La lotta e il carcere patiti dal romanziere sono i nostri. Tiriamolo fuori
Emmanuel Macron ha detto di essere “preoccupato” per la detenzione e la salute del romanziere franco-algerino Boualem Sansal e che è il momento di rivedere gli accordi sull’immigrazione tra i due paesi. Anche il primo ministro Francois Bayrou ha detto che rivedrà un accordo vecchio di decenni che rende più facile per i cittadini algerini trasferirsi in Francia a meno che l’Algeria non accetti di riprendere coloro che vengono deportati dalle autorità francesi ed è chiaro che nel pacchetto c’è anche la libertà di Sansal. Il Parlamento europeo si è espresso a larga maggioranza per la liberazione dell’autore di “2084”. Qualche comitato in sua difesa è stato formato (troppo poco). Alcuni scrittori e premi Nobel si sono fatti sentire.
Ma è arrivato il tempo della politica nei confronti di questi regimi che, oltre a riempirci di gas, sfruttano gli strumenti democratici occidentali mentre privano della vita i nostri scrittori. L’avvocato di Sansal (a François Zimeray è stato rifiutato il visto per visitarlo e difenderlo “perché ebreo”) ha confermato il 25 febbraio che lo scrittore imprigionato ha smesso di mangiare, nonostante abbia ottant’anni e sia già gravemente malato. Sansal è accusato di “cospirazione contro la sicurezza dello stato” per le sue dichiarazioni e i suoi scritti. La sua lotta contro la dittatura del pensiero, la sua opposizione a ogni forma di sottomissione, è la nostra. La sua prigione è la nostra. “Sansal è molto coraggioso e da anni mi domandavo: ma perché resta in Algeria?” ha detto qualche settimana fa Michel Houellebecq. “C’è una certa grandezza nel restare nel proprio paese come resistente. Ho sempre pensato che nel 1940 era più coraggioso restare in Francia piuttosto che andare a Londra, per esempio. Ma io non ho questo genere di coraggio”. A noi è richiesto di tirarlo fuori con i mezzi che abbiamo.