La robustezza finanziaria di una grande società porta a scelte particolarmente indovinate sul mercato, tra cui quella della giusta persona da mettere in panchina, che porta risultati sul campo. Ma tutto dipende dalla bravura di presidenti e dirigenti. Un’equazione
Lo ammetto, soffro di dissonanza cognitiva. Dico una cosa e ne penso un’altra, e viceversa. Succederà anche in questo articolo che leggerete: scriverò una teoria, sostenendola con robuste (forse) argomentazioni, confutandola poi con una teoria contraria, supportata da briciole di pensiero. In sostanza non sarò coerente, quindi siete avvertiti. Ora occupiamoci delle cose, direbbe Crozza/Della Valle. Thiago Motta e Sérgio Conceição sono pesantemente nel mirino della critica. Non ottengono risultati e giocano male, il loro futuro è a rischio (anche se, andiamoci piano con il futuro delle persone). Siamo sicuri che prendersela sempre con l’allenatore sia la strada giusta? Non era successo la stessa cosa con Allegri e Pioli, e perfino con lo stesso predecessore di Sérgio Conceição, Paulo Fonseca, a sua volta accolto da scetticismo preventivo?
A me viene il sospetto che si stia esagerando con il peso che diamo agli allenatori. Sono importanti ma non decisivi, almeno nella maniera in cui tutti pensano, viste le continue contestazioni che subiscono anche dopo una semplice sconfitta. Sérgio Conceição si è perfino lamentato di come viene trattato dalla critica di certi suoi colleghi (penso soprattutto a uno). Io sono della vecchia scuola, quella ormai ritenuta ampiamente superata, che mette alla base dei risultati la società, anzi la Società con la S maiuscola. Quindi, presidente, dirigenti, amministratori vari. Se sono bravi quelli, i risultati arrivano, se non lo sono, bona Ugo! (cit).
Questa la mega equazione: grande società = robustezza finanziaria = scelte indovinate sul mercato, compresa quella di un bravo allenatore = risultati sul campo = tutti felici. Si, sono sicuro che gli allenatori rappresentino un semplice “grano” di questo rosario di fattori.
Quindi, tornando a Juventus e Milan, se vogliamo cercare qualche colpevole, andiamo a farlo salendo sul gradino più alto della società, fino a scendere al più basso. Mentre scrivo però, non riesco a distogliere il mio pensiero da una figura con i capelli perennemente discussi (ma belli, per la miseria!) e l’espressione vagamente risentita: Antonio Conte. Ed ecco che la mia convinzione vacilla, e comincia a oscillare come un pendolo. Ora di qua, ora di là. Conte fa la differenza da solo, lo dice la sua storia. Ovunque sia andato, ha conquistato risultati, compreso Napoli, a prescindere dall’esito di questo campionato. E quindi? Ritratto! Come fece un presunto assassino. Gli allenatori quando sono bravi per davvero, e intendo non semplicemente accompagnati da narrazioni costruite ad arte, fanno la differenza, eccome. Potrei fare altri esempi ma preferisco fermarmi a quello di Conte. Ci tengo ad essere incoerente, ma solo fino a un certo punto. Resta però da porsi una domanda decisiva: chi sceglie gli allenatori? Ovviamente la società. Ah ecco!