Ha abbracciato Zelensky, si è allargata, studia modi per difendersi, rompe tabù pacifisti, convince le borse e mostra un nuovo mondo in cui gli unici a prendere sul serio Trump sono i nemici e non i follower (Meloni compresa)
La sensazione di disorientamento generata venerdì scorso alla Casa Bianca dalla scazzottata verbale tra Donald Trump, J. D. Vance e Volodymyr Zelensky è stata ampiamente compensata da una serie di notizie formidabili che si sono susseguite negli ultimi tre giorni e che riguardano tutte una realtà politica, culturale, geografica ed economica che il presidente americano da settimane cerca di dividere, di massacrare, di minacciare, di tartassare e che invece, seppure con le sue fragilità, da settimane offre agli osservatori elementi sufficienti per ricordare al mondo che quel presidio di libertà, di democrazia e di solidarietà chiamato Europa ha scelto di trasformare il bullismo trumpiano in un’occasione per provare a diventare grande. Il risultato finale di questa operazione non sappiamo ancora quale sarà, ma gli effetti della scazzottata verbale osservata alla Casa Bianca confermano che l’Europa ha scelto di prendere in parola le minacce rivolte da Trump all’Ucraina e a Zelensky. E seppure con un tasso di prudenza finalizzato a non creare fratture eccessive con l’Amministrazione americana, l’abbraccio offerto a bordo ring negli ultimi giorni dall’Europa al presidente ucraino è qualcosa in più di un semplice gesto simbolico. Trump, lo abbiamo detto, voleva isolare Zelensky, dividere l’Europa, costruire una relazione speciale con alcuni paesi europei, far tremare l’economia del nostro continente, soffiare sul fuoco degli estremisti anti europeisti, mettere in campo azioni finalizzate a far brillare la stella dell’America su quella dell’Europa e nel giro di poche settimane è riuscito a ottenere solo risultati opposti. L’Europa, piuttosto che dividersi, si è allargata, almeno politicamente, e il fatto che il paese europeo più gagliardo, più deciso, più incisivo nel voler mettere in campo una risposta europea per proteggere l’Ucraina sia un paese, come il Regno Unito, che dall’Unione europea, anni fa, ha scelto di uscire – lo stesso paese che il presidente americano aveva pensato di utilizzare, contando sulla sua relazione speciale, per dividere l’Europa – è qualcosa che pesa, qualcosa che conta, qualcosa che indica una volontà precisa da parte dell’Europa.
Una volontà perfettamente sintetizzata ieri dal primo ministro inglese Keir Starmer, che ha parlato a nome di tutta la nazione, opposizione compresa: “Il futuro dell’Ucraina è vitale per la nostra sicurezza nazionale”, “la Russia è una minaccia nelle nostre acque e nei nostri cieli”, “la Gran Bretagna guiderà dal fronte la sicurezza del nostro continente, del nostro Paese”, “svolgerà un ruolo di primo piano, con gli stivali a terra e gli aerei in aria”. L’Europa non si è divisa, si è allargata, e nel giro di pochi giorni la stragrande maggioranza dei paesi europei ha fatto sentire esplicitamente la sua vicinanza all’Ucraina (Polonia, Spagna, Lituania, Lettonia, Repubblica ceca, Germania, Svezia, Portogallo, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Irlanda, Estonia, Finlandia, Croazia, Danimarca, Romania, Austria, Belgio, Slovenia, Bulgaria, i presidenti delle tre istituzioni dell’Ue, come ha ricordato ieri il nostro David Carretta, hanno inviato messaggi di solidarietà e promesse di supporto al leader ucraino, l’Ungheria non lo ha fatto, l’Italia lo ha fatto in una forma più timida). I paesi con cui Trump voleva dividere l’Europa non sono cascati nel tranello (il Regno Unito no, l’Italia ancora no, e in Germania gli estremisti sostenuti dalla Decima Musk non hanno trovato la via per arrivare al governo, nonostante il sostegno esplicito del vice di Trump, J. D. Vance). L’economia europea, da quando Trump ha cercato di minacciare l’Europa, ha offerto segni di speranza, di ottimismo, di grande proiezione verso il futuro (solo nell’ultima settimana, le principali borse europee sono cresciute circa dell’1,64 per cento in più rispetto alla Borsa americana). La scommessa che l’Europa riesca a trovare un modo per aprire un nuovo ombrello in grado di tutelare il nostro continente dalle minacce esterne anche a fronte di un disimpegno progressivo dell’America è una scommessa a cui i mercati credono (ieri, alla Borsa di Milano, le azioni di Leonardo, la società italiana attiva nei settori della Difesa, dell’aerospazio e della sicurezza, hanno registrato una crescita del 15 per cento, con un nuovo massimo toccato a 45,50 euro, e in Germania le azioni di Rheinmetall – la più grande azienda della Difesa tedesca – sono balzate del 18 per cento, mentre a Londra il più grande produttore di armi europeo, la britannica Bae Systems, è salita del 14 per cento).
