C’è un miracolo nel capoluogo campano? Un sindaco ideologico ma pragmatico, una città con guai ma in ripresa, una vivacità culturale inaspettata e qualche paragone con Roma
Napoli diva sul grande schermo; Napoli intellettuale nascosta dietro ai portoni; Napoli becera da overtourism che mette a reddito il triplo topos limoncello, pizza e mandolino. Ma anche Napoli londinese, pulita e con le metropolitane che sfrecciano da un capo all’altro della città, quella che oggi vive nuovi passi nel reale, e per il resto prende forma nella mente del suo marziano, il sindaco ed ex ministro Gaetano Manfredi. Un sindaco che non è nato in Gran Bretagna (anzi, è autoctono totale), ma è come se straniero fosse nel pensiero e nell’eloquio. D’altronde, dice la giornalista Daniela D’Antonio, Virgilio al quadrato in questo mondo rinnovato sotto al Vesuvio (napoletana lei stessa e moglie del napoletanissimo regista di “Parthenope” Paolo Sorrentino), “lo humour del luogo è molto simile a quello britannico, almeno quanto è dissimile da quello romano”. E ci si trova, dunque, all’alba del 2025, con Napoli che oggi presenta tra l’altro le iniziative per i suoi 2500 anni di storia, davanti al caso di una metropoli che, a differenza di altre grandi città, il sindaco se lo coccola, dopo quasi quattro anni di mandato partito in sordina e in diffidenza, ché oggi si assiste, per strade, bar e consessi politici, a un’esplosione di apprezzamenti tardivi per il “professore” Manfredi, ingegnere, già rettore dell’Università Federico II oltre che ministro dell’Università nel governo Conte II. E vallo a dire a Bologna, Roma, Milano e Firenze, tanto per restare lungo la linea dell’alta velocità barcollante: tutte città dove gli abitanti attribuiscono ai sindaci, un giorno sì e l’altro pure, una rosa cangiante di colpe vere o presunte, se non l’intera responsabilità della fatica del vivere.
Un sindaco professore, dunque e addirittura, dopo il sindaco urlatore ed ex pm in bandana arancione Luigi de Magistris (al secondo mandato la bandana era sparita, come il grido “scassiamo” con cui l’ex primo cittadino era arrivato nel 2011 alla guida del Comune, mentre costante era rimasto lo stile per così dire confliggente). E insomma: oggi Manfredi non soltanto resiste, ma insiste. E insiste con l’andatura pacata e lenta con cui non l’hanno visto arrivare, ma l’hanno visto poi restare, identico a quando è stato eletto alla testa di un campo largo che più largo non si poteva – dalla sinistra a Clemente Mastella, passando per renziani, calendiani, riformisti dem e liste civiche di varia gemetria – e con la fama di uno che non è iscritto a niente ma ha buoni rapporti con tutti, dal Giuseppe Conte di cui era stato ministro, cosa che aveva facilitato l’accordo con i Cinque Stelle in tempi di concordia tra area Grillo e area Conte, ai segretari pd (Enrico Letta ed Elly Schlein) avvicendatisi al Nazareno dal giorno dell’elezione di Manfredi a oggi. E pazienza se, nel frattempo, Conte il campo largo l’ha dato di fatto per morto, bastonandolo in più occasioni. E pazienza pure se a volte, racconta un insider, “in consiglio comunale manca il numero legale, vista la natura variegata della maggioranza”: Manfredi è saldo in sella, forte anche dei buoni rapporti trasversali oggi rinforzati dal ruolo (conquistato nel frattempo) di presidente Anci, incarico che si aggiunge a quelli di vertice della Città metropolitana di Napoli e di commissario di governo per l’area di Bagnoli, cariche che conferiscono un certo potere istituzionale nel dialogo con il governo di centrodestra. Ed è così che Manfredi, “con l’aplomb del timoniere che tutti vorremmo avere a bordo di una scialuppa persa nel mare in tempesta”, dice lo scrittore napoletano Maurizio De Giovanni, zitto zitto, “tomo tomo, cacchio cacchio”, direbbe il suo concittadino Totò, è diventato presidente dell’Associazione comuni italiani contro pronostici e movimenti che puntavano all’elezione in quel ruolo di un sindaco del nord (uno che pure lo apprezza: il primo cittadino di Torino Stefano Lo Russo).
