Le 4.000 triple di Steph Curry sono un inno alla perseveranza

Questa notte il miglior tiratore di sempre ha centrato l’ennesimo record della sua carriera, totalizzando un numero di canestri da tre irraggiungibile per chiunque altro. Il suo allenatore lo definisce “artista”, e in un certo senso ha ragione

A tagliare il traguardo è quasi una palla persa. Poi Stephen Curry la ritrova: finta, palleggio, rilascio. Retina che si muove appena. Tutto il Chase Center balza in piedi. Era scritto: 14 marzo 2025, la notte del suo 37esimo compleanno, in cui il capitano dei Golden State Warriors sale a quota 4000 triple realizzate in carriera. Un numero immaginifico, lontano anni luce da tutti gli altri. Di colpo la partita contro i Kings – che i padroni di casa si aggiudicheranno in scioltezza – passa in secondo piano. Steven Kerr chiama time-out. Appena il campione si siede in panchina, asciugamano alzato al cielo per rispondere alla standing ovation, scatta un video-tributo da pelle d’oca. “Ciao Steph, come stai? Sono Andris Biedrins e nel caso te ne fossi dimenticato ero stato io a servirti l’assist per il tuo primo canestro da tre, nel 2009 a Phoenix. Non preoccuparti, mi ringrazierai poi”. Segue il messaggio di ciascun compagno di squadra. Infine quello dell’allenatore con cui ha vinto tutto: “È uno dei più grandi artisti della storia dell’uomo”.

A primo acchito le parole di coach Kerr potrebbero sembrare esageratamente pompose, intrise di retorica. Per la stragrande maggioranza dei cestisti di questo mondo lo sarebbero. Ma riferite a Curry assumono un significato diverso, proporzionato alla perfezione tecnica del più grande tiratore di sempre. E mica per talento innato: si racconta che da ragazzino le conclusioni di Steph fossero corte, facilmente stoppabili. Soltanto a 17 anni iniziò a lavorare su una nuova dinamica di tiro, facendone il suo marchio di fabbrica: altissima, improvvisa, un incubo per qualunque difensore. Per arrivare fin qui però ci è voluta un’applicazione maniacale, lavorando senza tregua per anni – come un visionario pittore o scultore, appunto, nell’atto di affinare inedite forme espressive. Da lì in poi il percorso della guardia di Akron è stato inesorabile. Una curva esponenziale: ha raggiunto la centesima tripla alla sua prima stagione Nba, la millesima a gennaio 2015, raddoppiando a dicembre 2017 per poi sfondare il tetto delle 3000 quattro anni dopo. Che già all’epoca fu un record assoluto.

Foto Ap, via LaPresse

Oggi il quadro statistico dell’Nba è disarmante, in fatto di canestri da oltre l’arco. Tutti i migliori della storia – in attività e non, da Harden numero due a LeBron numero sette – viaggiano in gruppo tra le 3.124 e le 2.542 triple. Un cuscinetto di circa 600. Curry invece, fra sé e tutti gli altri, ha già scavato una distanza di quasi una volta e mezzo. C’è lui e più nessuno. E non è questione di un semplice fondamentale, che per quanto decisivo da solo non basta a cambiare l’approccio alla pallacanestro. La guardia dei Warriors ci è riuscita arretrando sistematicamente la zona di tiro, costringendo le difese ad alzarsi e creando così nuovi spazi offensivi. The Curry shot ha fatto scuola. Mentre l’uomo ha fatto tendenza, fino a diventare uno dei fuoriclasse del parquet più popolari di sempre. Oggi lo celebra perfino Google: cercando il suo nome sul web, si apre l’animazione dei grandi eventi – coriandoli, 3 e palle da basket. Ricerca correlata: qual è la più iconica delle 4000 triple di Steph? Magari il siderale buzzer beater su Oklahoma, le 13 contro i Pelicans (entrambi 2016) o il career high da 62 punti a danno dei Blazers (2021). Fino alla sinfonia parigina, quando il numero 4 di Team Usa ha deciso di vincere l’oro olimpico in solitaria. Lui, in ogni caso, farebbe fatica a dirne una: “Quando tiro, non penso assolutamente a niente”. È tutto nei polpastrelli.

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