Gli italiani si sono espressi sui reattori 38 anni fa: pensare che quell’opinione sia valida ancora oggi non tiene conto dei progressi tecnologici, delle idee che cambiano e delle nuove generazioni
Trovo molto interessante il ragionamento secondo cui una nuova legislazione sul nucleare è inaccettabile, in quanto gli italiani si sono già espressi in merito nel 1987. A rigore, il filo logico di questo ragionamento conduce alle seguenti inoppugnabili conclusioni: la ricerca scientifica non ha fatto progressi negli ultimi quattro decenni; se uno ha pensato qualcosa, non può cambiare idea neanche nel secolo successivo; le persone nate negli ultimi trentott’anni non contano nulla, mentre quelle morte nel frattempo vanno in realtà considerate ancora vive. Il sottinteso di questo ragionamento è ritenere che gli italiani siano rimasti fermi al 1987 e vogliano pertanto tuttora venire governati da Goria, ascoltare a nastro “Si può dare di più”, correre al cinema a guardare “Rimini Rimini” e “Fantastica Moana”; io medesimo, di conseguenza, in questo momento dovrei giocare con le costruzioni ed esercitarmi sulle tabelline.
Né si capisce per quale ragione si debba ritenere che gli italiani del 1987 siano più “veri” di quelli del 2025; perché non quelli del 1946, del 1922, del 1648? Un politologo tedesco, Jörg Tremmel, ha scritto interi saggi per dimostrare come le Costituzioni degli stati, e tanto più le legislazioni secondarie che ne derivano, dovrebbero essere periodicamente aggiornate secondo scadenze regolari, che calcola tramite dettagliatissime tabelle demografiche, così da assecondare l’inevitabile avvicendamento generazionale. È complicato, ma necessario: altrimenti, altro che nucleare, dovremmo usare ancora le lampade a olio, secondo il volere degli italiani del 1861.