Nel Sud-est asiatico l’imprevedibile “Pivot to China” di Trump non piace

La politica estera transazionale della nuova Amministrazione sta spingendo i paesi del Sud-est asiatico a rafforzare i legami con la Cina, indebolendo l’influenza degli Stati Uniti nella regione. L’unico paese della zona a trarre vantaggio dalla politica statunitense è la Birmania

Tlamp jay rong, Trump ha il cuore caldo, dice un vecchio kru, un maestro di Muay Thai. Ma non è un complimento. Significa che non sai controllare le emozioni, sei un uomo cattivo. Dice un proverbio: “Se il tuo cuore è un vulcano, come puoi aspettarti che i fiori ti sboccino in mano?”. Se quel vecchio combattente la pensa così, significa che ha recepito il messaggio di coloro che, secondo il codice gerarchico thai, considera Poo Yai, l’élite. Anche questa potrebbe essere una di quelle che Sally Tykler, analista politica americana ed esperta di Sud-est asiatico, definisce “dissonanze”. Tikler utilizza una metafora molto locale: il Durian, un frutto dall’odore rancido e dal sapore che per molti è delizioso (è il tema del suo libro “The Durian Chronicles”). L’odore potrebbe identificarsi nella sensazione che provoca la politica di Trump da queste parti. Il sapore, beh, piace tanto ai cinesi.



Per comprendere la profondità delle dissonanze, bisogna rifarsi a chi le aveva analizzate con maggior profondità: Henry Kissinger. Sostiene l’uomo che parlava a Mao Zedong e Zhou Enlai che la strategia occidentale si basa sul gioco degli scacchi, quella cinese sul wei ch’i (il giapponese go). Negli scacchi lo scopo è la distruzione dell’avversario. Nel wei ch’i è semplicemente guadagnare territorio. L’osservazione di Kissinger riecheggia nella recente analisi di Richard Harris, pioniere delle analisi finanziarie in Asia. “Trump è la persona sbagliata per una mediazione geopolitica. Il suo stile è quello di un businessman… Lui vede un accordo in termini di chi vince e chi perde”. Dylan Loh, esperto di politica estera alla Nanyang Technological University di Singapore, rafforza il giudizio: Trump è “una forza imprevedibile, volatile e distruttiva”. Ancor più grave il giudizio di Ng Eng Hen, ministro della difesa di Singapore: “L’immagine dell’America in Asia è cambiata da liberatrice a distruttrice. Sembrano proprietari terrieri in cerca di rendita”. Quello che era il “Pivot to Asia” di Obama si sta trasformando nel “Pivot to China” dei paesi del Sud-est del continente. E’ accaduto a spese dei quaranta uiguri arrivati nel 2014 dalla Cina nella speranza di raggiungere la Turchia e rinchiusi in un centro di detenzione per migranti di Bangkok sino all’inizio di questo mese, quando sono stati estradati in Cina, ottemperando alle reiterate richieste di Pechino. Il segretario di stato americano Marco Rubio ha dichiarato che la mossa “è contraria alla lunga tradizione del popolo thailandese di protezione dei più vulnerabili”, ma non è stato considerato in grado di poter dare lezioni. Tanto meno dopo l’incontro della premier thai Paetongtarn Shinawatra col con il leader cinese Xi Jinping.


Un deciso avvicinamento a Pechino anche quello del Vietnam. Evidentemente il primo ministro Pham Minh Chinh teme una possibile guerra commerciale con l’America più delle dispute sul Mar della Cina meridionale. Secondo William Choong dell’Institute of Southeast Asian Studies sembra che il Vietnam e le Filippine stiano “ricalibrando” le posizioni più dure nei confronti di Pechino o comunque cercando misure di salvaguardia per prevenire lo scoppio del conflitto. Quelle che si stanno “ricalibrando” sono soprattutto le dissonanze tra paesi. Il Trump 2.0, ad esempio, sta costringendo Indonesia e Filippine a trasformare le loro economie da esportatori di materie prime a produttori di manufatti ad alto valore aggiunto come le batterie e i veicoli elettrici. La Cambogia, allarmata dal congelamento degli aiuti UsAid e dalla imprevedibile politica estera americana, sta cercando nuovi partner, compresi Francia ed Inghilterra. L’unico paese del Sud-est asiatico a trarre vantaggio dalla politica di Trump è la Birmania. Lo fa indirettamente, sfruttando il vantaggio offerto alla Russia che può nuovamente rivolgere le sue attenzioni al generale Min Aung Hlaing. Nella sua recente visita a Mosca, l’uomo che sta devastando il proprio paese ha ottenuto aiuti economici e alimentari, firmato un contratto per la realizzazione di un piccolo reattore nucleare e la consegna di sei nuovi cacciabombardieri. In cambio ha regalato a Putin sei elefanti.

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