Per quanto ancora inadeguata, è meglio un’Europa armata che una passiva

Risvegliarsi dal torpore, al di là delle utopie. Nessuno può permettersi il lusso del pacifismo passivo. Tutti devono rafforzarsi militarmente per difendere i propri valori e la propria sicurezza

Dal secondo Dopoguerra fino all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, almeno in Italia, è stato come se il rischio dell’olocausto nucleare avesse reso obsoleto il tema della guerra. Grazie alla protezione degli Stati Uniti e all’improbabilità di una guerra nucleare tra le cosiddette grandi potenze, ci siamo completamente disinteressati della nostra forza militare, destinando a obiettivi più edificanti le nostre risorse e guadagnandoci in questo modo ottant’anni di pace e di prosperità. Buon per noi, verrebbe da dire. Solo che la festa sembra essere finita. Il disimpegno dell’Amministrazione americana sull’Ucraina ha messo bruscamente a nudo la debolezza militare e politica dei paesi europei; la potenza militare si riprende il centro dello scenario internazionale (in realtà lo ha sempre avuto, anche se molti facevano finta di non saperlo) e tutti sentiamo quanto sia difficile contrastare questa potenza con i soli argomenti della ragione.



Una debacle per i pacifisti nostrani, direbbe il buon senso. Ma potrebbe non essere così. A giudicare dalla piega che sta prendendo il dibattito pubblico, sembra infatti che col passare del tempo potrebbero essere proprio costoro a trarre maggior profitto dalla situazione. Ai vecchi slogan, secondo i quali anziché mandare armi a Zelensky l’Europa avrebbe dovuto aprire subito una trattativa di pace con i russi, come se questi ultimi non volessero altro che interrompere l’invasione prima possibile, se ne sono aggiunti dei nuovi: Trump merita il premio Nobel per aver aperto finalmente un tavolo di pace (che l’abbia fatto nei modi orrendi che sappiamo non conta nulla); l’Europa non concede ai suoi stati membri di fare debiti per la Sanità, ma concede di farli per le armi; il nostro governo investe soltanto tre miliardi per aiutare i cittadini bisognosi a pagare le bollette, ma è disposto a trovarne trenta per nuovi armamenti. Il tutto condito di nobili pensieri sul ruolo di un’Europa che non c’è, sulla forza della diplomazia, piuttosto che sulla forza delle armi, ma dando a vedere chiaramente di essere disposti ad accettare qualsiasi ingiustizia, persino la sottomissione al prepotente di turno, specialmente quando si tratta di farlo sulla pelle degli altri, pur di evitare una guerra che, lo si veda o meno, chi la combatte lo fa anche per noi.



Sia chiaro, non intendo sottovalutare il fatto che la pace sia il bene politico più importante. A coloro che, spesso in nome del realismo politico, rivendicano una sorta di originarietà della guerra rispetto alla pace, quasi che la storia umana sia guerrafondaia per intrinseca necessità, faccio realisticamente notare che, per quanto sempre precaria, è la pace a essere originaria, non la guerra. Quest’ultima è da intendersi più come uno strumento “eccezionale” della politica, secondo la celebre definizione di von Clausewitz, che come la condizione naturale, “normale”, della società. Per questo è la guerra ad avere bisogno ogni volta di giustificazioni, non la pace. Chiarito questo, però, dobbiamo anche riconoscere che c’è una bella differenza tra chi gode del bene della pace e chi invece dovrebbe semplicemente subirlo. Gli ucraini, ad esempio, dimostrano chiaramente di preferire la guerra a una pace sotto il dominio della Russia. Stanno forse commettendo un’ignominia? Non credo. L’ha invece commessa Putin quando ha deciso di invadere il loro paese.

Quanto all’Europa, forte dell’appoggio americano, essa ha cercato dapprima in tutti i modi possibili di dissuadere Putin dal suo disegno imperialistico; ha mandato aiuti all’Ucraina, cercando, senza successo, di tenere aperti i canali diplomatici con Mosca. Quando poi è venuto meno l’appoggio americano, è storia di questi giorni, ha preso atto della sua impotenza militare, cercando di correre ai ripari con investimenti straordinari per la Difesa, senza piegarsi alla prepotenza di Putin, senza rinunciare alla speranza di riannodare i fili che tengono insieme l’alleanza atlantica (per me un punto cruciale, nonostante Trump) e senza rinunciare a rivendicare una pace giusta per gli ucraini. Che altro avrebbe dovuto fare l’Europa? Parlo dell’Europa che abbiamo, non di quella che vorremmo che fosse. Un’Europa che comunque, per quanto incasinata, inadeguata, divisa tra i suoi paesi membri, mi sembra decisamente migliore di quella di coloro che la vorrebbero “senza armi”, forte soltanto di un’unità non si sa come miracolosamente acquisita e dei suoi grandi valori fondativi. Questi ultimi stanno molto a cuore anche a me, ma non credo che il modo migliore di difenderli, specialmente oggi, sia quello di esibirli sulle piazze in una situazione di totale vulnerabilità.

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