Parla il vincitore della Coppa del mondo di Gigante parallelo. “Vincerla è un traguardo”, ma il sogno è un altro: “Ho cominciato durante i Giochi di Torino 2006 e sono stato influenzato da quel clima. Ha dato l’input per iniziare, per credere in qualcosa”. Missione Milano-Cortina per una medaglia nella sua Livigno
“Le coppe vanno bagnate, organizzeremo qualcosa”. Scherza, ma non troppo Maurizio Bormolini, fresco vincitore della Coppa del mondo di snowboard e di specialità di gigante parallelo. I trofei, a tempo debito, magari in una bacheca ad hoc, verranno esposti nell’albergo dei genitori, e a stagione conclusa, dopo i Mondiali, festeggerà a dovere. L’agonista che è in lui, sia sulla tavola che nella vita, finalmente è stato sprigionato. La vittoria, ammette, lo esalta mentre la “sconfitta mi brucia, anche se fa parte del gioco, la so accettare”.
Cresciuto tra le nevi di Livigno è molto legato ai suoi affetti e alle cime, il suo scenario ideale pure nel tempo libero. “Siamo tre fratelli e una sorella, con il più piccolo scorrazzavamo in giro, inventavamo attività, piuttosto che stare davanti ai videogiochi. Ora sono appassionato di moto ne ho una da pista. Ogni tanto faccio dei giri, mi diverte, mi sfogo, cerco di coltivare la passione. In estate mi piace camminare in montagna: è il mio habitat”.
L’atleta del Livigno Team ha iniziato guardando i cugini, da autodidatta e senza immaginare la sfera di cristallo: “Pensavo più al sogno olimpico, ho cominciato durante i Giochi di Torino 2006 e sono stato influenzato da quel clima. Ha dato l’input per iniziare, per credere in qualcosa. Vincere la Coppa del mondo è un traguardo: è difficile, è la somma di tante gare, bisogna essere costanti. Ha un valore immenso, mi ripaga degli sforzi”. In alcuni momenti, ha avuto infortuni e problemi con i materiali, tanto, per sua ammissione, da aver “perso” un paio di anni, prima di decidere, tre anni fa, di cambiare tutto. Sistemato l’aspetto pratico si è concentrato su quello mentale: “Per vincere una gara devi fare sei run. Le qualifiche sono sempre più difficili, devi andare al massimo, al minimo errore sei fuori. Non puoi sbagliare, ma nemmeno controllare troppo, è questo il complesso”. Eppure, quando è sulla tavola la mente si resetta. “Non guardo classifica o altro: la cosa che mi piace di più è il momento gara, in cui scendo e mi sento libero. Abbiamo una persona di fianco, nel parallelo, è una disciplina che ti incita, c’è competizione. Mi motiva tantissimo poter arrivare in fondo e dire ‘ce l’ho fatta’. È qualcosa che ho dentro, mi rende contento. Poi l’occhio all’avversario va, con l’esperienza lo gestisci. Oltre che guardare, lo senti, ma inizi a pensare al tracciato e quello che devi fare, per questo tanti più longevi di me riescono ancora a vincere. Competo tanto con me stesso, cerco di dare il 110 per cento, se sto bene mi focalizzo su quello che provo”.
Nel mirino, oltre i Mondiali, anche i Giochi di Milano Cortina: “Sono fortunato ad avere questa opportunità. Dovrò qualificarmi, siamo una squadra forte: otto uomini per quattro posti, bisogna continuare a lavorare”. Le competizioni saranno nella sua Livigno da cui non è stato facile allontanarsi: “Il momento più difficile: lì non ci sono le superiori, ma la scuola serve, nello sport non c’è la garanzia di arrivare al top, un’istruzione devi averla. Devo ringraziare un mio insegnante delle medie, quando gli ho detto che sarei dovuto andare a Merano e avrei smesso, mi ha aiutato a trovare uno ski college a Falcade. È andata bene, ho avuto fortuna. Ci vuole, tante volte nella mia carriera le cose sono cambiate grazie a incastri giusti”.
E quando gli si chiede se sia scaramantico, svela di aver fatto caso a una coincidenza: “Prima delle gare, utilizzo le slip del mio gruppo sportivo militare, l’Esercito, forse portano bene”.