Chi è Lorne Michaels, il demiurgo del “Saturday Night Live”

Festeggia cinquant’anni lo show che ha saputo passare dal tubo catodico alle clip da guardare sull’iPhone in metro. Merito di una a direzione “tirannica” capace di lanciare i migliori comici americani e offrire una buona interpretazione della società

Quando si spulciano su Wikipedia le biografie di star comiche americane, non è raro incappare in: “Ha iniziato la sua carriera al ‘Saturday Night Live’”. Snl è una sorta di Harvard della comicità, un mega trampolino per una visibilità internazionale da prima serata per persone che, poco prima, calcavano i palchi instabili di Chicago o Toronto con pezzi di stand up di dieci minuti vivendo con i coinquilini. Bill Murray, John Belushi, Will Ferrell, Julia Louis-Dreyfus, Chris Rock, Eddie Murphy, Adam Sandler, Billy Crystal… Ma anche scrittori e poi futuri registi come Tina Fey e Adam McKay. Tutti devono la loro successiva carriera stellare, in tv o a Hollywood, al programma girato negli studi 8H al numero 30 di Rockefeller Plaza, proprio al centro di Manhattan, sopra quella pista da pattinaggio abusata come sfondo per le rom-com e per film come “Elf” o “Mamma ho perso l’aereo 2” (dove c’è anche un cameo di Trump). E questa grande macchina che ha elevato lo sketch, prima di YouTube e dei reel, a forma mainstream d’intrattenimento straniante (dal vivo ma su schermo, un misto fra teatro e tv), si deve alla gestione tirannica – secondo alcuni – di Lorne Michaels.

Il modello: un ospite speciale in ogni puntata, possibilmente famoso o famosissimo, e un ospite musicale, più una crew di comici e caratteristi fissi a ogni stagione, o per più stagioni, per un’ora di show (senza contare la pubblicità). Il programma ha appena festeggiato i cinquant’anni con una serata live speciale di tre ore con celebrità come Paul McCartney, Robert De Niro, Paul Simon, Tom Hanks, Steve Martin, Keith Richards, Meryl Streep, Jon Hamm, Scarlett Johansson e decine di ex membri del cast che ha fatto parte del programma in quest’ultimo quarto di secolo. Ma oltre che un modo per festeggiare questo pezzo di storia americana – uno show capace di passare dal tubo catodico alle clip da guardare sull’iPhone in metro – è sembrato soprattutto una grande cerimonia per ringraziare ed onorare il suo re: Lorne Michaels.

Quando tutto è iniziato Michaels era un trentenne canadese ebreo che aveva lavorato per qualche anno in altri programmi di sketch comici o di varietà. Quando al network della Nbc si ritrovarono con un buco il sabato sera, causato dal fatto che Johnny Carson voleva riposarsi i weekend, i dirigenti iniziarono a pensare a come riempirlo. Michaels venne assunto e pensò a quello che inizialmente si chiamava semplicemente “Saturday Night” (“Saturday Night Live” era già preso da un programma che avrebbe chiuso dopo 18 episodi), dove pezzi vaudeville si mescolavano a commentari satirici sul contemporaneo, con giovanissimi comici strafatti di cocaina e abituati a farsi scherzi nella redazione della radio di “National Lampoon”. Una cosa per giovani, inizialmente indirizzata alla fascia 18-34 anni, per riempire un orario in cui la tv non interessava a nessuno. E quindi carta bianca.

Per Michaels fin dal principio l’importante era quel misto di buona qualità della commedia – e quindi investire su una buona writers’ room – e di spontaneità degli ospiti. Volti noti, o comunque già in parte storicizzati, accompagnati dai pischelli raccolti nelle taverne di Hell’s Kitchen che si prestano a fare personaggi ridicoli o a interpretare senatori, sindaci e presidenti. Da allora, se non per un breve periodo negli anni 80 in cui è uscito dal programma, Michaels ha sempre deciso chi entrava nel cast, leggeva le proposte per gli sketch, bocciava e modificava, sempre col fiato sul collo e sempre con la matita rossa in mano. Inizialmente, ad esempio, non voleva John Belushi, perché non reputava all’altezza di Snl la sua comicità fisica, ma dopo avergli fatto un provino decise di prenderlo e di tenerselo nello show per quattro anni. Lui e Dan Aykroyd diventarono amici e si inventarono la band The Blues Brothers, inizialmente per tenere compagnia al pubblico in sala prima di andare in onda per poi diventare sketch e infine uscire dal nido del Rockfeller Center e diventare film. Michaels fin dall’inizio è stato quel perfetto incrocio tra intrattenitore e impresario, tra businessman e censore, tra talent scout e padre. Spietato, dicono tutti. Nei bar di Manhattan che frequenta lo chiamano tutti Lorne, come fosse Cher o Beyoncé, senza bisogno del cognome.

