Quella statua di Reagan a Varsavia. La lettera di Lech Walesa a Trump

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore – Gentile Cerasa, da quando Brescia è stata Capitale italiana della Cultura (BgBs2023), la città ha intrapreso una traiettoria chiara e ambiziosa: imporsi come città internazionale, un luogo aperto capace di attrarre talenti prima nell’economia, poi nella cultura, e caratterizzato da una dimensione multietnica e accogliente, ideale per fare impresa, costruire una famiglia e vivere bene. Questa scelta, oggi, acquisisce una rilevanza urgente alla luce degli ultimi sviluppi geopolitici mondiali. Essere europei non rappresenta solo una semplice appartenenza geografica, ma un impegno morale e politico preciso. Nel 2025, mentre oriente e occidente sembrano scivolare verso estremismi preoccupanti, sostenuti da politiche aggressive, noi ribadiamo la nostra identità europea. Non parlo della burocrazia europea distante e spesso incomprensibile, ma di un’Europa dei valori, che mette al primo posto la vita umana, la libertà, la qualità della vita e la tutela delle future generazioni. Anticipando i sentimenti di oggi, dal 2024 il brand di Brescia è: “Brescia, la tua città europea”, roccaforte concreta a tutela dei diritti umani e civili che intendiamo difendere e promuovere. In quest’ottica, venerdì 28 febbraio u.s. abbiamo depositato in Consiglio comunale un ordine del giorno condiviso da tutte le forze politiche per avviare il gemellaggio con una città ucraina. E’ un gesto concreto che testimonia la nostra determinazione a investire nel futuro europeo come futuro di pace, dialogo e solidarietà. Un gesto che assume un significato potente se pensiamo che è avvenuto mentre nello Studio Ovale si consumava uno degli incontri, quello tra i presidenti Trump e Zelensky, più brutali della storia dei rapporti internazionali. Oggi dobbiamo investire su noi stessi, riscoprendo il significato profondo del nostro essere europei e proponendo al mondo un modo differente e migliore di vivere insieme.

Laura Castelletti, sindaca di Brescia

Ottima scelta. E rispetto a quell’incontro un consiglio di lettura. Una lettera formidabile scritta da Lech Walesa, ex prigioniero politico, leader di Solidarnoscść, presidente della Terza Repubblica polacca, e controfirmata da altri 43 ex prigionieri politici. Lettera da brividi, rivolta a Donald Trump. “Egregio signor presidente. Abbiamo seguito con orrore e disgusto il resoconto della vostra conversazione con il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky. Riteniamo che le vostre aspettative siano espressione di rispetto e gratitudine per l’assistenza materiale fornita dagli Stati Uniti all’Ucraina nella lotta contro l’offensiva russa. La nostra gratitudine va agli eroici soldati ucraini che hanno versato il loro sangue in difesa dei valori del mondo libero. Sono loro che da oltre 11 anni muoiono in prima linea in nome di questi valori e dell’indipendenza della loro patria aggredita dalla Russia di Putin. Non capiamo come il leader di un paese simbolo del mondo libero non possa vedere questo. Siamo rimasti inorriditi anche dal fatto che l’atmosfera nello Studio Ovale durante questa conversazione ci ha ricordato quella che ricordiamo bene dagli interrogatori dei servizi segreti e dalle aule dei tribunali comunisti. Anche i procuratori e i giudici incaricati dalla potentissima polizia politica comunista ci hanno spiegato che loro avevano tutte le carte in regola e noi nessuna. Ci hanno chiesto di cessare le nostre attività, sostenendo che migliaia di persone innocenti stavano soffrendo a causa nostra. Ci hanno privato della nostra libertà e dei nostri diritti civili perché non abbiamo accettato di collaborare con le autorità e non abbiamo dimostrato loro gratitudine. Siamo scioccati dal fatto che abbiate trattato il presidente Volodymyr Zelensky in un modo simile. La storia del Ventesimo secolo dimostra che ogni volta che gli Stati Uniti hanno cercato di prendere le distanze dai valori democratici e dai loro alleati europei hanno finito per minacciare se stessi. Il presidente Woodrow Wilson lo capì e decise di far entrare gli Stati Uniti nella Prima Guerra Mondiale nel 1917. Lo comprese il presidente Franklin Delano Roosevelt quando, dopo l’attacco a Pearl Harbor del dicembre 1941, decise che la guerra in difesa dell’America sarebbe stata combattuta non solo nel Pacifico, ma anche in Europa, in alleanza con i paesi attaccati dal Terzo Reich. Ricordiamo che senza il presidente Ronald Reagan e il coinvolgimento finanziario americano, la disintegrazione dell’impero sovietico non sarebbe stata possibile. Il presidente Reagan era consapevole che nella Russia sovietica e nei paesi da essa conquistati soffrivano milioni di persone ridotte in schiavitù, tra cui migliaia di prigionieri politici che pagavano con la loro libertà il loro sacrificio in difesa dei valori democratici. La sua grandezza consisteva, tra le altre cose, in: che senza esitazione definì l’Urss “l’Impero del Male” e dichiarò una lotta decisiva contro di esso. Abbiamo vinto e oggi a Varsavia, di fronte all’ambasciata degli Stati Uniti, c’è una statua del presidente Ronald Reagan. Signor presidente, gli aiuti materiali, militari e finanziari, non possono essere l’equivalente del sangue versato in nome dell’indipendenza e della libertà dell’Ucraina, dell’Europa e dell’intero mondo libero. La vita umana non ha prezzo, il suo valore non può essere misurato con il denaro. La gratitudine è dovuta a coloro che sacrificano il loro sangue e la loro libertà. Per noi, popolo di Solidarnoscść, ex prigionieri politici del regime comunista al servizio della Russia sovietica, questo è ovvio. Invitiamo gli Stati Uniti a onorare le garanzie fornite insieme alla Gran Bretagna nel Memorandum di Budapest del 1994, che sancisce esplicitamente l’impegno a difendere l’inviolabilità dei confini dell’Ucraina in cambio della rinuncia dell’Ucraina alle sue risorse di armi nucleari. Tali garanzie sono incondizionate: non viene menzionato neppure un dettaglio circa il fatto che tali aiuti debbano essere considerati uno scambio economico”. Lacrime e applausi.

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