante fonte dell’intelligence francese. Mi disse: “Almeno quattro fonti mi hanno riferito che il virus ingegnerizzato, destinato all’arsenale cinese di armi biologiche, sarebbe fuoriuscito dal laboratorio di Wuhan a causa di un incidente”
Aspettai il 7 dicembre per prendere contatto con una importante fonte dell’intelligence francese con il quale avevo stabilito un solido rapporto di collaborazione in occasione del sequestro in Iraq dei giornalisti francesi Christian Chesnot e Georges Malbrunot (20 agosto 2004) e di Florence Aubenas (5 gennaio 2005) ad opera di gruppi jihadisti locali. “Puoi dirmi qualcosa su cosa sta accadendo a Wuhan?”, gli chiesi. “Tu cosa sai?” mi replicò. La mia risposta fu interlocutoria e volutamente vaga “Circolano rumors su un virus letale di cui non si conosce l’origine e la natura. Spero nei prossimi giorni di ricevere qualche informazione dalle mie fonti russe e cinesi di cui ti metterò al corrente se vuoi”. Notai che la mia promessa lo allettava. Infatti ruppe gli indugi esordendo in questo modo: “So dall’epoca della nostra collaborazione in Iraq che sei un tipo sveglio e sai contare. La cosa è semplice. Due più due fa quattro. A Wuhan c’è un laboratorio P4 che noi francesi abbiamo aiutato a realizzare nonostante fossimo quasi certi che la Cina lo avrebbe usato per sviluppare il suo arsenale di armi biologiche. Ecco, almeno quattro fonti mi hanno riferito che il virus ingegnerizzato, destinato all’arsenale cinese di armi biologiche, sarebbe fuoriuscito dal laboratorio di Wuhan a causa di un incidente probabilmente avvenuto tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre. Ovviamente è una informazione talmente sensibile e importante che stiamo ricorrendo a ogni mezzo per poterla verificare prima che i cinesi riescano a congelare qualsiasi soffiata e indiscrezione. So per certo che l’intelligence cinese sta già operando una serie di arresti a carico di chiunque faccia filtrare via social o con altri mezzi notizie ritenute sensibili su quanto sta avvenendo a Wuhan”.
Seguirono due lunghissimi minuti di silenzio. “Ci sei ancora?” mi chiese. “Certo – mi affrettai a rispondere – stavo pensando di chiederti se posso condividere le tue informazioni almeno con un mio amico di alto rango che si muove con grande abilità tra i meandri dei vertici politici e della comunità d’intelligence statunitense. Che ne pensi?”. La risposta non si fece attendere: “Senti, quanto avvenuto e sta accadendo a Wuhan è così grave e pericoloso che puoi condividere l’informazione con tutte le persone che ritieni opportuno. Sottolinea sempre, per favore, che si tratta di un virus ingegnerizzato fuoriuscito dal laboratorio militare di Wuhan e che, quindi, va affrontato come fosse un’arma biologica. Devono comprendere che siamo di fronte a una minaccia potenzialmente globale come non accadeva dalla fine della Seconda guerra mondiale. In questo modo potremo osservare la reazione di queste persone cercando anche di cogliere cosa sanno le loro agenzie d’intelligence. Ovviamente mi aspetto che tu mi tenga informato”. “Ovviamente” replicai. Prima che potessi chiudere la conversazione il mio amico aggiunse una indicazione finale: “Per comprendere la straordinaria portata di ciò che si è abbattuto su Wuhan e la terribile minaccia che rappresenta per il resto del mondo procurati una copia del libro che descrive la strategia cinese di guerra biologica. Il titolo è ‘L’origine innaturale della Sars e nuove specie di virus artificiali quali armi biologiche e genetiche’, prodotto dal Pla nel 2015. Cioè lo stesso anno in cui noi abbiamo segnalato anche ai tuoi amici americani che il laboratorio di Wuhan poteva essere destinato dalla Cina allo sviluppo del suo programma di armi biologiche. Perché credi ci abbiano cacciato da Wuhan nel 2017? Insomma, ti ripeto due più due fa quattro. Au revoir mon ami”. Au revoir.