Arrivato a New York a 23 anni, figlio di un pellicciaio di Toronto, ha conquistato la Grande Mela, anche se dopo gli inizi in tv per anni ha vissuto a Los Angeles, al leggendario Chateau Marmont – quando era al verde viveva in una stanza da 220 dollari al mese, quando si sentiva ricco in una da 580. Michaels non è mai diventato veramente amico con i sottoposti, dice, perché il suo lavoro è tagliare o modificare il loro prodotto artistico, e “che tipo di amico ti taglia uno sketch? Metterò sempre prima di tutto lo show”, ha detto. Secondo il capo di Netflix, Ted Sarandos, interpellato dal New York Times, “Lorne, senza fare iperboli, è onestamente la persona più importante e influente della storia della televisione, inclusi Johnny Carson ed Ed Sullivan”. Mocassini di Gucci, camicia Oxford e un blazer, e poi un frac sempre a portata di mano, che non si sa mai, ora Michaels passa il tempo tra la sua casa nelle chic aristocratiche Hamptons e il suo appartamento nell’Upper West Side, ma ha anche una fattoria nel Maine dove produce formaggio e coltiva mirtilli. Tre matrimoni, l’ultimo con un’ex assistente, e tre figli. E, dicono tutti, una grande stima di sé, che va di pari passo col maniacale controllo sullo show. Più che produttore un piccolo dittatore della comicità live. Nella serie di film “Austin Powers” Mike Myers, ex membro di Snl, ha creato il personaggio del cattivo distruttore di mondi Dr. Evil intorno ai modi di fare di Michaels. Tina Fey, nel suo programma “30 Rock” – che racconta la vita di un’autrice di un programma di sketch live girato nello stesso studio di Snl – ha dato al personaggio interpretato da Alec Baldwin alcune caratteristiche di Michaels (che è stato anche produttore di “30 Rock”). Omaggi, ovviamente, ma con la lingua biforcuta, di chi l’ha conosciuto bene.

Sarà per la Nbc, per la durata del progetto o per la natura di Michaels, ma Snl non è mai stato veramente all’avanguardia. Cerchiobottismo misto alla regola “non predichiamo troppo al coro”. Una buona interpretazione della società, con giusto qualche picco di buon livello (dato dalle performance o da alcuni sketch scritti bene) che resta nella storia e viene citato al lavoro (“hai visto quello sketch di Snl…?”). Ma dopo cinquant’anni un best of resta comunque a un livello più basso rispetto ad altri prodotti con minor impatto pop. Forse perché Michaels è sempre stato attento a mantenersi in equilibrio, e a cercare di attirare i volti più famosi per bilanciare i giovani del cast fisso, e negli ultimi anni soprattutto ad ammiccare al pubblico, come se più che le storie fossero importanti le immagini da memizzare. Nello specialone per il mezzo secolo, ad esempio, un attore serio come Adam Driver viene vestito da hot dog gigante, ma la cosa può apparire divertente solo per autoreferenzialità e quindi capace di invecchiare con estrema rapidità. Per contrasto oggi un qualsiasi sketch dei Monty Python preso a caso prescinde dal contesto televisivo-cinematografico.

Non è infatti un caso che alcuni dei prodotti migliori della televisione americana dell’ultimo mezzo secolo siano nati da figure scartate o cacciate dopo qualche anno di collaborazione con Snl. Pensiamo a Larry David che fu assunto come autore per una stagione e che vide prodotto solamente uno dei suoi sketch, a mezzanotte passata. Arrabbiato diede le dimissioni e finì poi per creare due delle migliori serie di sempre: “Seinfeld” e “Curb Your Enthusiasm” (David è poi tornato decenni dopo come ospite a Snl interpretando il senatore Bernie Sanders e anche come uomo dal pubblico che urla a Trump: “Sei un razzista”). Pensiamo a Norm MacDonald, incredibile comico che venne mandato via perché aveva preso di mira O. J. Simpson, amico di uno dei produttori, con battute che ancora oggi fanno ridere (si trovano su YouTube). Pensiamo a un caso più recente, come Tim Robinson che fu relegato da attore ad autore per un paio d’anni e che userà alcuni dei vari sketch proposti allo show e poi scartati per creare qualche tempo dopo “I think you should live” (la cosa migliore che Netflix abbia mai prodotto). Lo stesso Robinson, secondo fonti interne, avrebbe detto che a Lorne Michaels bisognava sparare in testa per aver invitato allo show Donald Trump.

