Trump lavora per togliere a Zelensky la presidenza

Gli Stati Uniti contattano alcuni oppositori ucraini inconsistenti per organizzare le elezioni, ma tralasciano il generale Zaluzhny, che non segue l’agenda americana. Il prossimo incontro a Riad

Volodymyr Zelensky è stato eletto presidente dell’Ucraina nel 2019. Le elezioni si tengono ogni cinque anni e se il paese non aveva subìto l’aggressione da parte della Russia, nel 2024 si sarebbe tenuto di nuovo il voto per scegliere il capo dello stato. Non possiamo sapere come sarebbe andata: se Zelensky si sarebbe ricandidato, se gli ucraini avrebbero giudicato il suo mandato un successo o un insuccesso. Non possiamo sapere se a sfidarlo sarebbe arrivato a sorpresa un personaggio dirompente proprio come lui: attore, comico, imprenditore, i cui primi manifesti elettorali sembravano la pubblicità dei suoi spettacoli più che l’annuncio di una vera candidatura. Non possiamo immaginare la campagna elettorale del 2024 perché la Russia ha attaccato tutto il territorio dell’Ucraina e dal 24 febbraio del 2022, giorno di inizio dell’invasione su larga scala, è entrata in vigore la legge marziale.

Tra le molte limitazioni che regolano la vita degli ucraini, la legge marziale impone anche l’impossibilità di tenere elezioni. Il 2024, ironia del tempo e dei cicli elettorali, avrebbe dovuto essere l’anno non soltanto delle presidenziali in Ucraina ma anche di quelle in Russia e Vladimir Putin, candidato perenne, ne ha approfittato per insinuare un nuovo argomento propagandistico contro il suo omologo di Kyiv: mentre lui, Putin, veniva ancora una volta trionfalmente eletto dai russi a capo dello stato, Zelensky impediva ai suoi cittadini di recarsi alle urne. Lui, Putin, era quindi un capo legittimo, Zelensky era diventato non soltanto il capo di un regime nazista ma anche illegittimo. La Russia ha da sempre messo sul tavolo dei negoziati la pretesa di un nuovo voto in Ucraina ma fino a ora nessuno aveva accolto queste richieste: in Ucraina c’è la legge marziale perché è costantemente attaccata dalla Russia, la guerra ha svuotato il paese, e oltre ai rifugiati, è difficile far votare i soldati, ogni seggio diventerebbe un bersaglio dei missili di Mosca. Nessuno aveva dato retta alla richiesta di Putin, fino all’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. Il presidente americano ha dato del “dittatore” a Zelensky, lo ha accusato di impedire il voto dei suoi cittadini e ha attivato canali secondari con l’opposizione ucraina sulla possibilità di tenere rapidamente delle elezioni.

Il piano degli Stati Uniti prevede un cessate il fuoco che possa permettere l’organizzazione del voto e soltanto con un nuovo presidente le trattative con la Russia entrerebbero nel vivo. Trump ritiene Zelensky un ostacolo alla pace e da alcuni oppositori ucraini si aspetta un atteggiamento più docile e più incline a qualsiasi tipo di negoziato. Pubblicamente il presidente ucraino è stato accusato di non volere la pace, di giocare con la Terza guerra mondiale, di causare la morte dei suoi soldati e dei suoi cittadini. Tutte queste accuse servono a presentarlo al mondo e all’Ucraina come l’ostacolo alla fine della guerra. Gli Stati Uniti hanno tenuto colloqui con Yulia Tymoshenko e con Petro Poroshenko, due rappresentati di una politica che l’arrivo di Zelensky voleva spazzare via. Tymoshenko ormai gode di poco sostegno, è stata sconfitta anche alle ultime elezioni senza neppure essere competitiva per un ballottaggio, nel frattempo però è rimasta rilevante per i suoi contatti con l’estero, anche con i repubblicani americani. Poroshenko è l’ex presidente, il primo eletto dopo Euromaidan, durante la guerra è rimasto in Ucraina, ha contribuito a finanziare l’esercito e ha sempre mantenuto molto basso il suo profilo di avversario, tanto che quando l’inviato speciale di Trump per l’Ucraina e la Russia, il generale Keith Kellogg, aveva proposto il voto, Poroshenko fu il primo a rispondere che l’unico vincitore era Vladimir Putin, desideroso di interferire e mettere a capo del paese un uomo dei suoi.

L’esplorazione degli Stati Uniti però rivela anche una bassa comprensione della politica ucraina: dall’inizio dell’invasione, Zelensky è rimasto molto in alto nei sondaggi, nell’ultimo anno aveva iniziato a perdere punti, ma era rimasto sempre saldo sopra il 40 per cento. Poroshenko si aggira attorno al 20 per cento, mentre Tymoshenko è incoerente, il suo indice di gradimento è al 5 e, anche se cerca di portare dalla sua parte i politici insoddisfatti, non prende quota. L’unico vero rivale di Zelensky potrebbe essere il generale Valeri Zaluzhny, oggi ambasciatore nel Regno Unito. Gli Stati Uniti non sono entrati in contatto con lui e il perché si capisce facilmente ascoltando le sue dichiarazioni. Ieri a un evento organizzato da Chatham House ha detto: “Vediamo non soltanto la Russia e l’asse del male nel tentativo di rivedere l’ordine mondiale, ma sono gli Stati Uniti che stanno alla fine distruggendo questo ordine”. La distruzione dell’ordine passa anche attraverso il tentativo di lavorare per un cambio di regime a Kiev anziché a Mosca.

La squadra di Zelensky si è resa conto di aver bisogno di contatti con gli Stati Uniti, deve trovare il modo di intendersi con Trump ei suoi collaboratori. Martedì in Arabia Saudita ci sarà un primo incontro di alto livello tra americani e ucraini. Sul campo Zelensky dovrebbe mandare il suo uomo più fidato: Andriy Yermak.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

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