La sua nomina alla guida del Cdc è stata il segnale di quanto l’establishment repubblicano fosse disposto a giocare con il fuoco pur di soddisfare la propria base più radicale. Quando hanno capito che era troppo pericoloso, hanno fatto un passo indietro. Ovviamente senza nessuna ammissione di colpa
La nomina di Dave Weldon alla guida del Cdc è stata un abbaglio persino per gli standard ormai slabbrati della politica americana, un azzardo talmente fuori scala che persino la Casa Bianca ha dovuto fare retromarcia prima del disastro. Il nome di Weldon, ex deputato repubblicano e medico, è una vecchia conoscenza per chi segue le battaglie del movimento antivaccinista: per anni ha cavalcato, amplificato e dato copertura politica alle peggiori teorie sui vaccini, sempre con quell’aria da uomo di scienza che in realtà nascondeva un’agenda ideologica ben precisa. Se l’idea era mettere alla guida dell’agenzia responsabile della salute pubblica un uomo che per decenni ha seminato sfiducia nella vaccinazione, la mossa era quantomeno coerente con una tendenza recente. Ma è andata male: troppe ombre, troppa storia, troppo evidente la contraddizione.
La carriera politica di Weldon è un florilegio di battaglie retrive su tutto ciò che riguardava la medicina, dalla ricerca sulle cellule staminali alla lotta contro la vaccinazione obbligatoria. Eletto nel 1994 sotto l’ala del movimento ultraconservatore, ha passato i suoi anni al Congresso a mettere in discussione il consenso scientifico con una costanza che rasentava l’ossessione. Quando esplose la falsa correlazione tra vaccini e autismo, alimentata dalle frodi di Andrew Wakefield, Weldon fu tra i primi a saltare sul carro della paura, chiedendo audizioni parlamentari, mettendo in dubbio i dati epidemiologici e spingendo per leggi che avrebbero tolto al Cdc la supervisione sulla sicurezza vaccinale. La sua tesi? L’agenzia federale era troppo compromessa, troppo vicina alle aziende farmaceutiche, troppo poco incline a prendere sul serio i timori – ovviamente infondati – dei genitori. Non importa che ogni studio serio abbia smentito la teoria del legame tra vaccini e autismo: per Weldon, il solo fatto che il sistema sanitario difendesse i vaccini era già un segnale di un complotto in corso.
Dopo aver lasciato il Congresso nel 2009, il suo ruolo nel mondo della disinformazione sanitaria non si è affievolito. Ha continuato a frequentare conferenze e gruppi di pressione antivaccinisti, mantenendo un profilo attivo nel diffondere il messaggio che la medicina ufficiale fosse, nella migliore delle ipotesi, cieca e, nella peggiore, corrotta. Con l’arrivo della pandemia di Covid-19, la sua retorica si è aggiornata ai tempi: scetticismo sui vaccini a mRNA, allusioni al fatto che il Cdc stesse esagerando la gravità del virus, difesa della libertà individuale sopra ogni altra considerazione, anche quando il rischio era il collasso del sistema sanitario. Lo stesso schema di sempre, ma adattato alle nuove paranoie dell’era pandemica.
La sua nomina alla guida del Cdc è stata il segnale di quanto l’establishment repubblicano fosse disposto a giocare con il fuoco pur di soddisfare la propria base più radicale. Ma qualcosa non ha funzionato. Forse il backlash è stato troppo rapido e troppo feroce, forse anche tra i più spregiudicati strateghi dell’amministrazione è scattato il timore di affidare la massima istituzione sanitaria federale a un uomo che per vent’anni ha fatto guerra alla scienza. Fatto sta che il dietrofront è arrivato senza troppe spiegazioni. Nessuna ammissione di colpa, ovviamente, nessuna dichiarazione di errore: semplicemente, il nome è scomparso dalla lista, come se fosse stato un brutto sogno. Un raro momento di lucidità in un panorama che ormai sembra accettare qualsiasi deriva, ma non abbastanza da far dimenticare che qualcuno, da qualche parte, ha davvero pensato che sarebbe stata una buona idea.