L’andatura pacata e lenta con cui non l’hanno visto arrivare, Manfredi, ma l’hanno visto poi restare
Ed è così che, sempre zitto zitto, Manfredi qualche giorno fa è arrivato a Roma, in Senato, a un convegno organizzato dalla senatrice pd Valeria Valente, a parlare di sicurezza senza infingimenti, con Elly Schlein seduta in prima fila a prendere appunti. La sicurezza non è vocabolo da cui la sinistra deve fuggire; al contrario, era il concetto, di sicurezza si deve parlare. E lui, Manfredi, prendendo la parola dopo l’ex sindaco di Roma e fondatore del Pd Walter Veltroni – che dalle pagine del Corriere della Sera aveva esortato i vertici della sinistra a mettere mano al problema per evitare di essere bollati come democratici da Ztl – aveva parlato di sicurezza sorridendo, e puntando dritto alla mobilia: qui ci servono risorse per la videosorveglianza, diceva, e per assumere le persone che devono vigilare sul territorio, e aveva portato esempi concreti di controllo capillare virtuoso in alcune vie della sua Napoli, improvvisamente assurte, quasi quasi, a piccola enclave svizzera in suolo periferico partenopeo.
Ma chi è il marziano Manfredi, uno di cui parlano bene anche i nemici, nome da società civile che forse per questo poteva permettersi di sperimentare, abbassare i toni e spegnere le luci, per operare lontano dalla ribalta, soprattutto dopo il decennio iper-mediatico del predecessore? Intanto, è l’uomo che deve gestire il panico da scosse nei Campi Flegrei, con relativo impazzimento web. E lui, non propriamente un sindaco social, se ne esce su Facebook con l’aplomb dell’ingegnere sismico, tanto più che lo è davvero: “Capisco l’apprensione, ma non c’è il motivo di allarme, dobbiamo convivere con un fenomeno secolare”, scriveva nella pagina sormontata da una foto in cui, di spalle, guarda lontano, oltre la piazza, verso il Vesuvio: “Il rischio eruttivo è lontanissimo”, era l’epitaffio su preoccupazioni che giudicava con ogni evidenza eccessive, pur guardandosi bene dal dirlo chiaramente. Diceva invece, il sindaco, di essere “vicino ai cittadini”: è “naturale” allarmarsi, ma la percezione di essere in pericolo è anche frutto del fatto che “l’epicentro è più vicino alla città di Napoli”. Negli stessi giorni, Manfredi non presenziava alla conferenza stampa del governatore campano Vincenzo De Luca per il progetto della nuova sede della Regione Campania. “Vogliamo realizzare un’opera di grande architettura contemporanea”, diceva De Luca, mentre Manfredi restava a distanza. E c’era chi, tra gli esegeti locali, ci vedeva una certa riluttanza a essere accusato di intendenza con il governatore dem ribelle sul terzo mandato. Ha preferito, Manfredi, tirare un sospiro di sollievo per la riapertura della funicolare di Chaia. “E’ stato un lungo percorso, non privo di intoppi, ma siamo riusciti a restituire a Napoli e ai napoletani un altro importante mezzo di trasporto pubblico”, ha detto infatti il sindaco a riapertura avvenuta, immortalato davanti all’uscita della stazione a monte, con una punta di orgoglio per l’evento: “Dopo anni, le quattro funicolari cittadine funzionano contemporaneamente, per una Napoli sempre più moderna, competitiva e interconnessa, pronta a rispondere alle esigenze dei napoletani”. E però, si narra negli ambienti a lui vicini, “quasi lo si è dovuto mettere a forza a bordo per il viaggio inaugurale”. E pare insomma che funzioni così: Manfredi, pur se un po’ londinese, non è uno a cui piace farsi vedere a bordo dei vagoni delle metropolitane rinnovate alla maniera dell’ex sindaco di Londra Boris Johnson. “Gli dici: ’Gaetano, sali’, ma glielo devi dire quattro volte perché la cosa si concretizzi”, raccontano in Comune.
