Il miracolo di Di Maio, l’uomo persico

A pranzo con Luigi Di Maio, unico riconfermato dalla Commissione Ue come inviato: “Sono un sopravvissuto”. Fenomenologia e chiacchierata con l’ex capo grillino che visse due volte. Tra Draghi, Meloni e Conte

Il pesce è un’orata, l’uomo è persico. Come il Golfo che batte con costanza e metodo – e la cronaca aggiunge merito – da più di due anni. E lo farà per altri due. “In questa regione del mondo trascorro almeno due settimane al mese”. Capita di trovarsi a pranzo con Luigi Di Maio in un giorno qualsiasi della sua nuova vita. Personaggio dalla fenomenologia complessa e allo stesso tempo arcitaliana. Storia incredibile, curriculum già da baby pensionato, volendo. Bel-Ami trasversale, con rubrica telefonica internazionale. Zelig. A meno di 40 anni, ne ha 39, rientra già nella categoria montanelliana – versione plus – dei “rieccoli”. L’incontro non avviene dalle sue parti. Cioè in Arabia Saudita. Né negli Emirati Arabi Uniti e nemmeno in Bharein, Kuwait, Oman o Qatar. Bisogna “accontentarsi” del centro storico di Roma. Ontologicamente mediorientale, certo, con il suo turismo suk ciabattante e i fumi speziati che escono da certe cucine “carbonara a 10 euro”.



La trattoria scelta – una garanzia, in via dell’Orso – è a poche centinaia di metri da Palazzo Chigi. Meglio, zoom: a poche centinaia di metri dal fatal balcone da cui la sera del 28 settembre del 2018 Di Maio urlò e promise – basculando sul davanzale con il pugnetto al cielo – di aver abolito la povertà: vaste programme. Scena memorabile, quel giorno, per noialtri cronisti suola e tacco tutti con il naso all’insù, ma soprattutto per l’Italia intera.



“Abbiamo abolito la povertà”. Da stropicciarsi gli occhi. Ora: chi di noi a 31 anni non l’hai mai sparata grossa per farsi bello davanti agli amici? Ora: chi di noi a 31 anni era vicepresidente del Consiglio di un paese del G7, segretario del primo partito di governo (il M5s del 33 per cento) e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico? Un’altra vita, un altro mondo. Per dire, Giorgia Meloni: nel 2018, l’ex ministra del Cav. era la leader di un partitino al 4 per cento, la sorella Arianna faceva la precaria alla Regione Lazio nella segreteria della consigliera Chiara Colosimo e l’allora cognato della capa, Francesco Lollobrigida, guidava da capogruppo alla Camera un manipolo di Fratellini agguerriti in Aula e nelle chat. Un altro mondo, ma pur sempre fiammeggiante.



“Mi scuso per il ritardo”. Il sorriso Durban’s su incarnato oliva del riconfermato inviato Ue nel Golfo, nel Mar Rosso (e ad interim anche per Israele e Palestina) scende da una ministeriale Alfa Romeo Stelvio. Scorta e autista, dall’accento, sono delle sue parti, o di sicuro non vengono da Brunico.



Fa un freddo che pizzica. Tuttavia Di Maio si palesa – draghianamente – senza cappotto. Solo con il completo blu, la sua muta. Il vestito di chi cambia idea, con repentine giravolte, ma alla fine sta ancora qua, affatto stazzonato. Eccolo, niente soprabito: come farà? E’ dunque diventato atermico, come l’ex capo della Bce? O sono le squame dell’uomo persico?


Davanti a un’orata ai ferri, preceduta da una mozzarella di bufala campana che deve essere la sua madeleine, l’ex già tantissime cose si sottopone con la solita gentile ritrosia alle domande. Grazie, ma no grazie, questo fuori dal taccuino, please.



“Per me niente olio sul pesce”, dice all’oste che ovviamente lo ha riconosciuto (“anvedi chi c’è: Giggino!”, scappa a un cameriere) anche se ormai il cliente è fuori da due anni dalla Roma montecitoriale e dalle tv, senza saudade. Almeno così sembra.



“Sono un sopravvissuto”, dice Di Maio. Tac: già questa frase è di per sé un titolo, l’autobiografia della nazione dimaiana. Perché a un occhio pigro ma didascalico si direbbe che in effetti è proprio così: l’ex capo del M5s, passato da Beppe Mao a Super Mario tra gaffe e diplomazia, è l’unico protagonista di quella stagione controversa, assistenzialista e a tratti brutale, iniziata nel 2013 a colpi di vaffa e Parlamenti da aprire come scatolette di tonno immerso nell’olio del populismo. Dato di cronaca: di quel cucuzzaro è l’unico a essere rimasto più che a galla. E’ un tappo di sughero sì, ma in un barile di petrolio. Di Maio si sente un survivor, però, per un altro motivo. Questioni tecniche, di acronimi che cita fino alla noia, quasi incomprensibili: paesi Gcc, Eusr, Seae, Mou e via ostrogotando. Un computer.