Non solo Trump era stato la guest celebrity di una puntata nel 2004, quando c’era ancora il vago beneficio del dubbio sulla sua devianza politica, ma venne invitato di nuovo nel 2015, quando l’ex tycoon iniziava a usare la prima e la seconda serata per entrare nelle case dei futuri elettori – Michaels pensava di usare Trump come pagliaccio, ma Trump ha usato Snl per aumentare la sua audience. Agli attori allora venne detto sì di fare satira su di lui, ma senza esagerare. Michaels avrebbe detto di Trump: “E’ come un qualsiasi tassista newyorkese, dice tutto quello che pensa, è la sua caratteristica. Voi autori dovete fare in modo di renderlo simpatico”. Alcuni di loro ancora si mettono le mani nei capelli pensando allo sketch in cui Trump balla in un video che rimanda a quello di “Hotline Bling” di Drake.

Manifestazioni a New York, soprattutto visto che Trump era stato mandato via dalla Nbc, e da “The Apprentice”, dopo le sue frasi considerate razziste sui messicani. E poi qualche mese prima, scendendo dalla scala mobile dorata, aveva annunciato la sua candidatura alla presidenza. Un po’ come se a “Lol – Chi ride è fuori” avessero invitato Giorgia Meloni nel pieno della campagna elettorale. Gli ascolti dopo la puntata di Trump del 2015 furono altissimi, i più alti da oltre un decennio. E poi nel 2021 Michaels chiamò come ospite Elon Musk – non era ancora apertamente Maga – che secondo le voci fece piangere dei membri del cast per via del suo comportamento durante le prove. Fu difficilissimo averci a che fare dietro le quinte. Ma anche qui gli ascolti furono molto più alti del solito, e per Michaels questo andava bene. A novembre, forse per bilanciare o forse semplicemente per una questione di saggio posizionamento rispetto al proprio pubblico, tendenzialmente sofisticato e piuttosto progressista, Kamala Harris fece un cameo scherzando con l’attrice che la impersona, ma senza grande successo. Fino a qualche anno fa Snl portava sugli schermi americani una satira morbida, niente di estremamente irriverente o di rivoluzionario, tanto che Will Ferrell, quando impersonava George W. Bush negli anni della sua candidatura e poi della presidenza, aveva paura di renderlo troppo simpatico. Dice di avere ancora il rimorso di averlo mandato lui alla Casa Bianca. Dopo Trump, che negli anni è stato impersonato da diversi attori sul palco dello studio 8H, tra cui Alec Baldwin, è stato sempre più difficile fare qualcosa di più assurdo della realtà e questo ha trasformato gli sketch politici in un semplice commento a posteriori, dove i comici si divertono soprattutto a giocare con i tic fisici e caratteriali delle figure pubbliche (la retorica estrema di Harris, la demenza senile di Biden, l’ebraicità frugale di Sanders e, dopo la svolta Maga, Musk come uno psicopatico esaltato).

Come fa un multimilionario ad avere la presa su un programma satirico che dovrebbe sfidare lo status quo? hanno chiesto in un’intervista a Michaels. Lui ha risposto scherzando: “Noi cambiamo continuamente perché ogni generazione pensa che qualcosa sia divertente, e anche la musica cambia. E poi siamo ancora in onda. Il nostro pubblico ora è quasi tutto formato da ricchi”. Sempre una grande attenzione all’inclusività, e quindi neri, asiatici, equilibri di genere e anche comunità lgbtq e non binari dichiarati. Wokismo quanto basta, cioè niente battute che oggi farebbero scompiglio in un campus Ivy league. Forse l’apice dello scandalo ci fu quando nei beati anni 90 Sinéad O’Connor strappò una foto di Giovanni Paolo II. Lorne è cambiato con il tempo, anche lui come Snl, adattabile a quello che chiede il pubblico e la nuova morale, mettendo però ogni tanto qualche wild card per non rendere tutto troppo piatto, o comunque per creare quella leggera polemica che fa accendere il televisore. Se anche lui si godeva ogni tanto funghetti allucinogeni e cocaina, ora ha smesso. E, rispetto agli anni in cui i pusher andavano nello studio, dice che è fiero che nessuno sia mai crepato lì, anche se alcuni ex membri del cast sono poi morti di overdose, come Belushi o Chris Farley, o anche ammazzati dalla terza moglie come Phil Hartman. Lorne ha smesso poi con le sigarette e, un paio d’anni fa, anche con l’alcol. Si limita alla birra analcolica e a cestini di popcorn. Da quando non fuma più marijuana legge tantissimo, dice che è l’unico modo per rilassarsi.


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