I giorni successivi condivisi nelle forme più confidenziali possibili le informazioni, provenienti dalle mie fonti russe, cinesi e francesi, con alcuni amici di lunga data, ancora attivi in diverse agenzie di intelligence europee, vincolandoli a mantenere segrete tali informazioni adducendo come spiegazione che ne stavo ancora verificando l’affidabilità: “Mi fido delle mie fonti ma devo verificare”, dissi loro. Come avevo precedentemente concordato con la mia fonte francese l’obiettivo era quello di analizzare le loro reazioni e scoprire se fossero in possesso di una qualche informazione su Wuhan. Le reazioni furono di vario tipo. Dallo scetticismo, dettato dalla enormità di quanto avevo loro rappresentato, al silenzio pensoso rotto da qualche colorito commento. Per il resto non avevano nessuna consapevolezza della immane minaccia che si stava addensando su Wuhan e il mondo intero. Eppure rivestivano posizioni di grande responsabilità all’interno dei loro servizi d’intelligence. Wuhan restava lontana dai loro occhi e, di conseguenza, da quelli dei rispettivi governi nonostante qualche soffiata, coerente con le mie informazioni, fosse giunta alle loro orecchie. Ma erano semplici soffiate, indiscrezioni appena sussurrate. Perché agitarsi, avranno pensato, meglio respirare sui fianchi in attesa di qualcosa di più solido. Insomma, con eccezioni che si contavano sul palmo di una mano, l’aria che tirava in quel momento tra la comunità d’intelligence europea era la stessa di quando venivano prese in esame emergenze sanitarie in qualche luogo remoto del continente africano o del continente asiatico. Se, per esempio, avessi parlato di minacce da parte dell’Isis o di al Qaeda avrei di certo ottenuto la loro massima attenzione. Non nego che mi avvolse una forte sensazione di solitudine accompagnata dalla consapevolezza che ancora una volta, come troppo spesso mi era già accaduto, avrei dovuto compiere uno sforzo straordinario affinché qualcuno prendesse sul serio informazioni preziose su una minaccia imminente che avrebbe sconvolto radicalmente e tragicamente le nostre vite.
Era arrivato il momento di mettermi in contatto con un altro mio vecchio amico dell’intelligence britannica con il quale avevo collaborato strettamente soprattutto nelle attività di controterrorismo prima e dopo gli attentati di Madrid (11 marzo 2004) e Londra (7 luglio 2005) ad opera di al Qaeda. Conoscevo il suo carattere puntiglioso e scelsi di aspettare alcuni giorni. Poi il 12 dicembre composi il suo numero. “Stavo giusto pensando di cercarti” esordì riconoscendo la mia voce. “Ti conosco. Sono certo che hai già informazioni su Wuhan e quanto sta avvenendo laggiù”, aggiunse subito dopo con un sorriso furbo e soddisfatto. Tanto valeva che rompessi gli indugi riferendogli l’intelligence in mio possesso. “Guarda che le tue informazioni coincidono con le mie – replicò con fermezza – Tutte le mie fonti cinesi sono apparse abbastanza sicure del fatto che l’emergenza sanitaria scatenatasi a Wuhan è qualcosa di estremamente serio. Con ogni probabilità abbiamo a che fare con un virus chimerico manipolato nel laboratorio di Wuhan che come sai è totalmente controllato dal Pla. Insomma, secondo le mie fonti cinesi, siamo in presenza di una minaccia globale senza precedenti. Sembra che il virus uscito dal laboratorio di Wuhan fosse destinato all’arsenale cinese di armi biologiche e per questo potrebbe avere caratteristiche di contagiosità e letalità in grado di causare centinaia di migliaia di morti. Ovviamente sono informazioni così sconvolgenti che richiedono un immediato e accurato lavoro di verifica”. “Sono perfettamente d’accordo con te”, risposi prontamente. Dopo averlo esortato a prestare la massima attenzione sottolineai con decisione e chiarezza le difficoltà che avremmo potuto incontrare: “Il problema immediato e cruciale è la verifica sul campo di tali informazioni. Il virus è stato realmente manipolato in laboratorio? Il virus è veramente fuoriuscito dal laboratorio di Wuhan? E in caso affermativo si è trattato di uno sciagurato incidente? Come vedi sono domande che fanno tremare i polsi e a cui non siamo, al momento, in grado di rispondere con certezza e cognizione di causa. Per ora l’unica cosa certa è lo sgomento che tutti noi abbiamo percepito dalle fonti cinesi mentre ci descrivevano la natura e l’origine del virus che ha investito come una tempesta di sabbia aliena la città di Wuhan”. Avvertivo dal silenzio del mio interlocutore che avevo colpito nel segno. Dopo una pausa che mi apparve un’eternità ecco arrivare una proposta operativa: “Dobbiamo chiedere alle nostre fonti cinesi di raccogliere tutte le informazioni possibili su come Pechino e la sua intelligence stanno reagendo alla emergenza sanitaria in atto a Wuhan e alle notizie che, per nostra fortuna, continuano a trapelare. Se il virus non è uscito dal laboratorio di Wuhan ed è sicuramente di origine naturale la Cina non avrà alcun interesse a coprire la verità che la vedrebbe come una vittima, un paese sfortunatamente colpito da una immane tragedia sanitaria e pronto ad aprire i propri confini all’aiuto internazionale soprattutto di tipo medico e scientifico. Se non c’è polvere nascosta sotto il tappeto perché impedire a chiunque di sollevarlo?”.
