Chi era Bruno Pizzul per tutti quelli che, in tv, hanno imparato da lui

Aveva passione e ironia e coinvolgeva tutti: non divideva. Era stato calciatore ma non per questo si sentiva in diritto di pontificare, giudicare o cominciare crociate a favore o contro allenatori o calciatori. Conosceva la misura e il rispetto

Stavolta non è “tutto molto bello”. Se n’è andato Bruno Pizzul. Un gigante di questo mestiere, un amico, un uomo alto, in tutti sensi. Per tutti noi che apparteniamo alla comunità degli appassionati di calcio un riferimento assoluto, un Padre della Patria (non solo calcistica). Aveva uno stile unico, sobrio ed elegante. La sua voce è entrata nella nostra vita tante volte. Ci ha portato negli eventi, con passione e garbo. Erano quegli anni lì, quelli della Rai che aveva il monopolio delle partite. Del calcio che non era in tv tutti i giorni. Lui era la Voce. Aveva e sentiva la responsabilità di parlare a tutti. Milioni di persone, il pubblico della generalista. Gli appassionati di calcio, quelli che si sarebbero visti anche gli highlights del campionato belga e chi invece magari guardava tre partite all’anno solo per tifare la Nazionale. E’ stato il punto di riferimento di quella generazione, prima della rivoluzione di un altro maestro come Sandro Piccinini, cresciuto nelle radio libere e poi nella televisione commerciale, che prese le frasi e le disintegrò, aumentando il ritmo della narrazione. Stili ed epoche diverse, medesimo talento.

Bruno era favoloso e per bene. Passione e ironia. Coinvolgeva tutti. Non divideva. Era stato calciatore ma non per questo si sentiva in diritto di pontificare, giudicare o cominciare crociate a favore o contro allenatori o calciatori. Conosceva la misura e il rispetto, non aveva bisogno di like o di essere trend topic. Viveva nell’epoca pre-social network e per parlarci dovevi solo alzare il telefono, meglio quello della casa di Cormons con il prefisso 0481. Amava le cene e il vino, possibilmente i bianchi del Collio e della vicina Brda. Soprattutto il Tocai, che adesso si chiama Friuliano. Un vitigno strutturato e fedele, forte e equilibrato che a ben vedere lo rappresenta perfettamente. Conoscerlo è stato un privilegio.

Ricordo benissimo la festa per i suoi ottant’anni, ovviamente a Cormons. Fu tutto molto bello per davvero. Una baldoria a reti unificate con amici e colleghi della Rai e di altre testate. Tutti lì a celebrarne la grandezza e l’indiscutibile umanità. Aveva la forza della sintesi. A Napoli sul rigore sbagliato da Donadoni contro l’Argentina gli bastò dire: “ahi”. Quell’espressione valeva più di mille aggettivi. Il rumore dell’accendino a bucare il silenzio della cronaca in certe sere anni Ottanta mi fa tornare bambino, quando a San Siro c’era ancora la nebbia e “non si vede più niente”. Ancora, di fronte alla tragedia dell’Heysel in un clima di orrore e con le poche informazioni che si potevano avere riuscì a informare con rigore giornalistico e enorme sensibilità umana. E poi Dino e Roberto, lo stillicidio dei calci di rigore, il buco per Alemao la sera di Stoccarda, le notti Magiche del 1990. Pezzi della nostra vita. Incancellabili e unici, come la sua timbrica, perché una telecronaca è metà giornalismo e metà estetica. E la sua voce era inimitabile. Qualche anno fa con gli amici di Dazn riuscimmo a convincerlo a curare una piccola rubrica all’interno di “Supertele”. Il nostro sogno realizzato fu quello di sentire e vedere ogni lunedì gli highlights delle partite della giornata di Serie A commentati da lui. Fu un regalo bellissimo.

Pier Luigi Pardo è giornalista e conduttore televisivo

Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.