Ed è anche una partita su cui i leader europei hanno scelto di scommettere. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, due giorni fa ha detto che “abbiamo bisogno urgentemente di riarmare l’Ucraina e l’Europa”, ha enfatizzato la necessità di un “massiccio passo avanti” per incrementare la Difesa europea e ha annunciato l’intenzione di presentare un “piano completo” in vista del prossimo vertice dei leader europei che si terrà il 6 marzo a Bruxelles. E qualche giorno prima, sempre Ursula, aveva proposto di attivare la “clausola di salvaguardia” del Patto di stabilità per consentire maggiori investimenti nelle spese militari. Come difendere un’Europa che si prepara alla possibilità di avere una pace non giusta in Ucraina, un Putin nuovamente legittimato alle sue porte, un’America meno intenzionata a far sentire la sua presenza per difendere i suoi alleati non è ancora chiaro. Così come non è chiaro che fine farà la proposta di Emmanuel Macron e di Keir Starmer di ragionare sulle truppe europee per difendere l’Ucraina in caso di disimpegno della Nato, che chissà se poi ci sarà davvero. Quello che è chiaro, invece, è che in Europa ad aver preso sul serio il nuovo ordine mondiale promosso da Trump non sono i leader più vicini al presidente americano, come Giorgia Meloni, ma sono i leader più distanti, come Starmer, come Macron, in attesa dell’arrivo di Merz in Germania. Chi non ama Trump, vede un mondo cambiare, in modo minaccioso, e cerca di trovare degli ombrelli per ripararsi. Chi Trump lo apprezza, invece, come Meloni, di fronte al trumpismo cerca di utilizzare il suo personale Google Translate, di tradurlo a modo proprio, di edulcorare il messaggio, di ridimensionare la portata della rivoluzione trumpiana per evitare di doverlo prendere troppo sul serio e fare i conti con una nuova realtà difficile da accettare. Una realtà in cui i patrioti veri, come gli ucraini, vengono scaricati dagli idoli dei patrioti, ovvero i trumpiani, e una realtà in cui i nemici dell’Europa, ovvero gli autocrati a sostegno di Putin, grazie al patriota in chief, ovvero Trump, potrebbero avere mano libera per provare a rendere l’Europa più vulnerabile. Il ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, riferendosi alla guerra in Ucraina, ieri ha detto che “il rischio di una guerra nel continente europeo, nell’Unione europea, non è mai stato così alto perché da quasi quindici anni la minaccia ha continuato ad avvicinarsi a noi, la linea del fronte ha continuato ad avvicinarsi”, e all’indomani del summit euroatlantico di Londra ha ribadito che i paesi europei sono ormai pienamente consapevoli di questo. Prenderlo sul serio, e attrezzarsi, o non prenderlo sul serio, per paura di doversi attrezzare. Scegliere da che parte stare, per Meloni, oggi non dovrebbe essere così difficile.