Insomma volevamo dare una chance alla Cina, come se fosse improvvisamente divenuto un paese normale reso vulnerabile da un virus estremamente contagioso e letale. O meglio ancora, sembrava come se il nostro massimo desiderio, in quel momento, fosse quello di allontanare dall’umanità intera l’incubo di una minaccia potenzialmente globale provocata da un qualcosa progettato dall’uomo e colpevolmente sfuggito al suo controllo. Nel caso, invece, la Cina avesse avuto qualcosa da nascondere, Wuhan si sarebbe immediatamente riempita di uomini dell’intelligence e unità speciali del Pla per bloccare l’emorragia di notizie, mettere sotto totale controllo il personale delle strutture sanitarie e del laboratorio di Wuhan avviando contestualmente l’occultamento di qualsiasi traccia in grado di condurre, direttamente o indirettamente, al laboratorio di Wuhan e alla individuazione dell’origine e della natura del virus. Entrambi eravamo ben consci che una semplice, logica deduzione non sarebbe bastata. Tuttavia era un inizio. Un fatto concreto che le nostre fonti cinesi potevano osservare e approfondire alla luce delle gravi e sconvolgenti informazioni che ci avevano trasmesso. Chiudemmo la nostra conversazione con la promessa di risentirci all’inizio di gennaio 2020.
Una minaccia globale. Le confidenze di un alto ufficiale di un servizio d’intelligence mediorientale. Diverse fonti cinesi avevano confermato all’unisono che il virus era stato manipolato dagli scienziati cinesi. Gli ostacoli tra i vertici dei servizi. E a gennaio l’Oms parla nell’interesse di Pechino
Verso la fine di dicembre, mentre continuavo a incrociare e analizzare informazioni Osint e Humint (da fonti aperte e pubbliche e da fonti di intelligence, ndr) sul dramma che si stava consumando a Wuhan, ricevetti un messaggio da un ufficiale di alto livello, appartenente a un prestigioso servizio d’intelligence mediorientale, cui ero legato da una lunga e collaudata amicizia. Era il solito messaggio in codice che per anni avevamo usato per i nostri incontri di lavoro. Dopo alcune ore di viaggio arrivai sul luogo dell’appuntamento. Il vecchio casale di campagna, circondato da querce secolari, mi apparve all’improvviso insieme al mio amico che era appena sceso dalla macchina. Ci abbracciammo per poi scivolare velocemente all’interno della casa. Ci sedemmo in due poltrone vicino al camino che inondava la stanza di crepitii e bagliori. “Allora, come stai Yossi? E’ sempre per l’Iran, Hamas, il jihad islamico che hai una espressione così seria?” provai a scherzare. La replica non si fece attendere: “Senti, non scherzare, le informazioni che mi accingo a darti faranno sembrare la minaccia iraniana e quelle terroristiche solo come uno dei tanti problemi, retaggio del passato, che continuano a trascinarsi nel tempo senza soluzione di continuità. Finora eravamo convinti che gli stati canaglia come l’Iran, il jihad islamico, il terrorismo dell’Isis e di al Qaeda fossero in cima alla lista dei nostri obiettivi, il male da combattere. Invece a Wuhan si è improvvisamente materializzata una minaccia globale in grado di causare milioni di vittime e cambiare per sempre il nostro mondo. Alcuni giorni fa ho incontrato, su sua richiesta, un ufficiale di rango elevato dell’intelligence cinese, provvisoriamente dislocato in Iran con compiti di controllo e supervisione degli scienziati cinesi impegnati nel programma nucleare iraniano, che senza mezzi termini mi ha messo al corrente che a causa di un incidente un virus letale e altamente contagioso era fuoriuscito dal laboratorio Bsl4 di Wuhan intorno al 2 novembre 2019. Un virus, ha tenuto a specificare, estremamente pericoloso, destinato all’arsenale di armi biologiche del Pla e che, per tale motivo, andava affrontato a tutti gli effetti come fosse una bioweapon. Ovviamente, dato che il mio interlocutore non era mai stato una mia fonte e godeva della reputazione di essere un integerrimo ufficiale dell’intelligence cinese, gli chiesi quali fossero le ragioni che lo avevano indotto a trasferirmi delle così gravi informazioni. La sua risposta fu stupefacente nella sua semplicità. Con questo tipo di virus siamo tutti in pericolo, il mondo intero è in pericolo. E’ stata la consapevolezza di ciò, insieme alla sua coscienza e profondo senso dell’onore, a indurlo a rompere il suo giuramento e a condividere con me informazioni di così straordinaria importanza e sensibilità. Poi, all’improvviso il colpo finale quasi a volermi lasciare ancora più sgomento e preoccupato. Prima di salutarmi mi ha avvertito, quasi sussurrando e con un’aria ancora più grave, della possibilità che anche alcuni scienziati americani, da anni in stretti rapporti di collaborazione con diversi colleghi cinesi del laboratorio di Wuhan e non solo, fossero già a conoscenza della vera natura e origine del terribile virus”.
