“La città proibita”, tra combattimenti spettacolari e vicende familiari, la storia raccontata unisce kung fu e romanità in uno scenario inedito. Tra i protagonisti Marco Giallini e Sabrina Ferilli
Gabriele Mainetti ha un gran talento per inventarsi le famiglie cinematografiche. E per trovare luoghi dove farle abitare. Resta indimenticabile l’ingenua Ilenia Pastorelli – persa in un suo mondo di fumetti giapponesi, interpreta tutto quel che vede intorno a lei come una puntata extra di “Jeeg robot d’acciaio” – mentre lavora all’uncinetto la maschera del robot. Da regalare al suo Jeeg, Claudio Santamaria: unico supereroe con il cappuccio in lana colorata, con le alette – ma sembrano piuttosto orecchie da gatto. Ancora più stravagante era la famiglia dei circensi in “Freaks Out”. L’uomo scimmia Claudio Santamaria, Aurora Giovinazzo la ragazza elettrica, Pietro Castellitto capace di governare gli insetti, e Mario che non è stato sveglio ma controlla gli oggetti metallici. Nella Roma del 1943, dove potevano rifugiarsi se non al circo? Sbagliano circo, purtroppo, il proprietario si chiama Israel, ebreo, e ha già i suoi guai. Riuniti nella singolare famiglia itinerante, cercano di cavarsela. Saranno più utili le armi: Gabriele Mainetti fa sparare tutte le mitragliatrici che il budget gli consente, e sono francamente troppe – ma ha l’aria: “Chissà quando mi ricapita di poter girare scene del genere!”.
Ricapita, ricapita. Ma stavolta non sono armi, sono arti marziali. Kung fu. Combattimenti a mani nude. Quasi sempre, perché se l’eroina – come succede – si ritrova tra le mani un cd, lo spezza in due: raddoppia l’armamentario a disposizione, e il taglio non sembra rifinito. E’ solo una scena: l’ultimo film di Gabriele Mainetti – “La città proibita” – ha pochi momenti tranquilli. E quei pochi sono quasi sempre strazianti (per atmosfera e per intonazione incerta). Tristi e nostalgici – aggiungete Marco Giallini che suona la pianola e canta, in mutande e calze jacquard da mercatino davanti a una platea immaginaria. Finge gli applausi, quindi potete calcolare con una certa approssimazione il carico depressivo della scena. Succede quando non si menano. Per esempio, in un lungo corridoio sotterraneo che serve per depositare e movimentare la roba di contrabbando. Ogni tanto, nei camion finisce una ragazza. Che dalla Cina fugge per lasciarsi la miseria alle spalle. Oppure come Mei, allenata da papà alle arti marziali fin da piccola, che lascia il paesello per ritrovare la sorella perduta. Dovrebbe essere a Roma, in un ristorante dalle parti di piazza Vittorio – così le ultima notizie. Le due sorelle erano molto legate, anche se una non riesce del tutto a dissimulare il rancore. Vigeva in Cina la politica del figlio unico, e la seconda femmina era fuori discussione – a meno di vivere nascosti nella capanna ai confini del mondo diffidando di tutti i vicini.
Mei è Yaxi Liu, una strepitosa stunt che ha lavorato per il “Mulan” della ditta Disney in live action. La politica attuale della casa, non è chiaro perché: i bambini di qualche generazione fa se la cavavano benissimo con i disegni animati, che consentono meraviglie. Il nuovo “Libro della giungla” garantito live action “vedrete il culo dell’elefante in tutto il suo realistico splendore” è stato “fabbricato” interamente in una palazzina fuori Los Angeles, giungla compresa. Arrivata all’Esquilino, e trovato il posto giusto – tra i molti ristoranti cinesi o pseudo tali – comincia a combattere: braccia, gambe, capocciate quando servono, e soprattutto un passaggio in cucina che offre un ricco assortimento di attrezzi pericolosi. Coltelli professionali, tipo machete. Pentole con brodo bollente, ogni tipo di forbici e pinze, olio fumante che se lo butti per terra fa una strage, si scivola su una superficie rovente. E a tutti la domanda: hai visto una ragazza cinese che mi somiglia?
I cinesi sono di poche o niente parole, anche se la domanda viene rivolta con l’apposita app installata nel cellulare. Qui in effetti l’aggeggio è sottoposto a un superlavoro. Ma non si può che applaudire un regista che mette nel suo film quel che abbiamo in tasca, o sulla scrivania e che forse abbiamo pure usato in qualche viaggio esotico (e che lo usa a proposito, senza appoggiarlo su ogni tavolo per amor di sponsor). La ragazza Mei non si risparmia (a pugni, calci, varie distorsioni, perfino azzeccati colpi di grattugia, scottature) e intanto indaga. Una parola almeno – ma ne meriterebbero di più – per lodare le notevoli coreografie, mosse e veloci come non se ne sono mai viste nel cinema italiano. Per dire: non sono finti pugni sferrati a vuoto, mentre l’attore rivale scansa sapientemente la testa. Fino a qui i luoghi, e ce ne saranno altri, tutti inediti – anche l’Esquilino, del resto, non è proprio il primo posto che uno sceglierebbe per far riconoscere la città a chi viene da fuori. Manca la famiglia? Ora arriva. Quella romana inizia con Marco Giallini che ha i capelli quasi bianchi, seduto al tavolo di un locale fa i conti. Maledicendo gli immigrati che attorno a lui lavorano in ristoranti più frequentati, e pian piano dalla posizione di sguattero scalano i gradini e diventano proprietari.
Alla cassa sta Lorena (Sabrina Ferilli, sola e infelice: peccato, sempre, per gli zigomi esagerati) e in cucina sta il cuoco Marcello, suo figlio (l’attore è Enrico Borello). Sull’insegna c’è scritto “Da Alfredo”, ma Alfredo ormai se n’è andato. Con la nuova amante, probabilmente. Senza lasciare tracce, certo non ai parenti più stretti. Sì, c’è anche la storia d’amore. Ma sfumata, rispetto ai cazzotti che abbiamo visto nella prima parte del film. Case bizzarre, famiglie bizzarre (un rapido passaggio nella stanza dei vicini, mentre la numerosa famiglia africana è tutta seduta a tavola), e un corteggiamento timido timido. Anche visto e considerato quel che la ragazza cinese saprebbe fare per imporre la sua volontà. Il film uscirà in anteprima l’8 marzo, in 200 copie. Perfetto per festeggiare la ricorrenza, e stavolta i maschi non potranno sottrarsi (saranno piuttosto le ragazze a negarsi, senza voler trovare la passione che muove i personaggi, tra una mossa di kung fu e l’altra. E senza capire che con le eroine alla Jane Austen grossi passi avanti non se ne sono fatti: state ancora tutte appiccicate a “Bridgerton”, se non peggio. Nel film di Mainetti le donne sono forti e i maschi sfigati: Marco Giallini è Annibale, che guarda la vedova senza osare approcci. Ma la vedova, appunto, non lo è davvero. O almeno lei non ci crede. Il marito fedifrago è ufficialmente solo scomparso, lasciandole centinaia di cravatte – bastano per riempire una valigia. Poi ci sarà una seconda uscita, Il 13 marzo: 400 copie. Ricalca la tecnica usata per il film di Paola Cortellesi: intanto tutti parlano del film e cresce la voglia di andarlo a vedere. Funziona, ma solo con i film azzeccati che scatenano il passaparola. E questo sembra fatto apposta: popolare, d’azione, romano e universale.