Il mostruoso sabba di Cormac McCarthy

Superati i quarant’anni dalla sua uscita, “Meridiano di sangue” è ancora un libro ostinatamente fuori dal tempo, dove la violenza è ciò che costituisce il tessuto stesso della narrazione, della vita e dell’intero universo

A quarant’anni dalla sua uscita, era il 1985, “Meridiano di sangue” di Cormac McCarthy appare come un libro interamente e ostinatamente fuori dal tempo. E questo non perché tale è il destino dei classici, sempre attuali quindi mai attuali, ma perché la sua descrizione della violenza risulta oggi più che mai intollerabile; e quindi degna di tutta la nostra attenzione. “Dio è guerra” dice il torreggiante e faustiano giudice Holden, tremendo e luciferino centro di gravità del libro ambientato al confine tra Messico e Stati Uniti a metà Ottocento: uno snervante susseguirsi di massacri perpetrati dalla banda Glanton, cacciatori di scalpi indiani e messicani.

In questa storia nessuna morte è mai riscattata. Non vi è alcuna palingenesi, alcuna redenzione. Qui la violenza è ciò che costituisce il tessuto stesso della narrazione, della vita e dell’intero universo. Lo sguardo di McCarthy è cosmico, la natura è indifferente e gli spazi sconfinati, gelidi o incendiati, desertici o invasi dal fango non si curano del sangue che copioso li invade per poi seccarsi ed essere infine portato via dal vento, come ceneri di un funerale di cui nessuno conserverà memoria.

“Meridiano di sangue” è un mostruoso sabba che McCarthy cerca di controllare con parole esatte come quelle di un entomologo ed evocative come quelle del “miglior fabbro”. Una danza macabra in cui questi cacciatori di scalpi percorrono spazi interminabili uccidendo come folli, stuprando, ubriachi fradici, inzuppati di sangue, coperti dei pezzi di cadaveri degli uomini, delle donne, dei bambini trucidati nei modi più indicibili. Il giudice Holden accompagna questa banda di terrificanti anime perse come uno spirito guida, come l’essere che tutto sa e che attraversa i decenni rimanendo sempre uguale a se stesso. Tutti lo seguono “come adepti di una nuova fede”. E il giudice danza, alla fine del libro, quando tutta la banda è ormai perduta, tutti morti, danza come un Dioniso e dice che non morirà mai.

Non vi è nulla al di fuori di questa danza macabra. La vita è questo scatenarsi, è questa violenza. Arde come un gelido fuoco la certezza con cui McCarthy descrive la violenza, non come ineluttabilità naturale ma come necessità metafisica. Esserci è essere violenti: dio è guerra e la realtà è un incubo senza fuga in cui ogni cosa cerca il proprio destino che non può essere altro che catastrofe. “E le loro ombre si contorcevano sul terreno accidentato come creature alla ricerca della propria forma”.

Il giudice è esperto di botanica e di chimica, di lingue morte e di geologia dove legge notizie sulle origini della terra. Cataloga ogni cosa nel suo libro, perché vuole sapere tutto, non deve esserci nulla al di fuori della sua comprensione, perché altrimenti sarebbe libera, e lui non può tollerare la libertà. Conoscendo tutto, il giudice vuole controllare tutto. “Qualunque cosa esista nella creazione senza che io la conosca esiste senza il mio consenso”. Sapendo tutto, il giudice non vede alcuna ragione per non esercitare la violenza più indiscriminata. Non c’è relazione tra cultura e moralità, tra sapere e civilizzazione. Anzi, è il contrario. Sapendo tutto rimane solo il niente. Perché tutto è niente, e non vi è nulla al di fuori della folle danza.

“La guerra c’è sempre stata. Prima che nascesse l’uomo, la guerra lo aspettava”. Nulla vi è per il giudice al di fuori del conflitto, che è il gioco supremo a cui tutti vogliono giocare perché vi è in ballo la posta più alta e insieme la massima chiarezza. Lo scontro ludico e la possibilità di perdere tutto. Non vi è legge morale in tutto ciò, in questo luogo originario di cui la guerra è l’immagine. La legge morale è puro artificio e pretesa di ordine che cerca di ribaltare l’Ordine che si ritrova unicamente nella guerra. E’ quello il momento in cui si dimora nella verità. “A mano a mano che la guerra verrà disonorata e la sua nobiltà messa in discussione, quegli uomini d’onore che riconoscono la santità del sangue verranno esclusi dalla danza, che è un diritto del guerriero, e di conseguenza la danza diventerà una falsa danza e i danzatori falsi danzatori”.

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