Il presidente della filiera italiana dell’automotive critico rispetto all’iniziativa della Commissione europea: “Le multe al 2027? Il problema si risolve solo parzialmente: è il meccanismo che è sbagliato”. Il dialogo con i cinesi Byd e la minaccia commerciale americana
L’industria europea dell’auto attendeva il piano d’azione della Commissione europea con grandi aspettative, dopo i segnali di crisi dei mesi scorsi sia sul lato della produzione sia su quello delle vendite. Invece il documento presentato mercoledì a Bruxelles non cambia la strategia di fondo impostata con il Green deal e continua a prevedere uno scenario prevalentemente elettrico dopo il 2035. “Ursula von der Leyen aveva promesso di assumere come principio di base quello della neutralità tecnologica, ma per il momento sono solo dichiarazioni: nel documento non se ne fa menzione. Non è così che si affrontano i temi di un’industria che è stata praticamente minacciata di estinzione”, dice al Foglio Roberto Vavassori, presidente dell’associazione che in Italia rappresenta la filiera dell’automotive (Anfia). La bocciatura riguarda l’intera impostazione. “Un piano d’azione dovrebbe contenere date certe, misure concrete e finanziate, l’indicazione chiara di chi fa cosa ed entro quando. Sebbene quelle diciannove pagine contengano spunti, non c’è nulla di tutto ciò”. La concessione più importante della Commissione riguarda le multe per le case automobilistiche che non sono riuscite a vendere abbastanza auto elettriche per abbassare la media delle emissioni. Dovevano scattare quest’anno e secondo alcune stime avrebbero superato i 15 miliardi di euro, una mannaia per le imprese. Invece ci saranno tre anni di tempo per raggiungere l’obiettivo di 93,6 g/km di Co2. “Certamente così si allenta un po’ il cappio, ma il problema si risolve solo parzialmente, perché il meccanismo è sbagliato e le multe sono solo rimandate”, è il giudizio di Vavassori. Il punto è che non si vendono abbastanza auto elettriche. Per cercare di orientare il mercato la Commissione ha previsto incentivi e nuove infrastrutture di ricarica. “Ma paradossalmente – dice il presidente di Anfia – dovrebbero essere multati i consumatori, non le case che hanno messo sul mercato decine di nuovi modelli elettrici”. La cornice è quella di un settore strozzato tra le richieste di Bruxelles e una domanda in calo. Gli ultimi tagli sono stati annunciati ieri da Thyssenkrupp, che ridurrà di 1.800 posti di lavoro la sua divisione auto. La galoppata della Cina complica il quadro. “In soli cinque anni Pechino è passato da uno a cinque milioni di veicoli esportati, mentre sul mercato interno privilegia le produzioni locali. E’ chiaro che questo ha saturato alcuni canali di esportazione e ci ha tolto ossigeno, esponendo le fabbriche europee a ulteriori rischi: ormai la nostra sovracapacità è strutturale, intorno al 25-30 per cento. Da qui la richiesta di un piano di salvataggio: senza, l’industria europea è semplicemente condannata alla marginalizzazione”. Allearsi con il competitor può essere una strategia. “Il grande rammarico è non essere riusciti a portare in Italia un costruttore cinese, nonostante gli sforzi del governo”, commenta il presidente di Anfia, che per questo, poche settimane fa, ha organizzato un grande evento a Torino con Byd, la casa di Pechino pronta a produrre in Ungheria e Turchia. “Per le aziende della filiera è una possibilità, ma non nascondo che si tratti di una sfida molto impegnativa. Ci sono stati 170 incontri one to one tra le aziende e Byd: sarei contento se almeno il 5 per cento si trasformasse in forniture concrete. Continueremo a lavorare per incontrare altri costruttori, non solo cinesi”. D’altra parte, con la produzione di Stellantis ai minimi dagli anni 50 diversificare diventa necessario. “Ci aspettiamo un 2025 ancora difficile”, ammette Vavassori. “L’impegno che si è assunto Stellantis al tavolo con il ministero è sostituire i modelli attualmente in produzione, ormai a fine vita, con nuovi modelli. E’ quello che sta succedendo in quasi tutti gli stabilimenti, per cui ci aspettiamo dei sostanziosi incrementi di produzione a partire dal 2026”. Lo scenario tuttavia resta incerto, anche a causa dei dazi minacciati dall’Amministrazione Trump. “Secondo noi è una pistola fumante che in realtà serve a negoziare altre cose, dall’energia alla difesa”, è l’opinione del presidente di Anfia, che rappresenta uno dei settori più esposti all’introduzione di dazi. “Serve un approccio muscolare dell’Ue per capire come contrastare i tentativi di Trump”, dice. La partita, insomma, si gioca sempre a Bruxelles.