Il risveglio dell’Europa

Dinanzi ai regimi autoritari, l’Unione europea può riallacciarsi alla propria storia e diventare un polo di attrazione e un bastione di libertà

“L’elezione di Donald Trump e le prime decisioni della sua Amministrazione hanno gettato l’Europa in uno stato di turbamento e angoscia” scrive sul Figaro l’editorialista e saggista Nicolas Baverez. “Con il sostegno di un’ampia maggioranza di americani che ora vedono l’Europa come un fardello, Donald Trump sta applicando la rivoluzione Maga all’Europa e al resto del mondo. Il 26 febbraio, all’indomani della visita di Emmanuel Macron, che non ha ottenuto alcun risultato, ha deciso di aumentare i dazi doganali sui prodotti europei del 25 per cento per ridurre il deficit commerciale di 157 miliardi di dollari con l’Ue, proseguendo al contempo la massiccia deregolamentazione dei settori energetico, finanziario e tecnologico. Non pago di aver abbandonato ogni sostegno all’Ucraina e di aver costretto Kiev a ripagare gli aiuti ricevuti accaparrandosi le sue terre rare, si sta allineando alla narrativa e alla disinformazione di Mosca, in particolare all’interno del Consiglio di sicurezza dell’Onu, con una risoluzione che chiede una “pace rapida in Ucraina”, in altre parole un semplice cessate-il-fuoco senza alcuna garanzia di sicurezza per Kiev. E questo in un momento in cui Mosca sta affrontando crescenti difficoltà militari ed economiche.

Lungi dall’opporsi alla Cina, alla Russia o all’Iran, Trump li rende suoi partner, mentre designa l’Ue come un avversario, se non un nemico, rivendicando l’annessione della Groenlandia e dichiarando che “l’Ue è stata creata per fregare gli Stati Uniti”, umiliando Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca e facendosi portavoce di Vladimir Putin. Donald Trump sta quindi per realizzare ciò che Vladimir Putin, con l’invasione dell’Ucraina, non è riuscito a fare: svegliare gli europei e liberarli dal sogno di un’uscita dalla storia in cui si sono rinchiusi dopo la caduta dell’Urss. Trasformando l’America in una democrazia illiberale, spaccando l’occidente, aprendo la strada a una guerra generalizzata in Europa con il pretesto della pace in Ucraina, Trump ha messo gli europei con le spalle al muro.

Ora che l’integrazione in un’unica entità nordatlantica, a cui la maggior parte degli europei era favorevole, è stata abbandonata, l’unica alternativa è sottomettersi all’imperialismo russo o diventare un attore sovrano in grado di garantire la propria sicurezza. Gli europei si trovano così costretti a fare le scelte urgenti che hanno rifiutato o eluso dal 1945, tra libertà o servitù, crescita o declino, riarmo o guerra, potenza o declino. Il paradosso è che l’Europa, a causa delle sue debolezze interne, si sente e si comporta come se fosse alla mercé di imperi autoritari. Eppure l’Europa dispone di enormi risorse che le conferiscono un vantaggio decisivo rispetto a Russia, Iran e Turchia: un pil dieci volte superiore a quello di Mosca, talenti, cervelli e risparmi, imprese e reti commerciali globali, capacità di innovazione e un mercato unico governato dallo stato di diritto e unito attorno all’euro. Il risveglio dell’Europa non dipende dai suoi mezzi, ma dalla sua volontà e dalla sua capacità di passare dalle parole ai fatti. Va detto che l’elettrochoc provocato da Donald Trump ha costretto sia l’Unione che gli stati europei a prendere iniziative senza precedenti nei due settori chiave della competitività e della sicurezza. La Commissione europea ha avviato un programma di semplificazione attraverso cinque leggi omnibus. La prima, nota come Clean Industrial Deal, è stata presentata il 26 febbraio. Mira a conciliare competitività e transizione climatica abbassando i prezzi dell’energia, facilitando l’accesso alle materie prime critiche, istituendo un fondo di decarbonizzazione da 100 miliardi di euro, limitando il campo di applicazione delle direttive Csrd e Cs3d, introducendo la preferenza europea negli appalti pubblici e privati e prevedendo piani di sostegno per i settori automobilistico, siderurgico e chimico in difficoltà. La reazione degli stati europei è stata ancora più vigorosa nel settore della difesa. In Germania, la sera della sua vittoria, Friedrich Merz ha dichiarato che “l’Europa deve raggiungere l’indipendenza dagli Stati Uniti” e ha chiesto la creazione di un fondo da 200 miliardi di euro per modernizzare la Bundeswehr da inserire nel programma della sua futura coalizione. Nel Regno Unito, Keir Starmer ha annunciato lo scorso 25 febbraio che il bilancio della difesa sarà aumentato dal 2,3 per cento del pil al 2,5 nel 2027 e al 3 nel 2029.

In Francia, Emmanuel Macron ha riconosciuto la necessità di accelerare l’aumento del bilancio delle forze armate oltre i 3 miliardi di euro l’anno da qui al 2030 previsti dalla legge di programmazione militare. In Danimarca, la spesa per la difesa è passata dall’1,3 per cento del pil nel 2022 al 3,2 nel 2025, così come in Svezia (2,6 del pil) e Finlandia (2,4 del pil). Allo stesso tempo, gli stati europei hanno confermato il loro sostegno all’Ucraina ed espresso la loro solidarietà a Volodymyr Zelensky dopo il sorprendente attacco di Donald Trump e JD Vance. Hanno iniziato a pianificare la sostituzione degli aiuti militari statunitensi e stanno studiando le garanzie di sicurezza che potrebbero fornire a Kiev nell’ambito di un accordo di pace, accelerando al contempo il loro riarmo per scoraggiare future aggressioni da parte della Russia. La ripresa è quindi innegabile, ma deve ancora essere confermata. Da parte dell’Ue, le misure previste per ripristinare la competitività rimangono altamente inadeguate e lontane dalle raccomandazioni di Mario Draghi. Le direttive Csrd e Cs3d sono state modificate solo marginalmente, a favore delle Pmi tedesche e italiane e a scapito dei grandi gruppi francesi. La devastante tassonomia per le aziende della difesa non è stata messa in discussione. Nel settore energetico, non è ancora riconosciuto il principio della neutralità tecnologica, che penalizza assurdamente il nucleare. Nel complesso, il costo della burocrazia, stimato a 150 miliardi di euro l’anno, è stato ridotto solo marginalmente. Soprattutto, a causa delle sue divisioni, legate ai postumi della Brexit e all’ascesa di tentazioni autoritarie e partiti filorussi, l’Europa rimane impotente in tre ambiti decisivi per le sue nazioni e i suoi cittadini: il controllo delle frontiere esterne; il controllo dell’immigrazione; la conciliazione dell’efficacia e della reattività del processo decisionale pubblico con le regole dello stato di diritto. Dinanzi ai regimi autoritari, l’Europa può riallacciarsi alla propria storia e diventare un polo di attrazione per i talenti e le attività ad alto valore aggiunto, affermandosi come bastione della libertà politica ed economica. Ciò significa intraprendere una battaglia politica e morale per la sopravvivenza della democrazia liberale, che implica la chiara scelta di sostenere la natalità contro lo spopolamento, lo sviluppo contro la decrescita, il lavoro contro l’assistenza, il rischio contro la precauzione, il riarmo contro la capitolazione”.

(traduzione di Mauro Zanon)

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