Il Pnrr meglio delle politiche di coesione. L’esempio del Mezzogiorno

A pesare nel miglior funzionamento dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza non sono la scadenza temporale e l’erogazione dei finanziamenti in base al raggiungimento degli obiettivi. Ma anche la centralizzazione della governance

Che il Mezzogiorno abbia conosciuto ritmi di crescita inusuali nel triennio 2021-2023 (e, forse, anche nel 2024) è cosa ormai nota e ampiamente sottolineata. Che ciò sia avvenuto anche in ragione del programma di investimenti pubblici consentito dal Piano nazionale di ripresa e resilienza è cosa francamente piuttosto probabile. Dei 59 miliardi circa di investimenti pubblici effettivamente spesi al dicembre 2024 a valere sulle sette missioni considerate nel Piano, circa il 30 per cento sono stati destinati al Mezzogiorno. Al netto delle risorse utilizzate per il supporto degli investimenti privati e per la spesa corrente, la spesa pubblica in conto capitale in senso stretto potrebbe essersi aggirata nel Mezzogiorno, nel quadriennio 2021-2024, intorno ai 20 miliardi di euro. Sono fatti che rendono inevitabile una domanda: visto che di investimenti pubblici il Mezzogiorno ne ha conosciuti certamente non pochi nell’ultimo trentennio, cosa ha fatto sì che gli investimenti pubblici legati al Pnrr fossero decisamente più efficaci nel sostenere i livelli di attività di quanto accaduto in precedenza? In altre parole, cosa fa sì che nel Mezzogiorno la spesa pubblica in conto capitale targata Pnrr sia oggi decisamente più incisiva di quanto non accaduto in passato nel caso dei fondi di coesione?

Non c’è dubbio che – al di là dello stretto collegamento con alcuni processi riformatori – nel caso del Pnrr il monitoraggio e la rendicontazione dell’intero processo di spesa siano decisamente più puntuali e associati a una credibile minaccia di perdita dei fondi. Diversamente dai fondi di coesione – il cui utilizzo è legato ai costi effettivamente sostenuti – nel Pnrr il finanziamento degli investimenti avviene in funzione del conseguimento di traguardi e obbiettivi. Inoltre, nel caso delle politiche di coesione, il periodo di ammissibilità, oltre a essere più lungo, si estende oltre il termine del periodo di programmazione, laddove, nel caso del Pnrr nessun versamento è possibile dopo la fine del 2026.

Ma forse l’elemento di maggiore importanza è un altro. Nel caso del Pnrr, la governance è centralizzata. In buona sostanza, il Pnrr ha disintermediato le regioni, affidandosi a grandi realtà produttive a controllo statale o rivolgendosi direttamente agli enti locali. Il che ha consentito, in qualche misura, di far emergere la natura schiettamente sovraregionale dei problemi meridionali. Ma c’è di più. Se nelle politiche di coesione, regioni ed enti locali, organizzazioni della società civile, parti economiche e sociali possono tutte contribuire a elaborare accordi di partenariato e a preparare, attuare e valutare ciascun programma (secondo le indicazioni europee), nel Pnrr, invece, le autorità nazionali sono tenute unicamente a consultare regioni ed enti locali, parti sociali, etc., secondo le norme nazionali. Con ciò evitando, per quanto possibile, che nelle decisioni pubbliche che, in teoria, dovrebbero prescinderne, prevalgano gli interessi particolari. In breve, con il Pnrr si è, parzialmente, posto rimedio ai due principali punti di debolezza delle politiche di coesione. Favorendo, forse, se non il superamento quantomeno il contenimento di divari territoriali che hanno per finito per consolidarsi e approfondirsi nel momento in cui si è scelto di considerarli divari regionali.

Nell’ambito della discussione sulla difesa europea, l’Italia ha chiesto e ottenuto che i fondi di coesione possano essere destinati ad altri usi solo su base volontaria, con ciò segnalando la propria volontà di continuare a utilizzarli per i loro fini originari. Sarebbe opportuno che l’Italia assecondi quelle che sembrano essere le prime indicazioni provenienti dalla Commissione – derivanti, presumibilmente, dalla ampia esperienza in materia del commissario europeo competente – e si batta, con la stessa decisione e tempestività, per una rapida applicazione delle regole adottate per i fondi del Next Generation EU anche ai fondi di coesione.

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