Nella lega dall’età dei 15 anni, con l’autonomia nel cuore. Attenzionato, negli scorsi anni, come futuro leader, finisce in prima pagina con frasi, poi smentite, che vanno nella direzione del rammarico per la direzione presa da Salvini in politica estera
Roma. E’ il giorno dopo un (altro?) piccolo big bang leghista, dopo i mesi della fibrillazione interna attorno al governatore veneto Luca Zaia e dopo le non del tutto ricomposte tensioni sotterranee sul fine vita: succede che il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari – quarantaduenne piemontesissimo noto ai più per essere o essere stato, fino a poco tempo fa, il perfetto uomo da inner circle salviniano, a volte anche più salviniano di Matteo Salvini– finisca un bel giorno dritto dritto nel retroscena da Montecitorio di Augusto Minzolini sul Giornale. Tema: i malumori nella Lega per le parole del luogotenente di Elon Musk in Italia, il giovane Andrea Stroppa, e i timori per le parole del presidente americano Donald Trump e per l’atteggiamento ondivago del governo di cui Salvini è vicepremier, sospeso tra gli Usa e l’Europa. E insomma: Molinari – che già negli anni scorsi è stato attenzionato come futuro leader (ogni volta che Salvini cadeva in errore c’era chi vedeva scaldarsi sottobanco i governatori alla Massimiliano Fedriga e i segretari regionali come il capogruppo) – è finito in prima pagina con frasi, poi smentite, che vanno nella direzione del rammarico per la direzione presa da Salvini in politica estera: iper trumpiana e, non bastasse, non condivisa all’interno della Lega.
Non solo sarebbe opportuno non fare i trumpiani in modo così smaccato, è il concetto, e non solo Stroppa ha dell’inquietante, ma sarebbe stato meglio allearsi con il Ppe invece che buttarsi con i fascisti. Apriti cielo: ieri, di buon mattino, Molinari, che è leghista dall’età di 15 anni, cioè da quando, al liceo Giovanni Plana di Alessandria, è stato folgorato dai ruggiti di Umberto Bossi, ha diffuso una nota che dice ufficialmente il contrario dei titoli che intanto corrono sul web: “Il mio parere, come facilmente verificabile, è quello della Lega ed è pubblico, chiaro e ribadito dal sottoscritto in tutte le uscite in Aula e nelle interviste: i cambiamenti imposti da Trump possono essere una occasione di cambiamento positivo per l’Italia. I tentativi di alimentare tensioni nella Lega continuano da anni ma, anche questa volta, non daranno risultati”. Fatto sta che, racconta un deputato di Forza Italia, “in tanti nella Lega la pensano come il Molinari smentito da Molinari”. E fatto sta che, dice un parlamentare leghista, “nel partito ci si preoccupa per le conseguenze economiche degli eventuali dazi di Trump”. Come la pensi davvero tra sé e sé il capogruppo lo sa solo lui, Molinari, il quale, tuttavia, nel 2023, appariva più moderato quantomeno dei meloniani in tema di “Europa delle nazioni”: “Quella porta alla guerra”, diceva il capogruppo leghista, “l’abbiamo visto durante la Seconda guerra mondiale, noi vogliamo l’Europa di Ventotene”.
Figlio di un medico genovese trapiantato in Piemonte, avvocato, segretario della Lega Piemonte con cursus tutto interno alla Regione ai tempi di Roberto Cota, conoscitore della musica di Fabrizio De André anche per via dell’orecchio al dialetto genovese sviluppato a casa dei nonni paterni (ha anche cantato “Il pescatore” a “Un giorno da pecora”, su RaiRadio1, all’alba del governo Conte I), Molinari ha recentemente presentato alla Camera una proposta di legge che prevede l’accesso al gratuito patrocinio legale per tutti lavoratori vittime di incidenti sul lavoro e per gli agenti delle forze dell’ordine che subiscano procedimenti per ragioni di servizio. I suoi cavalli di battaglia, oltre all’autonomia, sono la rottamazione (“non è un costo”, dice, “ma uno degli strumenti che stanno contribuendo al recuper fiscale”) e il contrasto all’immigrazione clandestina. Non ha mai lasciato davvero la sua Alessandria, dove mantiene un’abitazione, è da lungo legato alla deputata leghista Rebecca Frassini, non è un fissato della linea, non sempre indossa la cravatta verde, è un habitué delle feste locali leghiste tra Lombardia e Piemonte, punti cardine della cura capillare del territorio. E’ stato assessore allo Sviluppo Economico del Comune di Alessandria, e non è tra i difensori sfegatati della ministra Daniela Santanché, anche se l’ha difesa in senso garantista (“non siamo il tribunale del popolo”, ha detto). Nell’estate del 2022, a monte della sfiducia al governo di Mario Draghi, a Molinari è toccato il ruolo di pontiere tra Salvini e i membri dello stato maggiore del Carroccio in sofferenza, anche visti i sondaggi in calo. Durante l’ultimo festival di Sanremo, invece, raccontano nella Lega, ha fatto da pontiere tra i colleghi pro Olly e quelli pro Simone Cristicchi.