La presenza in giunta di docenti universitari sta portando qualche risultato. Anche sul fronte delle imprese
Quale sarà il suo segreto?, cominciano a domandarsi gli altri sindaci metropolitani che inaugurano qualsiasi cosa e tengono botta nonostante tutto, sentendosi però sempre un po’ come quelli che “è sempre colpa loro”. E sembra di capire che la cifra del successo di Manfredi risieda in una sorta di levità, di resilienza di fronte all’immutabile – per esempio il traffico: su quello, dice un napoletano, “Manfredi ha ancora molto da lavorare”. La quotidianità, infatti, è un problema per un sindaco refrattario all’operatività forzosa. Ma quella stessa resistenza diventa un pregio: non vuole modificare la natura della città, Manfredi, il casino millenario della Napoli che va da sé e procede a sbalzi carsici, inabissandosi e risorgendo lungo il suo binario, sull’orlo del precipizio e di un’economia borderline. Napoli non si può imbrigliare, ma lui, il sindaco, neanche ci prova. Anzi. Dice Emmanuela Spedaliere, direttore generale del Teatro San Carlo: “Il successo di Gaetano Manfredi come sindaco di Napoli è un fenomeno interessante e, a mio avviso, si deve a diversi fattori che lo distinguono nettamente nel panorama politico attuale. Innanzitutto, il suo approccio serio e concreto alla gestione della città ha trasmesso un senso di stabilità e competenza. In un’epoca in cui la comunicazione politica è spesso dominata da toni esasperati e dalla ricerca costante di visibilità sui social, Manfredi ha scelto una strategia opposta: poche parole, molti fatti. Il suo basso profilo comunicativo non è sinonimo di distacco, ma di un metodo di governo che privilegia il lavoro dietro le quinte e il coinvolgimento delle istituzioni piuttosto che la spettacolarizzazione delle decisioni. Manfredi ha saputo tessere relazioni solide con il governo centrale e con i vari attori economici e sociali della città, dimostrando una capacità di mediazione e di visione a lungo termine”.
Napoli non si può imbrigliare, ma lui, il sindaco, neanche ci prova. Il caso del San Carlo
Altri elementi contribuiscono alla solidità della presa di Manfredi a medio termine, dice Spedaliere: “La sua figura di tecnico prestato alla politica, con una solida esperienza accademica e amministrativa, ha rafforzato la percezione di un sindaco competente e credibile. Manfredi ha ereditato una città con enormi sfide finanziarie e infrastrutturali, ma è riuscito a evitare conflitti inutili e a concentrarsi su un lavoro graduale di risanamento, pianificazione e rilancio. Il segreto della sua tenuta e del rispetto trasversale di cui gode, quindi, sta in una combinazione vincente di autorevolezza, pragmatismo e capacità di costruire consenso senza ricorrere a slogan facili”. Dal San Carlo si guarda alla politica culturale del sindaco come a un “altro elemento chiave della sua capacità di consolidare il consenso in una città come Napoli, dove la cultura è un motore identitario, sociale ed economico”, dice Spedaliere: “Fin dall’inizio del suo mandato, Manfredi ha puntato su una visione di Napoli come capitale della cultura mediterranea ed europea, valorizzando il suo straordinario patrimonio storico e artistico e promuovendo una programmazione che unisce tradizione e innovazione”. Ultimo, ma non ultimo, “la sinergia con il mondo accademico e con le istituzioni culturali” per una Napoli “che non è solo custode del passato, ma anche laboratorio contemporaneo di arte, musica, teatro e innovazione”. Che la cultura, per Manfredi, sia da un lato settore strategico e dall’altro, dice la direttrice generale del San Carlo, “elemento essenziale per il riscatto sociale della città, soprattutto nelle aree più difficili”, è testimoniato dal favore che riscuote presso tutti i settori artistici. Dice Francesco Di Leva, vincitore del David di Donatello 2023 come miglior attore non protagonista per il suo ruolo nel film “Nostalgia” di Mario Martone, che il sindaco, “per come si sta rapportando alla città, si distingue per un approccio concreto, privilegiando i fatti alle parole. Il suo stile di governo potrebbe apparire poco ’napoletano’ secondo certi stereotipi, ma la sua amministrazione è focalizzata su temi chiave: potenziamento delle infrastrutture, riscatto delle periferie e promozione di una cultura policentrica. L’obiettivo di Manfredi è portare Napoli al livello che merita, non solo sul piano nazionale ma anche internazionale. E i primi risultati di questo lavoro sono già visibili, anche se il cammino in una città così complessa è sempre lungo, ed è fondamentale che ogni cittadino faccia la propria parte”. L’impressione di una possibile metamorfosi si conferma in chi, napoletano, vive oggi a Roma e quando torna in zona Vesuvio ha l’impressione, dice la produttrice e presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia Gabriella Buontempo, che Manfredi, “in modo silenzioso ed elegante, stia portando avanti molto bene il difficile lavoro”. Il gallerista Alfonso Artiaco, la cui storica galleria d’arte contemporanea torna oggi nella sede originaria di Palazzo Partanna, dopo aver lasciato la sede di Piazzetta Nilo funestata dall’overturism, avverte in città “una nuova cura” e si notano “interventi che vanno in direzione di una migliore qualità della vita”. “Non tutto è perfetto, a volte magari si poteva fare meglio”, dice Artiaco, riferendosi alle polemiche rispetto alla discussa opera “Tu si ’na cosa grande” di Gaetano Pesce, Pulcinella in forma fallica che aveva preso il posto, in Piazza Plebiscito, della “Venere degli stracci” di Pistoletto. “Ma fa parte del dibattito”, dice Artiaco, “d’altronde chi non fa non sbaglia”.
