Putin e Trump spingono noi europei nella direzione giusta. Ora serve agire

Amore della contingenza, passione per l’agonismo, gusto del paradosso. L’aggressione di Mosca e il semitradimento degli Stati Uniti ci lasciano soli (o quasi) a organizzarci. Per farlo, chiediamoci chi siamo

“Il progressismo delle élite ha provocato una reazione rabbiosa, frustrata, rancorosa e violenta, con tutti i guasti conseguenti ed evidenti ai nostri occhi, si è rivelato autofagico, e allora, che fare?”. Così giovedì concludeva Giuliano Ferrara dopo aver sviluppato riflessioni ormai sempre meno isolate, da ultimo di Ernesto Galli della Loggia e di Giuliano Amato. La aggressione di Putin e il semitradimento di Trump ci stanno spingendo nella direzione giusta. Lasciano noi dell’Europa libera soli, o quasi, a organizzarci e, per farlo, a chiederci chi siamo. Se siamo ancora quelli che la storia ci ha fatto e quelli che una certa storia hanno fatto. Ormai è corsa alle citazioni di De Gasperi, nelle cui parole identità e programma si alimentano a vicenda: l’anima riconosce il corpo e il corpo l’anima.

Lungo la direzione giusta, dettata dagli eventi, possiamo procedere o resistere. Fare o non fare. Fare altro è impossibile perché provare a svicolare equivale a opporsi alla spinta salutare di quegli stessi eventi. Sicché la domanda sul “che fare?” potrebbe essere tradotta: perché fare quello che le cose ci spingono a fare? E come farlo? Alla omogeneità culturale del passato non si torna. Il conservatorismo tradizionale non basta, anche quando ha ottime intenzioni. D’altra parte mettersi anche noi a sventolare rosari sarebbe sterile ed empio. Empio per chi crede, sterile per chi non crede, letale per una tradizione violentata mentre si finge di onorarla.

Ciò di cui abbiamo bisogno è una sorta di cuscinetto a sfera, qualcosa che regga la pressione del presente e del passato, ma non se ne faccia bloccare. Ciò che serve è qualcosa come un aggettivo cui nomi diversi possono dare sostanza. Come dice Walzer, tante e diverse sono le ragioni per essere liberali, nessuna esclude le altre. Ciascuna di quelle ragioni dà sostanza all’aggettivo. Il nostro “perché” e “come” fare ciò che finalmente siamo costretti a fare richiede aggettivi capaci di molte sostanze, ragioni che sappiano muovere nella direzione giusta corpi sociali diversi. Servono valori di un moderno a basso tasso di acidità.

Serve amore per la contingenza. Realtà del non necessario, la contingenza impone e al contempo lascia aperta la domanda sul perché mai del contingente. Qualcuno lascerà quella domanda aperta, qualcun altro arrischierà una risposta. Scriveva Manzoni: abbiamo il dovere di testimoniare la verità, non il compito di farla trionfare a ogni costo. Quello della contingenza è un relativismo che non rimanda all’arbitrio del soggetto, ma al mistero. Contingenza è comprendere la realtà come dono che sopraggiunge anonimo. Non obbliga a ringraziare, ma vieta di disporre del dono con arrogante spensieratezza.

Serve passione per l’agonismo. Che il conflitto sia condizione insuperabile puoi crederlo perché non si è mai vista pace se non quella imposta dal sopruso oppure perché sai che la pace, lo Shalom, scenderà dal Cielo solo l’Ultimo Giorno. Perché sai che è diabolico prometterla per domani o per fra cento anni. Realisti o credenti, a maggior ragione se realisti perché cristiani, altro non dobbiamo che combattere o almeno resistere al male. Farlo insieme non richiede affatto avere la stessa spiegazione della causa del male, né di averne una. Semmai implica trovare salutare l’agone perché sottrae il secolo a qualsivoglia principe di questo mondo.

Serve gusto per il paradosso, per quel modo di separare il dentro dal fuori, l’identico dal diverso, assumendo come identità la eguale dignità del diverso, del semplicemente simile. Paradosso come quello di Matteo XXV, dove Gesù annuncia una verità secondo la quale a salvare non è il conoscerla, ma l’obbedirla anche ignorandola. Solo paradossale può essere la verità che identifica senza escludere a priori. Essa non è il vuoto e il terrore dell’universale (partorito dall’illuminismo giacobino); non è il pieno infinitamente violento di ogni fondamentalismo; bensì è il paradosso di un dentro identificato dal suo dar maggior valore al fuori che al dentro.

Amore della contingenza, passione per l’agonismo, gusto del paradosso. Non richiedono il dottorato e non lo escludono. Ne abbiamo avuto esempi umili e alti, perché umile e alto si oppongono solo nella logica del fondamento, del possesso e della identità che separa e segrega. Contingenza, agonismo e paradosso sfondano i muri ed aprono i cieli. Pongono la questione della speranza (architrave del moderno per Kant). Mantengono la speranza quando l’ottimismo langue e la purificano quando abbonda.

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