Il racconto del mio amico era terminato e ora toccava a me ricambiare con l’intelligence che avevo raccolto fin a quel momento. “Tutto ciò che ti ha riferito l’ufficiale dell’intelligence cinese, con esclusione della parte riguardante il coinvolgimento di alcuni scienziati americani, coincide perfettamente con quanto mi è stato precedentemente riferito dalle mie fonti russe, francesi, britanniche e cinesi. In pratica è la chiusura del cerchio. Ora rifletti su questo aspetto, a mio avviso, di importanza cruciale per una oggettiva e corretta valutazione delle informazioni Humint acquisite. Sono tutte di prima mano e niente affatto inquinate da passaggi interpretativi intermedi. Le fonti d’intelligence che ti ho citato, io stesso e ora anche tu, abbiamo tutti ricevuto le informazioni sulla fuga dal laboratorio di Wuhan e la manipolazione del virus esclusivamente da fonti cinesi, alcune delle quali appartenenti addirittura alla Mmd del Pla e dislocate presso il laboratorio di Wuhan. A queste fonti ora va aggiunta la recente testimonianza del tuo ufficiale dell’intelligence cinese. Il risultato, a dir poco straordinario, è che abbiamo ottenuto informazioni del tutto simili e convergenti provenienti direttamente da 13 fonti cinesi affidabili e di prim’ordine. Sono, quindi, convinto che siamo veramente sulla strada giusta”. “Sì, siamo sulla strada giusta” ribadì il mio amico Yossi suggerendo anche che da quel momento il nostro lavoro doveva essere portato avanti coordinandoci sistematicamente con le fonti d’intelligence russe, francesi e britanniche. Nulla doveva essere trascurato o lasciato al caso. Le nostre finestre informative, fortunatamente ancora aperte, potevano essere chiuse da un momento all’altro dall’intelligence cinese. L’incontro si stava avviando verso la fine. Non ci restava che tirare le somme delle informazioni in nostro possesso. Plurime fonti cinesi avevano confermato all’unisono che il virus era stato manipolato dagli scienziati cinesi ed era fuoriuscito per un incidente dal laboratorio di Wuhan all’inizio di novembre 2019. Una sola fonte, sia pure di alto rango dell’intelligence cinese, aveva riferito del possibile coinvolgimento di alcuni scienziati americani nella manipolazione del virus. Decidemmo, per il momento, di concentrare tutti i nostri sforzi sul virus e l’incidente avvenuto nel laboratorio di Wuhan. Degli scienziati americani ci saremmo occupati in un secondo momento. Entrambi eravamo consapevoli, dopo aver accumulato anni di attività e esperienza nell’intelligence, che presto avremmo dovuto affrontare anche il difficile snodo di come indurre le varie comunità d’intelligence a prendere in esame le nostre informazioni. Così, una volta stabilito il nostro piano operativo, ci salutammo fraternamente lasciandoci alle spalle il vecchio casale, il crepitio del camino, il soffio delle querce, divenuti testimoni del racconto della immane catastrofe che si sarebbe abbattuta questa volta, e ad opera dell’uomo, solo ed esclusivamente sull’intera umanità.