Il fatto è questo: rispetto alla passata Commissione, sempre a guida Ursula von der Leyen, è stato l’unico inviato speciale (Eusr) a essere stato confermato. Tutti gli altri sono andati a casa.



La prima volta – nel 2023 – dopo aver superato la valutazione di una commissione fu scelto dall’ex Alto rappresentante Josep Borrell (della famiglia dei socialisti). A distanza di due anni, e scaduto il mandato, Kaja Kallas (liberali), il nuovo Alto rappresentante, ha deciso di concedergli il bis per “l’eccellente lavoro svolto” con una lettera di complimenti da leccarsi i baffi. Così tante lodi, ammette, che lo hanno colto di sorpresa. E non solo lui. Quando a Bruxelles lo scorso dicembre, a margine del Consiglio europeo, la diplomazia italiana informò Meloni di questa evenienza – il bis fino al 2027 – la premier quasi trasecolò: “Ma che davvero?! Facciano, ma non nel mio nome”. E così è andata. Di Maio, quando i nuovi vertici Ue si sono insediati dopo le ultime elezioni, ha incontrato Kallas per la prima volta. Ha usato, oltre all’imponente lavoro svolto, un dettaglio: “In precedenza, in Italia, ho fatto il ministro degli Esteri del governo di Mario Draghi”. Un dato fattuale. Che alla fine deve essere una formula tipo “apriti sesamo” in certi posti. Chissà se nella foga avesse aggiunto: a dire il vero, prima, sono stato anche il vicepremier del governo con Danilo Toninelli ai Trasporti e Fofò Bonafede alla Giustizia… Chissà se sarebbe andata allo stesso modo.



Comunque, almeno a questa domanda risponderà: Di Maio, Draghi lo sente ancora? Quante volte vi incontrate? E’ vero che sotto sotto sogna ancora il Quirinale? Risposta dopo aver mandato giù un bicchiere di acqua minerale: “Il presidente è sempre molto impegnato ed è per natura difficile da afferrare”. E cosa pensa di lui? Solo “Cuoricini” come la canzone dei Coma_Cose a Sanremo? “I rapporti con Draghi sono di amicizia e ammirazione profonda”. Queste poche parole dopo trattativa, ce le farà scrivere. Meglio di niente.


Cameriere, scusi, per noi invece olio e ancora altro pane, grazie.



Alla fine della fiera aver fatto parte di quel governo per Di Maio fu mettersi in tasca due lauree e un master alla Bocconi in un solo boccone: resta il suo biglietto da visita nel portafoglio, il santino di Padre (Mario) Pio attaccato sul cruscotto della macchina della vita. E di Giuseppe Conte che contribuì a portare per due volte a Palazzo Chigi (con tanto di improvvida scissione finale dal M5s e conseguente avventura sciagurata da 0,9 per cento con il flop di Impegno civico) che ne pensa? Tempo fa l’inviato speciale – categoria professionale che fa pensare a un super giornalista o a un mezzo agente segreto – disse che l’ex premier avrebbe portato via anche l’argenteria a Beppe Grillo. Ora, ma qui forse il merito è delle zucchine alla scapece da svenimento, è più diplomatico: “Con Conte non ci sono rapporti. Ci siamo sentiti perché io gli ho espresso solidarietà quando ha subito gli attacchi dai novax e lui mi ha mandato i suoi auguri quando è nato mio figlio Gabriel” (in privato con saggezza democristiana pensa che quando un leader si rafforza troppo all’interno senza opposizione nel partito, si indebolisce alla lunga all’esterno). Comunque, visto che l’ha tirata fuori lui, bisogna aggiungere che l’uomo persico è diventato padre. La madre è Alessia D’Alessandro, ex modella italotedesca di Agropoli (Salerno) candidata senza successo nel 2018 con il M5s alla Camera dopo un passaggio come staffista nel Centro ricerche economiche di un’associazione di imprese vicina alla Cdu all’epoca merkelliana con studi internazionali importanti.



Sembra davvero la chiusura del cerchio, si nasce incendiari con Dibba e Grillo e si finisce draghiani con venature tedesche, visto che la famiglia dell’ex ministro di Pomigliano d’Arco è di stanza a Berlino. E fa la spola fra il Golfo, Bruxelles, dove ha la sede operativa, e la Germania. Che Zeitgeist.