La sicurezza, dice il sindaco, non è vocabolo da cui la sinistra deve fuggire: di sicurezza si deve parlare
Anche sul fronte imprenditoriale Manfredi ha messo – zitto zitto – radici, come dice un osservatore attento della città che lo definisce un “pragmatico realizzatore che ha riempito la giunta di docenti universitari più tecnici di lui che già è un tecnico”. Non a caso si sentono rassicurati anche gli addetti ai lavori, a giudicare dalle parole di Costanzo Jannotti Pecci, cavaliere del lavoro, imprenditore nell’industria termale e presidente dell’Unione industriali napoletani, convinto che Manfredi “abbia ridato alla città credibilità e riconoscibilità istituzionale”. “Ha affrontato con serietà i problemi che si erano sedimentati nei decenni precedenti”, dice Jannotti Pecci, “in primis la sostenibilità economica della macchina comunale e la pianificazione dell’enorme debito accumulato, e questo senza rinunciare a una ragionevole e non demagogica azione di progettazione”, anche se “la strada è ancora lunga e la fase più impegnativa verrà nei prossimi mesi, quando la sindacatura Manfredi dovrà concretizzare quanto programmato, anche in distonia con alcuni suoi alleati”. Tuttavia il sindaco oggi ha un palcoscenico nazionale su cui giocare, la poltrone al vertice dell’Anci, da dove dialoga senza problemi con più di un sindaco leghista (e non solo) sul tema trasversale dei tagli lineari ai comuni. E se l’ex “rivoluzionario” precedessore De Magistris ha dato al successore post-illuminista Manfredi di “bugiardo” sui progetti del verde in città, e se il governatore campano De Luca, un anno fa, a monte dello sblocco dei fondi europei, si è più volte scaldato contro Giorgia Meloni al contrario di Manfredi, c’è chi, a Napoli, prevede “l’arrivo di un nuovo De Magistris, prima o poi”, tanto la città non riesce a uscire dallo schema circolare “sindaco rivoluzionario-sindaco illuminista-sindaco rivoluzionario”.
Ma c’è anche chi racconta stagioni diverse e travolgenti, altri successi rispetto a quelli di un Manfredi che “non stuzzica il lato narcisistico dei napoletani”, dice Daniela D’Antonio, ricordando “il ’94 in cui è stato eletto sindaco Antonio Bassolino, dopo un’effervescente campagna elettorale contro Alessandra Mussolini, campagna dove si era sperimentato per la prima volta l’effetto di una personalizzazione che prima non esisteva, con due candidati autonomi rispetto ai partiti. Sono stati anni belli, di grande entusiasmo; Bassolino aveva una squadra incredibile, con assessori di altissimo profilo. Passava e sollevava un tifo da stadio. Poi è arrivata Rosa Russo Iervolino, con il suo atteggiamento materno. E oggi, forse, dopo dieci anni di De Magistris, personalità debordante, i napoletani si sono scocciati e vogliono innamorarsi di uno stile meno sloganistico, di una comunicazione per sottrazione”. E, “nel panorama di una città che conosce una gentrificazione prima assente”, e in cui l’attenzione alla sicurezza, dice D’Antonio, “deve marciare in parallelo con il recupero di alcune aree e con la lotta all’abbandono scolastico”, Manfredi offre, da professore non guascone, cappotto blu e sciarpa Burberry, “la soluzione pratica”. In sintesi: “Piace perché è persona seria che parla sottovoce”, dice Maurizio De Giovanni, convinto che Manfredi non sia “un catalizzatore di attenzioni a cena, uno che balla sui tavoli. E’ uno a cui rivolgi quando sei in difficoltà”. Napoli è un sole amaro, cantava Pino Daniele, e per guardare il sole amaro servono lenti fumé. E Manfredi, detto anche “sindaco grigio”, tomo tomo cacchio cacchio le ha indossate da un pezzo.