Mancavano solo due giorni al 31 dicembre e poi saremmo di un colpo entrati nel nuovo anno, nel 2020 o più semplicemente venti-venti nell’inglese approssimativo delle mie fonti cinesi. Mi trovavo a rivivere la situazione assurda, già sperimentata in passato per fatti legati al terrorismo, di essere a conoscenza di una enorme e incombente minaccia totalmente ignota alla quasi totalità delle persone. In quel momento eravamo veramente in pochi a sapere del tremendo rischio che stavamo correndo. In tutto il mondo si festeggiava l’arrivo del nuovo anno. Wuhan e il virus erano quanto mai lontani da noi e nessuno ancora sospettava che di lì a poco migliaia di persone avrebbero perso, in modo crudele e improvviso, la vita e che il nostro mondo e le nostre esistenze sarebbero mutati per sempre. Così, quando arrivò il momento di scambiarsi gli auguri stentai a pronunciare la rituale frase di buon anno che mai come allora mi risuonò come una nota assurdamente stonata e surreale al contrario dei messaggi che il primo gennaio 2020 ricevetti dalle mie fonti. Messaggi, simbolicamente inviati in occasione dell’avvento del nuovo anno, che all’unisono nel confermare la natura e l’origine del virus ribadivano, come in un urlo definitivo di aiuto, la disperata urgenza che le nostre informazioni fossero immediatamente usate per rompere l’incosciente indifferenza e il muro di silenzio che incredibilmente avvolgeva, come una cappa di piombo, qualsiasi percezione di ciò che si era palesato come una minaccia globale e di incalcolabile portata.
Il 3 gennaio parlai nuovamente con le mie fonti d’intelligence russe, francesi, britanniche e mediorientali, giungendo alla conclusione che ciascuno di noi, nei giorni successivi, avrebbe fatto in modo di condividere, in via informale e confidenziale, le informazioni in nostro possesso con ufficiali di rango elevato appartenenti a diverse agenzie di intelligence. Cosa che ci tenne impegnati per alcune settimane. D’altro canto l’argomento era estremamente sensibile e richiedeva, prima di compiere il passo di sottoporre le informazioni ricevute all’attenzione dei vertici delle varie agenzie di intelligence, la massima cautela da parte dei nostri interlocutori. Cautela che presto si trasformò in una palude quanto mai vischiosa e paralizzante. A una prima fase, piena di interesse e sincera partecipazione, subentrò un atteggiamento del tipo: “Siamo consapevoli dell’assoluto valore delle vostre informazioni ma stiamo incontrando ostacoli, per ora insuperabili, tra i vertici delle nostre intelligence”. Dunque c’era qualcosa che non stava andando nel verso giusto. Tuttavia bastò poco per scoprirne la ragione. Le mie fonti cinesi mi confermarono che Pechino era scesa in campo con tutto l’enorme forza del suo apparato d’influenza, disinformazione e infiltrazione in occidente facendo confidenzialmente trapelare, tramite intermediari occidentali da tempo risorse dell’intelligence cinese, che non esistevano prove del fatto che il nuovo coronavirus si trasmettesse da uomo a uomo. Un’affermazione, questa, semplicemente pazzesca e formulata con l’arrogante convinzione che nessuno avrebbe osato contraddirla soprattutto se a validarla fosse intervenuta la Organizzazione mondiale della sanità. Cosa che avvenne, puntualmente, il 14 gennaio quando l’Oms dichiarò che “Preliminary investigations conduct by the Chinese authorities have found no clear evidence of human-to-human transmission of the novel Coronavirus identified in Wuhan”.
Questo avveniva mentre il focolaio di Wuhan, dall’inizio di novembre 2019 in poi, aveva ormai assunto il terribile carattere di una epidemia incontrollabile mietendo centinaia di vittime e congestionando gli ospedali di malati e persone decedute dopo incredibili sofferenze. Ciò nonostante l’Oms aveva fatto, qualche giorno prima, di peggio. L’11 gennaio aveva diffuso due dichiarazioni che sembravano uscite direttamente dalle viscere del Partito comunista cinese. Nella prima: “Who (l’Oms, ndr) advises against the application of any travel or trade restrictions on China based on the information currently available”. Nella seconda: “Who does not recommend any specific healt measure for traveller to and from Wuhan”. In questo modo l’Oms sanciva, nell’interesse di Pechino, la totale libertà di movimento da e per Wuhan aprendo, di fatto, la strada alla diffusione del virus nel resto del mondo. Per noi era chiaro che l’intelligence cinese aveva profondamente infiltrato gli apparati dell’Oms trasformando il direttore Tredos in una preziosa risorsa al servizio di Xi Jinping.
In pratica l’intelligence cinese aveva iniziato l’opera di demolizione di qualsiasi ipotesi che ponesse il laboratorio di Wuhan e il virus in ragione di causa ed effetto.