Chi è Oghenemaro Miles Itoje, il leader della Nazionale inglese che giocherà nel Sei Nazioni contro l’Italia. Dalle origini nigeriane all’impegno accademico e sociale, è un simbolo di dedizione, umiltà e determinazione. Lo spirito di sacrificio e la passione per il rugby
Oghenemaro Miles Itoje, Maro per tutti, SuperMaro nel rugby. Un colosso nero di 1,95 per 118 capitano e simbolo dei tuttibianchi, leader dell’Inghilterra. E domani alle 16 l’Italia affronta l’Inghilterra di SuperMaro a Twickenham, il Buckingham Palace della famiglia reale del gioco ovale, nel quarto match del Sei Nazioni. Genitori nigeriani di Lagos. Il padre Efe insegnante di sostegno, la madre Florence agente immobiliare. Un fratello maggiore, Jeremy, e una sorella minore, Isabel. A Londra dal 1992. Lui, Maro, nato nel 1994 a Camden e cresciuto a Edgware, metropolitana Circle Line. Adolescente allampanato, sportivo incuriosito dal calcio e dal basket, promettente in atletica sui 200 metri. A 11 anni il rugby. Una folgorazione. Accadde a scuola, la St George’s di Harpenden, pubblica, la stessa frequentata da Owen Farrell, George Ford e Jack Singleton, che avrebbe ritrovato nel club o in Nazionale. Rispetto agli altri, Maro mostrava coordinazione e armonia, ma mancava di fondamentali. E prima di cominciare e dopo aver finito le lezioni, si rivolgeva agli allenatori pregandoli di insegnargli l’abc del rugby, come si passa, come si placca, come si salta, come si sostiene, come si spinge, come ci si lega, come si entra. Il suo impegno, ricordano oggi gli istruttori, era straordinario. La sua determinazione, sbandierano oggi gli allenatori, fece la differenza.
Uomo di mischia, seconda linea, in inglese si dice lock, serratura, perché – sono in due – s’incastrano fra piloni e tallonatore e chiudono, serrano, stabilizzano il pacchetto. Professionista a 18 anni con i Saracens, antica e gloriosa squadra londinese: “Il giorno in cui mi chiamarono per consegnarmi lo stipendio, a stento mi trattenni dal rifiutarlo e spiegargli che io giocavo gratis, solo per la passione”. Capitano dell’Under 20, nell’Inghilterra a 21 anni, con i British and Irish Lions a 22: “Non ci potevo credere, dovetti fermarmi e ragionarci, considerarlo non un punto di arrivo, ma di partenza”. Intanto una laurea in Scienze politiche alla School of Oriental and African Studies, una seconda in Business alla Warwick, la dimostrazione che – volendo – si può. SuperMaro: principi solidi. “Ricordarsi sempre da dove si viene. Le origini, la cultura. Penso sempre a quando ho cominciato a giocare e per quel ragazzino voglio essere un esempio”, “La cultura nigeriana mi ha formato, è la lente attraverso la quale guardo il mondo. È vero che sono cresciuto nella parte nord-ovest di Londra, ma la mia casa è ancora quella di Lagos, perché è quella da dove viene la mia famiglia. Siamo stati educati come bambini nigeriani, ma a Londra”, “Le lezioni più importanti: rispettare i più anziani, leggere i libri”, “I nigeriani sono un popolo orgoglioso, nessuno vuole essere associato a un perdente che non si comporta bene o che semplicemente non fa le cose che dovrebbe fare”. SuperMaro: il rugby come stile di vita. “I miei genitori non sapevano nulla di rugby. All’inizio temevano che fosse una minaccia per gli studi, che mi distraesse, che li abbandonassi. Poi lo hanno conosciuto e apprezzato. E spesso vengono ancora a vedermi, anche in giro per il mondo, dal Sudafrica al Giappone e alla Nuova Zelanda. Oppure vanno a vedere le partite della seconda squadra dei Saracens, anche senza di me, solo per amore del gioco, per lo spirito del rugby”. SuperMaro: mai una lite, mai una rissa, mai una polemica. Dopo la partita di questo Sei Nazioni contro l’Irlanda, che l’Inghilterra ha perso rimontata a Dublino 27-22, richiesto di un giudizio sull’andamento della gara, ha detto che “nel primo tempo abbiamo fatto esattamente quello che ci eravamo prefissi di fare, invece nel secondo eravamo probabilmente dalla parte sbagliata dell’arbitro”.
Più volte miglior giocatore inglese, miglior giocatore del Sei Nazioni, miglior giocatore dell’anno. Non solo un bravo rugbista, ma anche un bravo uomo di rugby: si batte perché le partite di rugby, soprattutto quelle della nazionale inglese, in tv non siano a pagamento ma visibili a tutti, liberamente. E anche una brava persona: partecipa alla Pearl Fund, raccogliere soldi per sostenere gli studi dei ragazzi nigeriani. E nessuna strana idea per la testa: “Sono quello di sempre. Abito sempre in quella parte di Londra, gioco sempre per i Saracens, frequento sempre gli stessi amici, sto sempre fra la mia gente. Non permetto che la vita degli altri s’impossessi della mia e me la modifichi. Se ho bisogno di confronti e conferme, ci sono sempre i miei compagni di squadra”.