Colui che, con il governo Conte, attuò riforme come il reddito di cittadinanza, adesso non fa che squadernare tutte le sue conquiste: il primo investment forum della storia tra Arabia Saudita e Unione europea, con 5.000 imprese accreditate. Oppure gli accordi su sicurezza cibernetica, sicurezza marittima, antiterrorismo e controllo delle frontiere, aperture di Camere di commercio nel Golfo, a Riad, accordi contro le catastrofi ambientali dovute al cambiamento climatico, ma anche visti di accesso nell’area Schengen di cinque anni per i cittadini del Golfo che vogliono venire a vivere in Europa e poi summit con i leader dei 27 paesi membri per suggellare le relazioni internazionali. “Diciamo che ce l’ho messa tutta”. Lo chiamavano “il bibitaro” perché da ragazzo aveva fatto lo steward al San Paolo di Napoli. “Giggino la nomina” per via della capacità compulsiva di piazzare amici ovunque, ma anche “Giggino la cartelletta”, sempre per lo stesso motivo, ovvero il curriculum di qualcuno da proporre. Negli anni è riuscito a prendersi i complimenti di Silvio Berlusconi, ad avere rapporti più che buoni con Gianni Letta (giovedì Fulvio Martusciello, capodelegazione di Forza Italia a Strasburgo, lo ha elogiato per il “suo equilibrio e saggezza” ora che si occuperà anche di Israele e Palestina). Ma anche a dare del tu a Draghi, a mangiare una pizza con Giancarlo Giorgetti, a scriversi con il vecchio Pd che conta, a chiedere consigli a Ugo Zampetti – attuale segretario generale del Quirinale che lo svezzò nel 2013 quando da Pomigliano si trovò catapultato a 26 anni alla vicepresidenza della Camera – e poi a Elisabetta Belloni – già capo dei Servizi e segretario generale della Farnesina ora ambasciatrice di von der Leyen – e ancora cardinali e via sorrentinando. E di Giorgia Meloni? Cosa pensa Di Maio della premier? “Con lei ho un rapporto di correttezza istituzionale e in generale ho rapporti istituzionali con tutti i miei interlocutori di governo”. Quando la presidente del Consiglio lo incontra in giro per il mondo, lontano dai riflettori, pare che gli dica: “Lui’, sei troppo magro, devi magnà di più”. E’ vero, forse. Ad osservarlo si è asciugato tanto fisicamente quanto proporzionalmente si è allargato nel suo raggio d’azione.



Prima dei mandarini: chi ha votato alle ultime elezioni europee? “Grazie, ma no grazie”. Ci faccia sognare, in cambio, paghiamo noi il conto, si fidi, resta a questa tavola. “Grazie, ma no grazie”. Che furbizia orientale (cit.).



Eppure c’è stato un tempo in questo Paese in cui i giornali e le televisioni aspettavano tutti le sere che desse la linea attraverso gli “off” o “fonti”, come dir si voglia, offerti come ostie durante la messa dai suoi portavoce: Rocco Casalino, Augusto Rubei, Peppe Marici. “Scrivete: Di Maio ai suoi ha detto che… La linea del M5s è questa, fate i bravi, ora vi arriva tutto in chat”. Si potrebbe adesso inchiodare il nostro commensale a tutte le dichiarazioni, atti e fatti – tipo chiedere l’impeachment per il Colle, seguito da Meloni, o spararsi un selfie con i Gilet gialli mentre Parigi bruciava – disconosciuti nel corso della sua decennale carriera politica in Parlamento. Con tanto di abiura pubblica.


Il “si ricorda quando?” diventa dunque un esercizio che alla fine appare un po’ sterile e già visto.



Anche perché ormai è andata così: e l’uomo persico se ne infischia. Parla la sua attuale valigia, mai disfatta, come quella dell’attore di De Gregori, l’apprezzamento internazionale. In questa immersione vengono in mente due retroscena divertenti. Il primo: nel 2013 con i grillini appena entrati in Parlamento, durante una delle prime riunioni fiume su scontrini e rendicontazioni, a un certo punto manca Di Maio. “Dov’è?”. Non risponde al telefono. Panico. Si scoprirà che aveva dato buca a tutti per andare a cena con Luciano Violante, che voleva conoscerlo. E poi un’altra chicca: otto anni dopo, il 31 ottobre 2021, poco prima che scoppiasse la guerra in Ucraina, durante un bilaterale con il ministro degli Esteri russo riesce a immortalarlo in una foto, diffusa dal suo staff, con la sua autobiografia in mano “Un amore chiamato politica” (Piemme). “Me la farò tradurre in russo”, dirà l’uomo del Cremlino, salvo diventare poi dopo quattro mesi il suo peggior nemico. Pazzesco, eh? La chiacchierata è finita, Mimmo, il titolare della trattoria, al momento dei saluti si avvicina a Di Maio e gli fa: “Anche se a volte non ho condiviso le sue idee, devo farle i complimenti”. Il conto lo paghiamo noi.

Di più su questi argomenti:

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d’autore.

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